documento. E cosa diavolo era un symbolon?

Katherine si avvicinò impaziente allo schermo. «Da dove viene questo documento? Chi lo ha scritto?»

Trish ci stava già lavorando. «Dammi un secondo. Sto cercando di risalire alla fonte.»

«Devo sapere chi lo ha scritto» ribadì Katherine a voce più alta. «Ho bisogno di vedere il resto del documento.»

«Ci sto provando» disse Trish, allarmata dal tono di Katherine.

Stranamente, l’indirizzo del file non era indicato nella forma classica di una pagina web, ma somigliava di più alla sequenza numerica di un indirizzo IP. «Non riesco a risalire all’IP» annunciò Trish. «E il nome del dominio non compare. Però, aspetta un momento. Provo a lanciare un programma per tracciare il percorso del file.»

Trish batté la sequenza di istruzioni per identificare tutti i passi" per risalire al server.

«Partito» disse lanciando la ricerca.

Questo tipo di applicazione era estremamente veloce e stilla parete al plasma comparve quasi all’istante un lungo elenco di dispositivi di rete. Trish cominciò a scorrere il percorso dei router che collegavano il suo computer a…

Che diavolo? La traccia si era interrotta prima di arrivare al server da cui era partito il documento. Per qualche motivo, il segnale generato dal programma era giunto a un dispositivo che l’aveva fagocitato anziché rimbalzarlo indietro. «Sembra che il segnale sia stato bloccato» disse Trish. Ma com’è possibile?

«Riprova.»

Trish lanciò nuovamente l’applicazione, ma ottenne lo stesso risultato. «Niente da fare. Siamo a un punto morto. È come se questo documento fosse in un server non rintracciabile.» Guardò gli ultimi due router prima del punto di arresto. «Però posso dirti che si trova all’interno del Distretto di Columbia.»

«Stai scherzando?»

«Non mi sorprende» osservò Trish. «Questi programmi allargano progressivamente il campo di ricerca su base geografica, quindi i primi risultati si riferiscono sempre a indirizzi locali. Inoltre, una delle nostre stringhe era "Washington, DC".»

«E se tu facessi una ricerca sui nomi di dominio?» suggerì Katherine. «Non capiresti chi è il proprietario?»

Non molto sofisticata come idea, ma neanche da scartare. Trish entrò nel database anagrafico dei domini e lanciò una ricerca per l’indirizzo IP, nella speranza di trovare una corrispondenza tra la sequenza dei numeri e un reale nome di dominio. Adesso la sua delusione era mitigata da una crescente curiosità. Chi diavolo è il proprietario di questo documento? I risultati relativi al "chi" comparvero in fretta, però senza dare alcun riscontro. Trish alzò le mani in segno di sconfitta. «È come se questo indirizzo IP non esistesse. Non riesco a rintracciare nessuna informazione al riguardo.»

«Ma deve esistere. Abbiamo appena trovato un documento contenuto nel suo archivio!»

Vero. Eppure, chiunque fosse, il proprietario di quel documento preferiva non divulgare la propria identità. «Non so cosa dirti. Tracciare percorsi di rete non è esattamente il mio campo e, a meno che tu non voglia chiedere aiuto a un informatico con competenze da hacker, non saprei cos’altro tentare.»

«Ne conosci qualcuno?»

Trish si voltò a guardare il suo capo. «Scherzavo. Non è una buona idea.»

«Ma si può fare?» Katherine guardò l’orologio.

«Be’, sì… lo fanno tutti. Tecnicamente, non è difficile.»

«Chi conosci?»

«Di hacker?» Trish fece una risatina nervosa. «Praticamente la metà delle persone che lavoravano con me prima lo è.»

«C’è qualcuno di cui ti fidi?»

Sta dicendo sul serio? Trish vide che Katherine era assolutamente seria. «Be’, sì» si affrettò a rispondere. «Conosco un ragazzo. Era il nostro esperto in sicurezza dei sistemi… uno in gamba. Voleva uscire con me, e questo non mi andava, ma è un tipo a posto e mi fido di lui. E poi lavora anche come consulente.»

«Sa tenere la bocca chiusa?»

«È un hacker. Naturale che sa tenere la bocca chiusa. È il suo mestiere. Ma sono sicura che chiederà almeno mille dollari anche solo per guardare…»

«Chiamalo. Offrigli il doppio se mi farà avere una risposta in fretta.»

Trish non avrebbe saputo dire cosa la mettesse più a disagio, se aiutare Katherine Solomon a ingaggiare un hacker… o chiamare un tizio che probabilmente non aveva ancora accettato che un’esperta in metasistemi grassottella e con i capelli rossi respingesse le sue avance. «Sicura?»

«Usa il telefono della biblioteca. È un numero non rintracciabile. E ovviamente non fare il mio nome.»

«D’accordo.» Trish stava già andando verso la porta quando si bloccò, sentendo il trillo dell’iPhone di Katherine. Con un po’ di fortuna, il messaggio in arrivo avrebbe potuto contenere le informazioni che l’avrebbero esentata da quella sgradevole incombenza. Attese che Katherine estraesse l’iPhone dalla tasca del camice e guardasse il display.

Katherine Solomon provò un’ondata di sollievo nel vedere il nome sul display.

Finalmente.

PETER SOLOMON

«È un messaggio di mio fratello» annunciò lanciando un’occhiata a Trish.

Lei si illuminò, speranzosa. «Forse dovremmo chiedere spiegazioni a lui… prima di chiamare un hacker?»

Katherine guardò il documento segretato sulla parete al plasma e sentì di nuovo la voce del dottor Abaddon. Quello che suo fratello ritiene sia nascosto a Washington… può essere trovato. Non sapeva più cosa pensare, e trovare quel documento significava scoprire informazioni sulle improbabili teorie da cui suo fratello era, a quanto pareva, ossessionato.

Scosse la testa. «Voglio sapere chi ha scritto questa cosa e dove si trova. Fa’ quella telefonata.»

Trish si diresse verso la porta, accigliata.

Che quel documento fosse in grado o no di spiegare il mistero di ciò che Peter aveva raccontato al dottor Abaddon, se non altro quel giorno era stato risolto un altro problema: suo fratello aveva finalmente imparato a mandare messaggi di testo con l’iPhone che Katherine gli aveva regalato.

«E avverti la stampa» disse lei alzando la voce per farsi sentire da Trish. «Il grande Peter Solomon ha appena mandato il suo primo SMS.»

Nel parcheggio di un piccolo centro commerciale sull’altro lato della strada rispetto all’SMSC, Mal’akh si sgranchì le gambe fuori dalla sua limousine mentre aspettava la telefonata che, sapeva, non avrebbe tardato. Aveva smesso di piovere e la luna cominciava a fare capolino tra le nuvole. Era la stessa luna che aveva illuminato Mal’akh attraverso il lucernario della House of the Tempie tre mesi prima, durante la sua iniziazione.

Quella sera il mondo sembrava diverso.

Mentre aspettava, nella gelida aria invernale, il suo stomaco emise un altro brontolio. I due giorni di digiuno, per quanto spiacevoli, erano fondamentali per la sua preparazione. Era così che si faceva nell’antichità. Presto tutti i disagi fisici sarebbero diventati irrilevanti.

Mal’akh si lasciò sfuggire una risatina nel vedere che il fato lo aveva portato, ironicamente, proprio davanti a un luogo sacro. Stretta fra uno studio dentistico e un piccolo supermercato c’era una chiesetta.

LORD’S HOUSE OF GLORY.

Mal’akh fissò la bacheca in cui erano esposte alcune note dottrinali: NOI CREDIAMO CHE GESÙ CRISTO SIA STATO GENERATO DALLO SPIRITO SANTO, SIA NATO DALLA VERGINE MARIA E SIA VERO UOMO E DIO.

Mal’akh sorrise. Sì, Gesù è tutt’e due le cose, uomo e Dio… ma nascere da una vergine non è un requisito indispensabile per la divinità. Non è così che funziona.

Lo squillo di un cellulare lacerò l’aria della notte, facendogli aumentare le pulsazioni. Quello che adesso stava suonando era il suo, un apparecchio usa e getta da pochi soldi che aveva acquistato il giorno prima. L’identificativo del numero chiamante gli confermò che si trattava della telefonata che stava aspettando.


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