Francis glielo disse.

Cheroki rifletté. — Non è possibile che tu faccia una buona confessione finché sei in queste condizioni. E non sarebbe giusto che io ti assolvessi, quando non sei del tutto lucido. — Quando vide Francis rabbrividire, il prete gli posò una mano sulla spalla, per rassicurarlo. — Non preoccuparti figliolo, ne parleremo quando ti sentirai meglio. Allora ascolterò la tua confessione. Per il momento… — E lanciò uno sguardo nervoso alla pisside che conteneva l'Eucarestia. — Per il momento voglio che tu raccolga le tue cose e ritorni immediatamente all'abbazia.

— Ma, Padre, io…

— Io ti ordino — disse il prete con voce incolore — di ritornare immediatamente all'abbazia.

— S-sì, Padre.

— Ora, non ti assolverò, ma tu potresti fare un buon atto di contrizione e offrire due decine del rosario come penitenza, in ogni caso. Vuoi la mia benedizione?

Il novizio annuì, ricacciando le lacrime. Il prete lo benedisse, si alzò, si genuflesse davanti al Sacramento, riprese la pisside dorata e la riattaccò alla catena che portava al collo. Rimise in tasca la candela, ripiegò la tavola e l'assicurò al suo posto dietro la sella, poi rivolse a Francis un ultimo cenno solenne, salì in groppa alla cavalla e si allontanò per completare la sua visita agli eremitaggi quaresimali. Francis sedette sulla sabbia rovente e pianse.

Sarebbe stato semplice se avesse potuto condurre il prete nella cripta per mostrargli l'antica stanza, se gli avesse mostrato la cassetta e il suo contenuto e il segno che il pellegrino aveva tracciato sulla pietra. Ma il prete portava l'Eucarestia, e non si sarebbe lasciato convincere a scendere in una cantina piena di sassi camminando sulle mani e sulle ginocchia, o a frugare nel contenuto della vecchia cassetta e ad addentrarsi in discussioni archeologiche.

La visita di Cheroki era necessariamente solenne, fino a che la pisside conteneva anche una sola Ostia; tuttavia quando la pisside fosse stata vuota, avrebbe potuto ascoltarlo, in via ufficiosa. Il novizio non poteva biasimare Padre Cheroki se aveva creduto che lui fosse uscito di senno. Era veramente un po' stordito dal sole, e aveva balbettato molto. Più di un novizio era ritornato sconvolto da una vigilia di vocazione.

Non c'era altro da fare che obbedire all'ordine di ritornare.

Si diresse verso il rifugio e vi lanciò ancora uno sguardo, per assicurarsi che c'era veramente; poi andò a prendere la cassetta. Quando l'ebbe richiusa e fu pronto per andarsene, il vortice di polvere apparve verso sud-est, annunciando l'arrivo del rifornimento d'acqua e di grano dall'abbazia. Frate Francis decise di aspettare il suo rifornimento prima di avviarsi per il lungo viaggio di ritorno.

Tre asinelli e un monaco comparvero, in testa alla scia di polvere. Il primo asinelio vacillava sotto il peso di frate Fingo. Nonostante il cappuccio, Francis riconobbe l'aiutante del cuoco dalle spalle aggobbate e dalle lunghe caviglie pelose che penzolavano dai fianchi del ciuchino, così che i sandali di frate Fingo quasi sfioravano il suolo. Gli animali che lo seguivano erano carichi di piccole bisacce di grano e di otri d'acqua.

— Suuuuuuu, porco-porco-porco! Suuu porco! — chiamò Fingo, portandosi le mani alla bocca e lanciando il grido attraverso le rovine, come se non avesse veduto Francis che lo aspettava accanto alla pista. — Porco-porco-porco!… Oh, sei là, Francisco! Ti avevo scambiato per un mucchio d'ossa. Bene dobbiamo ingrassarti per i lupi. Ecco qua, serviti per i banchetti domenicali. Come va l'eremitaggio? Credi di fartene una carriera? Solo un otre d'acqua, ti dispiace? e un sacchetto di grano. E sta' attento alle zampe posteriori di Malicia: è in calore e ha voglia di scherzare… ha dato un calcio ad Alfred, laggiù… pam! proprio sul ginocchio. Stai attento! — Frate Fingo si spinse indietro il cappuccio e ridacchiò mentre il novizio e Malicia si mettevano in posizione. Fingo era senza dubbio l'uomo più brutto del mondo e quando rideva il vasto spiegamento di gengive rosee e di grossi denti di vario colore aggiungeva ben poco al suo fascino; era un anormale, ma difficilmente un anormale poteva essere definito mostruoso; era una caratteristica ereditaria piuttosto comune nel paese del Minnesota da cui proveniva; produceva calvizie e una distribuzione molto ineguale di melanina, così che la pelle del monaco era un mosaico di macchie color fegato e cioccolata su uno sfondo albino. Tuttavia, il suo perpetuo buonumore compensava il suo aspetto, tanto che la gente non lo notava più, dopo pochi minuti; e dopo una lunga consuetudine, le caratteristiche di frate Fingo sembravano normali quanto quelle di un pony pezzato. Ciò che sarebbe sembrato orribile in un individuo imbronciato, diventava quasi decorativo, come il trucco di un pagliaccio, se era accompagnato da un esuberante buonumore. L'assegnazione di Fingo alla cucina era una punizione, probabilmente temporanea. Era uno scultore di legno e di solito lavorava nella carpenteria. Ma qualche episodio di presunzione, a proposito di una figura del Beato Leibowitz che aveva avuto il permesso di scolpire, aveva indotto l'abate a trasferirlo in cucina fino a che non mostrasse di far pratica di umiltà. Nel frattempo, la statua del Beato aspettava nella carpenteria, scolpita a metà.

Il sogghigno di Fingo cominciò a svanire mentre studiava l'espressione di Francis che scaricava il grano e l'acqua dalla capricciosa somarella.

— Mi sembri una pecora ammalata, ragazzo — disse al penitente.

— Cosa succede? Padre Cheroki ha ancora una delle sue crisi di rabbia lenta?

Frate Francis scosse il capo. — No, che io sappia.

— E allora cosa c'è? Sei veramente ammalato?

— Mi ha ordinato di ritornare all'abbazia.

— Co-o-o-sa? — Fingo fece ruotare una caviglia pelosa al di sopra dell'asino e piombò al suolo da un'altezza di pochi centimetri. Torreggiò su frate Francis, gli batté sulla spalla una mano carnosa, e lo guardò in faccia. — Cos'è, itterizia?

— No. Crede che io sia… — Francis si batté un dito sulla tempia e scrollò le spalle.

Fingo rise. — Bene, è vero, ma lo sappiamo tutti. Perché ti rimanda indietro?

Francis gettò uno sguardo sulla cassetta, vicino ai suoi piedi. — Ho trovato alcune cose appartenenti al Beato Leibowitz. Ho cominciato a dirglielo, ma non mi ha creduto. Non ha lasciato che gli spiegassi. Ha…

— Hai trovato che cosa? — Fingo sorrise incredulo, poi cadde in ginocchio e aprì la cassetta mentre il novizio osservava nervoso. Il monaco rimestò con un dito i cilindri baffuti negli scomparti e zufolò sommessamente. — Incantesimi dei pagani delle colline, no? È roba antica, Francisco, veramente antica. — Guardò il biglietto sul coperchio.

— Cosa sono quelle sciocchezze? — chiese, guardando lo sconsolato novizio attraverso gli occhi socchiusi.

— Inglese prediluviale.

— Non l'ho mai studiato, tranne quello che cantiamo in coro.

— È stato scritto dal Beato in persona.

— Questo? - frate Fingo levò lo sguardo dal biglietto a frate Francis e poi tornò a posarlo sul foglio. Scosse improvvisamente il capo, richiuse la cassetta e si alzò. Il suo ghigno diventò artificiale. — Forse il Padre ha ragione. Farai meglio a ritornare indietro e a farti preparare dal frate farmacista qualcuna delle sue specialità a base di funghi. Hai la febbre, fratello.

Francis alzò le spalle. — Forse.

— Dove hai trovato questa roba?

Il novizio glielo indicò. — Da quella parte, dopo qualche monticello. Ho smosso qualche pietra. C'è stata una frana, e ho trovato un sotterraneo. Vai a vedere tu stesso.

Fingo scosse il capo. — Mi aspetta un bel po' di strada.

Francis raccolse la cassetta e si avviò verso l'abbazia mentre Fingo ritornava ai suoi asinelli, ma dopo pochi passi il novizio si fermò e lo chiamò.

— Frate Macchie… puoi perdere due minuti?

— Forse — rispose Fingo. — Perché?


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