La camera al di là della porta era illuminata da un pallido chiarore verde. Ammucchiate lungo le pareti, ognuna sulla sua mensola di marmo, c’erano file su file di bare. Nel centro della sala, su una pedana, c’era una poltrona di pietra sulla quale era accasciata una figura che non si mosse, ma disse con voce vecchia e fragile: — Entra, giovanotto.
Duefiori si fece avanti. La figura sullo scanno era umana, per quanto era possibile giudicare in quella luce tetra, ma c’era qualcosa nella sua positura sgraziata per cui l’ometto era contento di non distinguerla meglio.
— Sono morto, sai — annunciò in tono discorsivo una voce proveniente da quella che Duefiori sperava ardentemente fosse una testa. — Suppongo che te ne sei accorto.
— Uhm… Sì. — disse Duefiori e cominciò ad arretrare.
— È evidente, vero? — continuò la voce. — Tu devi essere Duefiori, non è così? Oppure questo è più tardi?
— Più tardi? Più tardi di che?
— Be’, vedi, uno dei vantaggi di essere morti è che si è, per così dire, liberi dai vincoli del tempo. Quindi io posso vedere tutto ciò che è accaduto o che accadrà, tutto allo stesso tempo. Solo che, naturalmente, adesso so che, a tutti gli effetti pratici, il Tempo non esiste.
— Questo non mi sembra uno svantaggio — osservò Duefiori.
— Non lo credi? Immagina di essere nello stesso istante un ricordo lontano e una brutta sorpresa e vedrai ciò che voglio dire. Comunque sia, adesso ricordo che cosa sto per dirti. Oppure l’ho già fatto? A proposito, quello è un bel drago. Oppure l’ho già detto?
— Lui è davvero bravo. È saltato fuori all’improvviso — spiegò Duefiori.
— È saltato fuori? L’hai chiamato tu!
— Sì, be’, io…
— Tu hai il Potere!
— Io mi sono limitato a pensarlo.
— In questo consiste il Potere! Ti ho già detto di essere Greicha Primo? Oppure il prossimo? Scusami, ma non ho avuto una grande esperienza in fatto di trascendenza. Comunque, sì… il Potere. Evoca i draghi, sai.
— Mi pare che me l’abbiate già detto.
— Davvero? È certamente ciò che intendevo — disse il morto.
— Ma come è possibile? Ho pensato ai draghi per tutta la vita, ma questa è la prima volta che uno si è materializzato.
— Oh be’, vedi, la verità è che i draghi non sono mai esistiti nel senso che tu e io, finché non sono stato avvelenato tre mesi fa, intendiamo l’esistenza. Sto parlando dell’autentico drago, draconis nobilis, capisci; il drago delle paludi, draconis vulgaris, è una creatura vile, indegna della nostra attenzione. Il drago autentico, d’altro lato, è una creatura dallo spirito così squisito che può materializzarsi in questo mondo solo se concepita dall’immaginazione più ingegnosa. E anche allora tale immaginazione deve trovarsi in un luogo profondamente impregnato di magia, che aiuta ad abbattere il muro che separa il mondo visibile dall’invisibile. Allora i draghi ci saltano attraverso, diciamo, e imprimono la loro forma sulla matrice della possibilità di questo mondo. Quando ero vivo, ero molto bravo. Potevo immaginare fino a, oh! cinquecento draghi alla volta. Ora Liessa, la più dotata dei miei figli, può soltanto immaginare cinquanta creature alquanto insignificanti. Ecco il risultato dell’educazione progressista. Lei non crede veramente in loro. Ecco perché i suoi draghi sono piuttosto noiosi, mentre il tuo è quasi all’altezza di certi dei miei. Una vista che rallegra gli occhi, non che io adesso di occhi ne abbia.
Duefiori disse in fretta: — Voi continuate a dire di essere morto…
— Ebbene?
— Ebbene i morti, ehm, loro, sapete, non parlano molto. Di regola.
— Io ero un mago eccezionalmente potente. Naturalmente, mia figlia mi ha avvelenato. È questo il metodo di successione generalmente accettato nella nostra famiglia, ma… — Il cadavere sospirò o almeno un sospiro provenne dall’aria a qualche centimetro al di sopra. — Si è subito visto che nessuno dei miei tre figli è abbastanza potente da strappare agli altri due la signoria del Wyrmberg. Una situazione altamente insoddisfacente. Un regno come il nostro deve avere un solo governante. Così ho deciso di restare vivo in via ufficiosa, ciò che, com’è naturale, irrita enormemente tutti loro. Non darò ai miei figli la soddisfazione di seppellirmi fintanto che non resterà soltanto uno di loro a sbrigare la cerimonia. — Ci fu uno sgradevole rumore sibilante che, nelle intenzioni del morto, avrebbe dovuto essere una risatina.
— Allora è stato uno di loro che ci ha rapiti? — chiese Duefiori.
— Liessa. Mia figlia. Sai, il suo potere è più forte. I dragoni dei miei figli sono incapaci di volare più di qualche chilometro prima di scomparire.
— Svanire? Ho notato che potevamo vedere attraverso quello che ci ha portato qui. L’ho giudicato un po’ curioso.
— Naturale — disse Greicha. — Il Potere agisce soltanto vicino al Wyrmberg. È la legge inversa del quadrato, sai. O almeno, lo credo. Via via che i draghi volano più lontano, cominciano a deperire. Altrimenti a quest’ora la mia piccola Liessa governerebbe il mondo intero. Ma capisci che non devo trattenerti. Suppongo che desideri liberare i tuoi amici.
Duefiori restò a bocca aperta. — Hrun?
— Lui no. Il mago magrolino. Mio figlio Lio!rt sta cercando di farlo a pezzi. Ho ammirato il modo in cui lo hai liberato. Lo libererai, voglio dire.
Duefiori si raddrizzò in tutta la sua altezza, il che era un compito facile. — Dov’è? — chiese avviandosi deciso alla porta con passo che sperava eroico.
— Segui la traccia nella polvere — disse la voce. — Qualche volta Liessa viene a vedermi. Viene ancora a vedere il suo vecchio papà, la mia bambina. Lei era la sola dotata della forza di carattere per assassinarmi. Una figlia che somiglia al padre. A proposito, buona fortuna, mi pare di ricordarmi di averlo detto. Voglio dire, che lo dirò.
La voce si perse incoerente in un labirinto di forme verbali, mentre Duefiori correva per i tunnel deserti, seguito a ruota dal drago. Ma presto si appoggiò, senza più fiato, a un pilastro. Gli sembrava che fossero passati secoli da quando aveva mangiato l’ultima volta.
— Perché non voli? — gli disse Ninereeds dentro la testa. Il drago spiegò le ali, le agitò per saggiarne la capacità e si sollevò dal suolo. Duefiori lo guardò per un momento, poi corse ad arrampicarsi sul collo della bestia. Ben presto volavano a qualche centimetro da terra, lasciandosi dietro una scia di polvere volteggiante.
Duefiori si teneva aggrappato come meglio poteva a Ninereeds mentre la bestia superava un seguito di caverne e si librava lungo una scala a chiocciola che avrebbe potuto facilmente ospitare un esercito in ritirata. Arrivati in cima, emersero nella zona più abitata, gli specchi all’angolo dei corridoi erano tersi e riflettevano una luce pallida.
— Sento l’odore di altri draghi.
Il battito delle ali divenne frenetico e Duefiori fu sbalzato all’indietro quando il dragone virò e sfrecciò giù per un corridoio laterale come un rondone impazzito. Con un’altra svolta ad angolo acuto sboccarono dal tunnel nella parete laterale di una vasta caverna. Molto più in basso si scorgevano delle rocce e dall’alto piovevano raggi di luce da grandi buchi vicini al tetto. A mano a mano che Ninereeds s’innalzava, battendo l’aria con le sue grandi ali, sul soffitto si notava anche una grande operosità. Duefiori scorgeva le sagome di bestie appollaiate e di uomini simili a minuscoli puntini che in qualche modo camminavano a testa all’ingiù.
— Questa è una uccelliera — disse il drago in tono soddisfatto.
In quel momento, sotto gli occhi di Duefiori, una delle sagome si staccò dal tetto e a poco a poco diventò più grande…
Scuotivento fissava il pallido viso di Lio!rt allontanarsi. "È buffo" pensò "perché sto salendo’?
Poi cominciò a precipitare nell’aria e si rese conto della situazione: stava piombando giù verso le rocce macchiate di guano.