Che sciocca, pensò mentre si avviava a passo lento verso casa sulla passerella, che sciocca che sono stata a pensare di poter bere solo acqua e stare in silenzio! Non riuscirò mai a scordare nulla, mai nulla. Non sarò mai libera, non sarò mai degna della libertà. Persino la vecchiaia non mi induce a lasciar perdere. Persino la perdita di Safnan non mi spinge a lasciar perdere.

Si pararono davanti ai Cinque Eserciti. Levando la spada, Enar disse a Kamye: Mio signore, ho la tua morte nelle mani! Allora Kamye rispose: Fratello, le tue mani stanno stringendo soltanto la tua morte.

Li conosceva già quei versi. Tutti li conoscevano. E così, Enar lasciò cadere la spada, perché era un eroe e un sant'uomo, il fratello minore del Signore. Ma io non posso lasciar andare la mia morte. La stringerò fino alla fine, la terrò in gran conto, l'odierò, la mangerò, la berrò, le presterò ascolto, le cederò il mio letto, la compiangerò, tutto tranne lasciarla andare.

Uscì dalle sue riflessioni per ammirare il pomeriggio sulle paludi: il cielo, riflesso in una lontana curva di canale, era d'un azzurro fosco privo di nubi e la luce del sole splendeva dorata sopra le spianate bigie dei canneti e tra gli steli delle canne. Soffiava il raro vento dolce d'occidente. Una giornata perfetta. Com'è bello il mondo, com'è bello il mondo! Una spada in mano mia, rivolta contro di me. O Signore, perché crei tanta bellezza per ucciderci?

Proseguì con passo stanco, stringendosi il nodo della sciarpa con uno strattone nervoso. Di questo passo, tra poco si sarebbe ritrovata a girovagare tra gli acquitrini gridando a squarciagola, come Abberkam.

Ed eccolo, quando parli del lupo: eccolo che arrancava con quella sua andatura da cieco, come se riuscisse a vedere soltanto i suoi pensieri, e percuoteva la strada con il grosso bastone, manco stesse ammazzando un serpente. I lunghi capelli grigi gli svolazzavano attorno alla faccia. Non stava gridando, gridava soltanto di notte, e ormai nemmeno per molto, però parlava, gli vedeva le labbra che si muovevano. Poi lui la notò, e serrò la bocca, e si ricompose, guardingo come un animale selvatico. Si andarono incontro sulla stretta passerella, e non c'erano altri esseri umani in quel deserto di canne e melma e acqua e vento.

«Buona sera, Capo Abberkam,» disse Yoss, quando furono a pochi passi. Che omone che era, non riusciva mai a capacitarsi di quanto fosse alto e largo e pesante fin quando non lo rivedeva, la pelle scura ancora liscia come quella di un giovincello, anche se la testa non stava più tanto eretta e i capelli erano grigi e ribelli. E quel grosso naso a uncino e gli occhi diffidenti, ciechi. Abberkam borbottò una specie di saluto, rallentando appena l'andatura.

Oggi Yoss si sentiva incompresa. Era nauseata dai propri pensieri e dolori e manchevolezze. Si fermò, di modo che lui si dovesse arrestarsi per evitare di sbatterle contro, e disse, «Eri alla veglia, ieri sera?»

Lui abbassò gli occhi sulla donna. A Yoss parve che la stesse mettendo a fuoco. Poi alla fine Abberkam domandò, «Veglia?»

«Ieri sera hanno sepolto il vecchio Uad. Tutti gli uomini si sono ubriacati, ed è una bella fortuna che non sia definitivamente scoppiata la faida.»

«Faida?» ripeté lui col suo vocione profondo.

Forse non era più capace di concentrarsi, eppure Yoss era indotta lo stesso a parlargli, ad arrivare a lui. «I Dewi e i Kamanner. Stanno litigando su quell'isola arabile poco a nord del villaggio. E quei due poveri ragazzi vorrebbero essere compagni, mentre i loro padri li minacciano di morte se soltanto si guardano. Che idiozia! Perché non dividono l'isola e lasciano che i loro figli si congiungano e che se la spartiscano? Temo che uno di questi giorni scorrerà il sangue.»

«Il sangue,» disse il Capo, facendo eco un'altra volta come un demente, e poi, con quella vociona profonda, la voce che lei aveva sentito gridare per lo strazio, di notte nelle paludi, disse lentamente, «Quegli uomini. Quei bottegai. Hanno anime da possidenti. Non ammazzeranno. Ma non spartiranno nemmeno. Se si tratta di proprietà, non lasceranno correre. Mai.»

Lei rivide la spada levata.

«Ah,» fece, rabbrividendo. «Allora i ragazzi dovranno aspettare… che i vecchi muoiano…»

«Troppo tardi,» disse il Capo. La guardò negli occhi per un istante, astuto e strano, poi si scostò i capelli con un gesto impaziente, grugnì qualcosa tipo arrivederci e partì così di colpo che Yoss quasi si dovette accucciare per lasciargli strada. Ecco come avanza un Capo, pensò sarcastica mentre riprendeva il cammino. Grosso, largo, occupa spazio, calpesta forte la terra. E così, così avanza una vecchina, curva, curva.

Alle sue spalle sentì uno strano rumore – spari, pensò subito, perché gli usi e costumi cittadini ti rimangono scolpiti nei nervi – e si voltò di scatto. Abberkam s'era fermato, e adesso stava tossendo con espettorazioni esplosive, tremende, la sua impalcatura possente ingobbita sugli spasmi che quasi lo mettevano in ginocchio. Yoss conosceva quella tosse. L'Ekumene doveva avere delle medicine adatte, ma lei aveva lasciato la città prima che arrivassero. Si portò accanto ad Abberkam, e quando la crisi passò e lui rimase lì boccheggiante, terreo in viso, gli disse, «È berlot. Lo stai superando o lo stai prendendo?»

Lui scrollò il capo.

Lei attese.

Mentre attendeva pensò, Che m'importa se è malato o meno? A lui importa, forse? È venuto qui per morire. L'ho sentito ululare nelle paludi al buio, l'inverno scorso. Ululare per l'agonia. Divorato dalla vergogna, come un uomo con un cancro che l'ha già divorato tutto, eppure non riesce a morire.

«Tutto a posto,» rispose il Capo, con voce roca, irosa, desideroso soltanto che lei se ne andasse, perciò Yoss fece un cenno col capo e se ne andò. Lascialo morire. Come fa a voler vivere ancora sapendo quel che ha perso, il potere, l'onore, e con quel che ha fatto? Ha mentito, tradito i suoi sostenitori, ha commesso appropriazione indebita. Il perfetto politicante. Il gran Capo Abberkam, eroe della Liberazione, capo del Partito Mondiale, che ha distrutto il Partito Mondiale per avidità e follia.

Si guardò alle spalle una volta soltanto. Abberkam si stava muovendo molto piano, o forse s'era addirittura fermato, non ne era ben sicura. Lei proseguì, prendendo a destra dove la passerella si biforcava, scendendo nel sentiero di palude che portava alla sua casupola.

Trecento anni prima questi acquitrini erano stati una vasta valle agricola verdeggiante, una delle prime a essere irrigate e coltivate dalla Compagnia delle Piantagioni Agricole quando aveva portato i suoi schiavi da Werel alla colonia su Yeowe. Troppo ben irrigata, troppo ben coltivata: i fertilizzanti chimici e i sali del terreno s'erano accumulati fino a rendere impossibile la crescita di alcunché, di modo che i possidenti s'erano trasferiti altrove a procacciarsi profitti. Qua e là le sponde dei canali d'irrigazione erano smottate, e le acque del fiume erano tornate a scorrere liberamente, raccogliendosi in laghetti e defluendo in anse, portandosi dietro pian piano anche il terreno. Adesso lì crescevano le canne, chilometri e chilometri di canneto che si curvava al vento, all'ombra delle nubi e delle ali dei trampolieri. Qua e là, su un'isola di roccia più solida, restavano alcuni campi e un villaggio di schiavi, qualche mezzadro, gente inutile su una terra inutile. La libertà della desolazione. E per tutte le paludi c'erano case disabitate.

Man mano che invecchiava, la popolazione di Werel e Yeowe si riduceva al silenzio, come gli raccomandava la loro religione. Quando i loro figli erano cresciuti, quando avevano terminato la loro opera di padrone di casa e cittadino, quando l'anima si fortificava con l'indebolirsi del corpo, si lasciavano alle spalle la vita e tornavano a mani vuote in posti solitari. Persino nelle Piantagioni i Boss avevano lasciato liberi gli schiavi di andarsene nel deserto, affrancati. Qui al nord, i liberti delle città arrivati nelle paludi vivevano come reclusi in case abbandonate. Adesso, dopo la Liberazione, arrivavano anche le donne.


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