— Colore della Terra — dissi.

— Ed eravate a Siuwensin, la notte dell'assalto? Per tutte le mammelle di Meshe! in quale mondo viviamo. Avreste potuto essere ucciso attraversando il ponte sull'Ey, dopo avere attraversato tutto lo spazio, per arrivare qui. Bene! Bene! Siete qui. E moltissime persone vogliono vedervi, e ascoltarvi, e darvi finalmente il benvenuto in Orgoreyn!

Mi installò immediatamente, e niente discussioni!, in un appartamento della sua casa. Essendo un alto burocrate e un uomo ricco, viveva in uno stile che non ha equivalente in Karhide, neppure tra i Lords dei grandi Dominii. La casa di Shusgis era un'intera isola, che ospitava più di cento dipendenti, di servitori domestici, di impiegati, di consulenti tecnici, e così via… ma nessun parente, nessun familiare. Il sistema di estesi clan familiari, di Focolari e Dominii, benché fosse ancora vagamente distinguibile nella struttura Commensale, era stato «nazionalizzato» diversi secoli prima, in Orgoreyn. Nessun bambino di età superiore a un anno vive con il suo genitore, o i genitori; tutti sono allevati nei Focolari Commensali. Non c'è alcun titolo né alcun rango per discendenza. I testamenti privati non sono legali; un uomo, morendo, lascia il suo patrimonio allo stato. Tutti iniziano sullo stesso piano di uguaglianza. Ma ovviamente non continuano allo stesso modo. Shusgis era ricco, e liberale con le sue ricchezze. C'erano dei lussi, nelle mie stanze, che io non avevo mai pensato esistessero su Inverno… per esempio, una doccia. C'era una stufa elettrica, insieme a un caminetto ben fornito. Shusgis rise:

— Mi hanno detto, tieni al caldo l'Inviato, lui viene da un mondo caldo, un mondo che è un forno, e non può sopportare il nostro freddo. Trattalo come se fosse incinto, metti delle pellicce sul suo letto e riscalda bene la sua stanza, riscalda l'acqua con la quale si lava e tieni chiuse le sue finestre! Basta così? Sarete a vostro agio? Vi prego di dirmi cos'altro vorreste avere qui.

A mio agio! Nessuno, in Karhide, mi aveva mai chiesto, in nessuna circostanza, se io mi fossi sentito a mio agio.

— Signor Shusgis — dissi, con una certa emozione, — mi sento perfettamente a mio agio… come se fossi nella mia casa.

Lui non fu soddisfatto, fino a quando non ebbe messo un'altra preziosa pelliccia sul letto, e degli altri ceppi nel caminetto.

— So come ci si sente — disse. — Quando io ero incinto, non riuscivo a scaldarmi… i miei piedi erano come ghiaccio, sono rimasto seduto sul fuoco per tutto quell'inverno. È stato molto tempo fa, naturalmente, ma lo ricordo bene! — … I getheniani tendono ad avere i loro figli quando sono giovani; quasi tutti, dopo l'età di ventiquattro anni, usano dei contraccettivi, e cessano di essere fertili, nella fase femminile, a circa quarant'anni. Shusgis era sulla cinquantina, perciò aveva detto «molto tempo fa, naturalmente,» e certamente era difficile immaginarlo come una giovane madre. Era un politicante navigato, duro, astuto e gioviale, le cui gentilezze servivano i suoi interessi, e il cui massimo interesse era in se stesso. Il suo era un tipo panumano. Lo avevo incontrato sulla Terra, e su Hain, e su Ollul. Mi aspettavo di incontrarlo anche all'Inferno.

— Voi siete bene informato sul mio aspetto e sui miei gusti, signor Shusgis. Ne sono lusingato; credevo che la mia reputazione non mi avesse preceduto.

— No — disse lui, comprendendo perfettamente ciò che intendevo dire, — avrebbero preferito tenervi sepolto sotto una valanga, laggiù a Erhenrang, vero? Ma vi hanno lasciato andare, vi hanno lasciato andare; ed è stato proprio il momento in cui ci siamo resi conto, qui, che voi non eravate solo un altro pazzoide karhidi, ma qualcosa d'importante… qualcosa di vero.

— Temo di non seguirvi.

— Bene, Argaven e i suoi accoliti avevano paura di voi, signor Ai… avevano paura di voi, e non vedevano l'ora di vedervi partire. Avevano paura che, se vi avessero trattato male, o vi avessero ridotto al silenzio, ci fosse stata qualche rappresaglia. Un assalto dallo spazio esterno, eh! Così non osavano toccarvi. E hanno tentato di ridurvi al silenzio. Perché hanno paura di voi, e di quello che portate a Gethen!

Era un'esagerazione; certo io non ero stato censurato, nei notiziari karhidi, per lo meno fino a quando Estraven era stato al potere. Ma avevo già ricevuto l'impressione che le notizie su di me non avessero girato molto, in Orgoreyn, e Shusgis confermava ora i miei sospetti.

— Allora voi non avete paura di ciò che io porto a Gethen?

— No, non abbiamo paura, signore!

— A volte io ne ho, invece.

Decise di ridere giovialmente, a quell'osservazione. Non spiegai ulteriormente le mie parole. Io non sono un venditore ambulante. Non vado a vendere il Progresso agli Aborigeni. Noi dobbiamo incontrarci come uguali, conoscerci con una certa comprensione e fiducia e innocenza reciproche, prima ancora che la mia missione abbia realmente inizio.

— Signor Ai, moltissime persone aspettano di conoscervi, pezzi grossi e personaggi meno importanti, e alcuni sono proprio gli individui con i quali vorrete parlare, qui, gli individui che fanno muovere le cose, che prendono le decisioni. Io ho chiesto l'onore di ricevervi, perché ho una casa grande, e perché godo una grande reputazione d'individuo neutrale, né un Dominatore né un Libero Mercante, semplicemente un tranquillo Commissario che fa il suo lavoro e che vi terrà riparato dalle domande e dalle chiacchiere sulla casa nella quale abitate. — Rise. — Ma questo significa che mangerete molto fuori, se non vi dispiace.

— Allora, questa sera il programma prevede una cenetta con Vanake Slose.

— Commensale di Kuwera… Terzo Distretto, vero? — Nauralmente avevo svolto qualche piccola ricerca preparatoria, prima di venire in quella nazione. Lui parve entusiasta, e si gonfiò tutto per la condiscendenza da me dimostrata nel degnarmi d'imparare qualcosa sulla sua nazione. Le maniere erano assai diverse, qui, da quelle di Karhide; in Karhide, il suo entusiasmo sarebbe stato degradante per il suo shifgrethor, o per il mio; non ero sicuro di quale sarebbe stato, ma uno dei due certamente… in pratica, tutto offendeva lo shifgrethor.

Avevo bisogno di abiti per una cena-ricevimento, avendo perduto il mio abito buono di Erhenrang nell'incursione di Siuwensin, così quel pomeriggio presi un tassi governativo, che mi portò nella parte alta della città, dove acquistai un abito Orgota. Hieb e camicia erano quasi uguali a quelli karhidiani, ma invece di calzoni estivi essi indossavano per tutto l'anno dei gambali che arrivavano alla coscia, gonfi e ingombranti; i colori erano chiassosi, azzurro o rosso, e stoffa, taglio e fattura erano tutti un po' troppo appariscenti, e scadenti. Si trattava di un lavoro standardizzato. Gli abiti mi mostrarono quel che mancava a quella città massiccia, imponente e grandiosa: eleganza. L'eleganza è un prezzo ridicolo da pagare, per il successo, e io ero lieto di pagarlo. Tornai nella casa di Shusgis e indugiai pigramente nella doccia, che mi irrorava di una fittissima trama d'acqua e vapore, che veniva da tutti e quattro i lati, ed era stimolante e gradevole. Pensai alle docce fredde, piccole nell'Est Karhide, che avevo usato per tutta l'estate tremando e battendo i denti, e ricordai la vasca dai bordi coperti di ghiaccio della mia stanza di Erhenrang. Era eleganza, quella? Evviva la comodità! Indossai i miei chiassosi paramenti rossi, e fui accompagnato, insieme a Shusgis, alla cena-ricevimento, a bordo dell'auto con autista del mio ospite. Un'auto privata. Ci sono molti più servitori, molti più servizi in Orgoreyn che in Karhide. Questo è perché tutti gli Orgota sono dipendenti dello stato; lo stato deve trovare un lavoro per tutti i cittadini, e ci riesce. Questa, almeno, è la spiegazione accettata, benché a somiglianza della maggior parte delle spiegazioni economiche essa sembri, sotto certi aspetti, trascurare totalmente il punto più importante.


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