— Attento con quell’arnese! — fece lei, nervosa.

Le scivolai accanto, sul sedile anteriore, domandandole: — Mi sa dire come si usano queste verghe? — Stava sopravvenendo la reazione dopo la tensione di prima, e io mi sentivo esausto ma di buonumore. Avevo voglia di bere almeno tre cicchetti e di mandare giù una bistecca enorme, per poi star sveglio tutta la notte ad aspettare i primi giornali del mattino con le recensioni della prima.

— No, non so — rispose lei. — Ma stia attento.

— Credo che basti solo schiacciare qui — e così dicendo, lo feci, e subito si disegnò sul parabrezza un foro rotondo largo un pugno, e l’interno della macchina non fu più pressurizzato.

Penny mandò un’esclamazione soffocata. Io mormorai: — Oh… mi spiace. Meglio che la metta via finché Dak non mi abbia insegnato a usarla.

Penny sospirò. — Sì. Stia solo attento a dove la punta — mi consigliò, sempre allarmata, avviando la macchina a una tale velocità da farmi comprendere come non ci fosse solo Dak ad avere il piede pesante sull’acceleratore.

Il vento entrava sibilando dal foro che avevo prodotto nel parabrezza. Domandai: — Perché tanta premura? Ho bisogno di tempo per studiare le risposte per la conferenza stampa. Le ha con lei? E gli altri, dove sono? — Solo allora m’era tornato alla mente l’autista che avevamo fatto prigioniero. Non ci avevo più pensato da quando si erano spalancati i portali del nido.

— No. Non sono potuti venire.

— Penny, ma insomma, cosa succede? — non potei far a meno di chiederle, mentre mi stavo domandando se avrei potuto tenere una conferenza stampa senza previe istruzioni in merito. Forse avrei potuto limitarmi a raccontare qualcosa sulla cerimonia dell’adozione; lì sarei stato sul sicuro.

— Si tratta di… l’onorevole Bonforte… l’hanno trovato!

6

Solo allora notai che non mi aveva ancora chiamato una sola volta, come prima, "onorevole Bonforte". Ovviamente non poteva più farlo, dal momento che non ero più lui. Ero tornato a essere Lorenzo Smythe, l’attore ingaggiato per impersonarlo.

Mi lasciai andare contro lo schienale, sospirando, e cercai di rilassarmi. — Così, finalmente, è finita… E ce l’abbiamo fatta! — esclamai, con la sensazione di essermi tolto un grosso peso dalle spalle. Non m’ero accorto di quanto fosse grosso il peso fino al momento in cui non me lo tolsi. Persino la mia gamba "zoppa" aveva smesso di farmi male. Allungai una mano a battere la manina con cui Penny teneva il volante, e dissi con la mia voce: — Sono proprio contento che sia finita. Comunque lei mi mancherà, gliel’assicuro. Ci avevo fatto l’abitudine ad averla insieme con me. Lei è come una collega, ormai. Ma purtroppo è sempre così; quando s’incomincia a essere un po’ affiatati, la stagione finisce e la compagnia si scioglie. Spero comunque di poterla rivedere ancora qualche volta.

— Lo spero anch’io.

— Immagino che Dak abbia già studiato qualche trucco per tenermi nascosto e per farmi poi salire di soppiatto a bordo della Tom Paine.

— Non lo so. — La sua voce aveva un timbro strano, tanto che mi voltai a guardarla e constatai subito che piangeva. Il mio cuore fece un balzo. Penny che piangeva! Piangeva perché dovevamo dividerci, forse? Non potevo crederci, tuttavia l’avrei voluto. Qualcuno potrebbe essere portato a credere che con i miei lineamenti aristocratici e le mie maniere squisite le donne mi trovino irresistibile, invece debbo confessare che purtroppo molte di loro riescono sempre a resistere facilmente al mio fascino. Penny stessa, poi, sembrava non aver mai trovato alcuna difficoltà nel farlo.

— Penny, mia cara — mi affrettai a dire. — Perché tutte queste lacrime? Finirà col mandare la macchina a fracassarsi.

— Non riesco a dominarmi.

— Be’, si sfoghi, mi dica. Cos’è che non va? Mi ha detto che l’hanno ritrovato; ma non m’ha detto i particolari. — D’improvviso m’era balenata nella mente un’orrenda supposizione. — È vivo, no?

— Si… è vivo… ma… oh, gli hanno fatto tanto male! — Scoppiò in singhiozzi, tanto che dovetti afferrare io il volante.

— Mi scusi — disse, riprendendosi subito.

— Vuole che guidi io?

— No, ora è passata. Inoltre lei non sa… cioè, voglio dire, si pensa che lei non sappia guidare la macchina.

— Come? Non dica sciocchezze. Io ne sono perfettamente capace, e credo che ormai tutte queste finzioni non abbiano più importanza… — ma m’interruppi di botto, rendendomi conto che potevano avere ancora importanza, invece. Se Bonforte era ridotto male, in modo visibile, allora non poteva certamente mostrarsi in pubblico nelle sue condizioni… e certo non un quarto d’ora dopo essere stato adottato. Forse, quindi, avrei dovuto partecipare io alla conferenza stampa e partire io ufficialmente da Marte, mentre sarebbe stato il Bonforte vero quello da imbarcare alla chetichella sull’astronave. Be’, niente di preoccupante… solo una chiamata al proscenio per un bis imprevisto.

— Penny — domandai — Dak e Rog desiderano che continui a recitare ancora per un po’? Devo andare io a parlare coi giornalisti? Oppure no?

— Non lo so. Non abbiamo avuto il tempo di far progetti.

Stavamo già avvicinandoci alla fila di dock dello spazioporto, e le gigantesche cupole pressurizzate di Goddard City erano nettamente in vista. — Penny, rallenti un po’ e mi spieghi cos’è successo, per favore. Credo d’avere il diritto anch’io di sapere qualcosa.

Il conducente aveva parlato (mi dimenticai di chiedere se il sistema della forcina fosse stato usato o no). Era stato anche lasciato libero, perché tornasse a piedi, e gli avevano permesso di tenere la maschera dell’aria. Gli altri si erano diretti di gran carriera a Goddard City, con Dak al volante. Mi sentii fortunato di essere rimasto indietro; i voyageur non dovrebbero assolutamente avere il permesso di guidare altro che le astronavi.

S’erano precipitati all’indirizzo fornito dal conducente, nella Città Vecchia, sotto la prima cupola. Credo si tratti di quel tipo di casbah che si trova in tutti i porti, dal tempo in cui i fenici cominciarono a veleggiare lungo le coste dell’Africa: un covo di deportati, di prostitute, di spacciatori di droga, di loschi trafficanti e altra feccia… un posto, insomma, in cui i poliziotti vanno sempre a due per volta.

Risultò che il conducente aveva dato l’indirizzo giusto, ma che c’erano arrivati con qualche minuto di ritardo. La stanza era sicuramente stata usata come prigione per Bonforte, perché conteneva un letto che sembrava essere stato occupato per almeno una settimana di fila. Inoltre c’era una cuccuma di caffè ancora caldo e, avvolta in un tovagliolo sul comodino, c’era una vecchia protesi dentaria asportabile che Clifton riconobbe subito per quella di Bonforte. Ma Bonforte non c’era, e neppure i suoi rapitori.

Dak e gli altri se n’erano allora andati, con l’intenzione di mettere in atto quel piano originale che avevano comunicato anche a me: annunciare il rapimento di Bonforte come se fosse avvenuto subito dopo la sua adozione, ed esercitare pressioni su Boothroyd minacciando di rivolgersi al Nido di Kkkah. Invece avevano poi trovato Bonforte. Si erano semplicemente imbattuti in lui poco prima di uscire dalle ultime tortuose viuzze della Città Vecchia: un povero vecchio, lacero, sporco, inebetito, con la barba di una settimana e l’aspetto d’un alcolizzato. Gli uomini non l’avevano riconosciuto, ma Penny sì, e li aveva fatti fermare.

Ora, raccontandomi l’incontro, scoppiò di nuovo a piangere, perdendo il controllo della guida, tanto che per poco non andammo a sbattere contro un autoarticolato che stava uscendo da uno dei dock.

Secondo la ricostruzione più plausibile dei fatti, gli occupanti della seconda auto (cioè quella con cui avremmo dovuto scontrarci) erano ritornati a riferire l’accaduto. In seguito a ciò, gli ignoti istigatori dei nostri avversari avevano deciso che il rapimento ormai non serviva più ai loro scopi. Nonostante quanto già sapevo sulla probabile vendetta dei marziani, mi stupì che non lo avessero ucciso, semplicemente. Solo in un secondo tempo compresi che, comportandosi come si erano comportati, si erano dimostrati molto più astuti, molto più coerenti con i loro propositi, e anche molto più crudeli che non limitandosi semplicemente a ucciderlo.


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