Dubois stava dicendo: — Dak, stupido, imbecille, incosciente che non sei altro, vuoi proprio farci finire sulle cave di pietra di Titano? Quel chiacchierone presuntuoso spiffererà tutto.

Per poco non mi perdevo la risposta di Broadbent. Presuntuoso a me! A parte la serena consapevolezza della mia genialità, mi ero sempre ritenuto un uomo di modestia esemplare.

— … a mali estremi, estremi rimedi — stava dicendo Broadbent. — Jacques, è la sola persona che ci può essere utile.

Dubois: — Va bene; allora chiama qui il professore; fagli iniettare la droga dopo averlo ipnotizzato. Ma non dirgli niente… aspetta che si sia condizionato, non qui su terrasporca.

Broadbent: — Uhm, è stato lo stesso professore ad avvertirmi che non potevamo far affidamento sull’ipnosi e sulle droghe; non per quello di cui abbiamo bisogno, comunque. Dobbiamo ottenere la sua cooperazione, la sua cooperazione intelligente.

Dubois: — Ma di quale intelligenza stai parlando? — Assunse un’espressione di assoluto disprezzo. — Ma guardalo: è tutto tronfio come un gallinaccio. Sì, ha la taglia e l’altezza del Capo; anche la stessa forma della testa… ma in quella testa c’è solo segatura. Perderà subito il sangue freddo, comincerà a dare i numeri, manderà tutto all’aria. Non può certo essere all’altezza della parte… è un povero guitto gigione, e nient’altro.

Se avessero accusato l’immortale Caruso di aver preso una stecca, non avrebbe potuto offendersi più di quanto rimasi offeso io allora. Credo che in quell’occasione mi guadagnai pienamente il diritto di rivendicare il mantello shakespeariano di Richard Burbage e Edwin Thomas Booth; continuai a lustrarmi le unghie sul bavero e ignorai l’apprezzamento… mi limitai a un appunto mentale per il giorno della rivincita, quando nel giro di venti secondi avrei portato prima al riso e poi al pianto l’amico Dubois con le mie arti drammatiche. Aspettai ancora qualche istante, poi mi alzai e mi avvicinai all’angolo a prova di suono. Vedendomi arrivare, subito i due smisero di confabulare. — Lasciate stare, signori. Ho cambiato idea — comunicai con tutta tranquillità.

— Ha deciso di rifiutare? — domandò speranzoso Dubois.

— Al contrario: ho deciso di accettare. Non occorre che mi diate spiegazioni. L’amico Broadbent mi ha già detto che si tratta di un lavoro che non mi darà preoccupazioni di coscienza, e tanto mi basta. Mi fido di lui. Inoltre mi ha assicurato che avete bisogno di un attore, e siccome gli interessi privati del produttore teatrale non sono di mìa pertinenza, accetto senz’altro.

Dubois era seccatissimo, ma tenne la bocca chiusa. M’ero aspettato che Broadbent fosse contento e sollevato, invece mi parve preoccupato anche lui. — Bene, dunque — dichiarò. — Lorenzo, non so ancora esattamente per quanto tempo avremo bisogno delle sue prestazioni. Credo si tratterà solo di pochi giorni. In tutto questo periodo lei dovrà "recitare" per un’ora alla volta o pressappoco, per un’occasione o due.

— Il particolare non ha importanza, purché mi sia concesso il tempo sufficiente per studiare la parte… la sostituzione, voglio dire. Ma per quanti giorni all’incirca vi occorreranno le mie prestazioni? Dovrei avvertire il mio agente.

— Oh, no! Non deve assolutamente farlo!

— Be’… quanto? Una settimana?

— No, bisogna che sia meno, altrimenti siamo fritti!

— Come?

— Niente, niente. Cento crediti al giorno le vanno bene?

Esitai ricordando con quanta facilità aveva accettato di darmi il mio minimo contrattuale solo per un colloquio… poi decisi che era il momento di fare il signore. Scossi la mano con noncuranza.

— Non parliamo di queste piccolezze. Sono certo che mi sarà offerto un onorario adeguato al valore della mia interpretazione.

— Bene, bene — tagliò corto Broadbent, voltandosi. — Jacques, mettiti in contatto col campo. Poi fatti passare Langston e avvertilo che stiamo dando inizio al piano Mardi Gras. Sincronizza l’orologio con il suo. — Si voltò verso di me. — Lorenzo… — mi fece cenno di seguirlo, precedendomi a grandi passi nel bagno. Aprì una cassettina e mi chiese: — Crede di riuscire a combinare qualcosa con queste cianfrusaglie?

"Cianfrusaglie": l’aveva detto. Si trattava di una di quelle scatole con il nécessaire per il trucco, roba costosissima che nessun professionista si sognerebbe mai di toccare, venduta negli empori e destinata ai bambini che vogliono giocare all’attore. Fissai la scatola con un certo disgusto, poi chiesi: — Se ho ben capito, lei, signore, mi chiede di dare inizio alla sostituzione, adesso, senza che abbia avuto neanche il tempo di studiare la persona da imitare?

— Come? No, no! Voglio solo che lei cambi faccia, in modo che nessuno riesca a riconoscerla quando usciremo di qui. Può farlo, vero?

Risposi seccamente che l’essere riconosciuto è uno dei fardelli cui tutte le celebrità devono assoggettarsi. Non mi parve necessario aggiungere che, con la massima certezza, migliaia di persone avrebbero riconosciuto immediatamente il volto del Grande Lorenzo, dovunque egli andasse.

— Bene. Cambi dunque faccia in modo che nessuno la riconosca — ripeté, e mi piantò in asso.

Con un sospiro cominciai a esaminare il nécessaire giocattolo che mi aveva lasciato e che, secondo lui, conteneva i normali strumenti della mia professione: ceroni adatti ai pagliacci, gommalacca puzzolente, una parrucca crespa e arruffata che pareva fatta con la lana strappata al tappeto buono della zia. Non uno dei ritrovati moderni, neppure un tubetto di Silicoderm, nemmeno una spazzola elettrica. Ma il vero artista è capace di far miracoli con un fiammifero bruciato e con altri oggetti comunissimi, di quelli che si possono trovare in qualsiasi cucina… e con il suo genio. Accesi tutte le luci e mi lasciai scivolare in una fantasticheria creativa.

Diversi sono i modi per evitare che un viso celebre venga riconosciuto. Il più semplice consiste nello sviare l’attenzione dell’osservatore: fate indossare a un uomo un’uniforme, e nessuno, probabilmente, noterà più il suo volto… Ricordate, voi, che faccia avesse l’ultimo poliziotto che vi è capitato di incontrare? Siete certi che riuscireste a riconoscerlo, la prossima volta, vedendolo vestito in borghese? Sullo stesso principio si basa il lineamento singolo che richiama specificamente l’attenzione su di sé. Mettetevi un nasone enorme, magari deturpato da un po’ d’acne rosacea: le persone maleducate rimarranno a fissare il vostro naso incantate, le educate volteranno la testa dall’altra parte per non mettervi in imbarazzo, ma né le une né le altre baderanno al resto del viso.

Tuttavia decisi di non attenermi a questo secondo accorgimento, troppo semplicistico, perché mi pareva che i miei datori di lavoro preferissero che non mi facessi affatto notare, piuttosto che farmi ricordare per un lineamento troppo particolare, pure senza essere riconosciuto. Così era più difficile per me, tuttavia. Tutti sono capaci di farsi notare, ma per passare inosservati ci vuole del talento vero. Mi occorreva un viso comune e impossibile da ricordare come il vero volto dell’immortale Alec Guinness. Sfortunatamente i miei lineamenti aristocratici sono troppo distinti, troppo belli… il che costituisce un handicap non trascurabile per un attore caratterista. Mio padre soleva infatti dirmi: — Larry, sei troppo bello, accidenti! Se non ti scrolli un po’ dalle chiappe la pigrizia e non ti decidi a far lavorare il cervello, passerai quindici anni a far parti d’amoroso, nell’errata convinzione d’essere un attore, e poi finirai nel loggione a vendere caramelle per sbarcare il lunario. "Stupido" e "bello" sono i difetti più gravi sulle scene, e tu li hai entrambi!

Poi si sfilava la cinghia, e se ne serviva per stimolare la mia intelligenza. Papà era uno psicologo pratico, ed era convinto che scaldando i glutei maximi con una striscia di cuoio si riuscisse a trarre il sangue in eccedenza dal cervello. Anche se posso nutrire dei dubbi sull’esattezza dei fondamenti teorici di tale convinzione, debbo però ammettere che i risultati giustificarono il metodo: a quindici anni ero in grado di star ritto sulla testa sopra un filo teso, e di recitare pagine e pagine di Shakespeare o di Shaw senza inciampi, e di richiamar l’attenzione del pubblico su di me, in una scena, con il semplice gesto di far accendere una sigaretta.


Перейти на страницу:
Изменить размер шрифта: