— Ti vedo, capitano Dak Broadbent — squittì il marziano, e aggiunse: — Lo dirai al mio nido?

— Lo dirò al tuo nido, Rrringriil.

— Ti ringrazio, capitano Dak Broadbent.

Dak allungò un dito grosso e massiccio e lo infilò nell’occhio più vicino, spingendo finché le nocche furono a contatto del cranio. Allora ritrasse il dito, sporco di un umore verdastro simile a fango. Con uno spasmo riflesso, gli pseudoarti si ritrassero strisciando nelle loro cavità, ma la creatura continuò a rimanere ritta sul suo piedistallo. Dak si precipitò subito in bagno; dal rumore che sentii, si sciacquava con cura le mani. Io rimasi dov’ero, paralizzato dall’orrore, immobile quasi come il defunto Rrringriil.

Dak tornò subito, asciugandosi le mani nella camicia. Disse: — Qui dobbiamo dare una pulita. Non abbiamo molto tempo. — Sembrava che stesse parlando di una macchia di liquore per terra…

Cercai di fargli capire bene, con un farfugliamento confuso, che non volevo assolutamente prestarmi ai suoi piani, che l’unica cosa da fare era chiamare la polizia, che volevo andare via prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, che si ficcasse dove meglio credeva quel suo pazzo lavoro di sostituzione, e che avrei voluto possedere le ali per volarmene via dalla finestra. Dak non mi badò. — Non faccia il fifone, Lorenzo. Abbiamo meno tempo di prima. Mi dia una mano a portare i cadaveri nel bagno.

— Eh? Che importa? Chiudiamo a chiave l’uscio e tagliamo la corda. Probabilmente non verranno mai a sapere che eravamo presenti.

— Probabilmente no — convenne — dal momento che nessuno di noi due dovrebbe trovarsi qui adesso. Però capiranno subito che è stato Rrringriil a uccidere Jacques, e la cosa sarebbe molto spiacevole per tutti noi. Specialmente adesso.

— Eh?

— Non possiamo permettere che la stampa imbastisca uno scandalo su un marziano che uccide un terrestre. Perciò lasci perdere le obiezioni e mi dia una mano, invece.

Lasciai perdere le obiezioni e gli diedi una mano. Ritornai più sicuro di me ricordandomi che "Benny Grey" era un sadico psicopatico della peggior specie, e che traeva un vero piacere dallo smembrare le sue vittime. Lasciai che fosse "Benny Grey" a trascinare nel bagno le due vittime umane, mentre Dak prendeva la verga marziana e tagliava a pezzi Rrringriil per poterlo portare via meglio. Badò con molta perizia a fare il primo taglio proprio sotto la scatola cranica, in modo da sporcare meno. Io non mi preoccupai di dargli aiuto, perché mi pareva che un marziano morto puzzasse ancor più che un marziano vivo.

L’oubliette era dietro una porticina del bagno, accanto al bidet. Per fortuna c’era il solito simbolo che avvertiva delle radiazioni, il trifoglio, altrimenti sarebbe stato difficile trovarla. Dopo averci gettato i resti mortali di Rrringriil (riuscii a ritrovare un po’ del mio sangue freddo, tanto da poter dare una mano), Dak affrontò il problema più complesso: macellare e far scomparire i cadaveri umani per mezzo della verga lavorando, com’è ovvio, nella vasca da bagno.

È davvero stupefacente constatare quanto sangue contenga un corpo umano. Tenemmo aperto il rubinetto dell’acqua per tutto il tempo, eppure fu una brutta faccenda lo stesso. Quando fu la volta del povero piccolo Jacques, Dak non se la sentì. Gli si riempirono gli occhi di lacrime, non riuscì più a vederci, cosicché lo feci da parte con una gomitata, prima che si tagliasse via una mano, e lasciai che "Benny Grey" prendesse il sopravvento.

Quando ebbi terminato e nell’appartamento non rimase nessuna traccia della presenza di altri due uomini e di un mostro, risciacquai ben bene la vasca e mi rialzai. Dak stava accanto all’uscio, calmo come sempre.

— Ho lustrato il pavimento come uno specchio — mi disse. — Credo che uno specialista della scientifica, con tutta l’attrezzatura, sarebbe in grado di ricostruire l’accaduto, ma possiamo contare su un fatto: nessuno sospetta di niente. Andiamo subito via. Dobbiamo trovare un modo per riguadagnare una decina di minuti. Avanti!

Ormai non mi curavo più di sapere dove andavamo e cosa facevamo. — Bene — dissi — occupiamoci degli stivali.

Scosse la testa. — No, mi rallenterebbero. A questo punto, l’unica cosa che conta è fare in fretta. Se mi riconoscono, pazienza.

— Mi affido a lei. — Lo seguii alla porta, dove si fermò per dire: — Potrebbero essercene altri nei paraggi. Se ne vede qualcuno, cerchi di sparare per primo… non c’è altro da fare. — Teneva in mano la verga marziana, avvolta nella cappa.

— Marziani?

— O uomini. O gli uni e gli altri.

— Dak, mi dica una cosa. Rrringriil era uno di quei quattro marziani del bar Mañana?

— Sicuro. Perché diavolo crede che io abbia fatto tutto quel traffico per farla uscire dal bar e per farla venire qui? Quelli o stavano dietro a lei, come del resto stavamo anche noi, o stavano dietro a me. Non lo ha riconosciuto?

— Santo cielo, no! Quei mostri mi sembrano tutti uguali.

— Anche loro dicono che noi sembriamo tutti uguali. Quei marziani erano Rrringriil, suo fratello-coniugato Rrringlath, e altri due dello stesso nido, di linee diverse. Ma adesso, zitto. Se vede un marziano, spari. Ha con sé l’altra pistola?

— Uhm, sì. Mi stia a sentire, Dak. Io non so niente di questa storia, ma mi basta sapere che quei mostri sono contro di voi per essere dalla vostra parte. I marziani mi disgustano.

Rimase scosso dalla mia affermazione. — Lei non sa quello che dice — ribatté. — Noi non siamo affatto contro i marziani. Quei quattro sono dei traditori.

— Cosa?

— In giro ci sono un mucchio di ottimi marziani… anzi, quasi tutti lo sono. Perdio, anche Rrringriil non era cattivo, sotto certi aspetti. Ho giocato con lui tante belle partite a scacchi.

— Come? Allora, io…

— Zitto. Ormai lei c’è dentro fino al collo, per pensare di squagliarsela. Svelto, all’ascensore. Io controllo che non ci sia nessuno alle spalle.

Rimasi zitto. C’ero dentro fino al collo, lo sapevo anch’io, inequivocabilmente.

Giunti nel sotterraneo ci recammo direttamente all’espresso pneumatico. Proprio in quell’istante era arrivato un abitacolo a due posti; Dak mi cacciò dentro a precipizio, tanto che non feci in tempo a vedere la destinazione da lui scelta sui quadri di comando. Non rimasi affatto sorpreso quando, riavutomi dalla spinta d’accelerazione, potei finalmente alzare la testa e scorgere la tabella luminosa: SPAZIOPORTO JEFFERSON — Capolinea.

A dire il vero la stazione d’uscita non m’interessava, purché fosse il più lontano possibile dall’Eisenhower. Durante i pochissimi minuti trascorsi all’interno della galleria pneumatica avevo avuto tempo di studiare un piano, abbozzato, provvisorio, e ancora da definire nei dettagli, come dicono sempre le righe in carattere piccolo stampate alla fine dei contratti, ma pur sempre un piano. Lo si poteva sintetizzare in una frase sola: tagliare la corda.

Solo poche ore prima, mi sarebbe stato impossibile tentar di concretizzare un piano simile; nel nostro tipo di civiltà, un uomo senza un soldo è inerme come un bimbo in fasce. Ma con cento sacchi in tasca potevo andar lontano, e in fretta. Non sentivo alcun obbligo nei confronti di Dak Broadbent. Per motivi suoi — e nei quali io non c’entravo proprio per niente — a momenti mi aveva fatto ammazzare, poi mi aveva coinvolto nell’occultamento di un’azione delittuosa, e infine mi aveva costretto a fuggire, eludendo la giustizia. Ma per fortuna tutto era andato bene, finora, e la polizia non ne sapeva niente, così, se ora riuscivo a togliermi dai piedi Broadbent, potevo dimenticare tutto l’accaduto, accantonandolo come un brutto sogno. Era poco probabile che si facesse il mio nome a proposito dei delitti, anche se fossero stati scoperti… per fortuna un gentiluomo porta sempre i guanti, e i miei me li ero tolti solo per truccarmi, prima, e poi durante quell’agghiacciante "pulizia domestica".


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