— Lo sappiamo — disse Mike.

— Perciò credo a quello che dite. Per riportare l’argomento su un piano che io possa capire devo concludere che il piano richiede la conquista della catapulta.

— Sì — rispondemmo all’unisono Mike e io.

— Non è impossibile. Poi dobbiamo conservare la conquista e mantenere la catapulta in funzione. Mike, hai pensato a come proteggere la catapulta contro, diciamo, un piccolo missile a testata termonucleare?

La discussione proseguì a lungo. Interrompemmo per mangiare… secondo la regola rivoluzionaria del Professore. Mike invece continuò imperterrito a raccontare barzellette suscitando una selva di ricordi al Professore.

Quando lasciammo l’Hotel Raffles, la sera del 14 maggio del ’75, avevamo delineato il piano della Rivoluzione, compresa una serie di varianti per le situazioni critiche: o meglio l’aveva delineato Mike con l’aiuto del Professore.

Stavamo per uscire, io diretto a casa e Prof alla scuola serale e poi, sempre che non lo arrestassero, a casa a fare il bagno, cambiarsi e prendere gli oggetti necessari per passare la notte in albergo, quando risultò evidente che Wyoh non aveva voglia di rimanere sola in quella strana stanza. Wyoh era una donna forte di fronte al pericolo, ma era debole e vulnerabile nelle situazioni d’attesa.

Decisi allora di telefonare a Mum con un collegamento Sherlock e le dissi che avrei portato un ospite a pranzo. Ogni coniuge poteva portare a casa ospiti per la cena o anche a dormire, e i figli erano quasi altrettanto liberi ma dovevano chiedere il permesso. Non so come si comportino le altre famiglie. I nostri costumi sono gli stessi da un secolo a questa parte: per noi vanno bene.

Così Mum non chiese nome, età, sesso o situazione familiare dell’ospite; era un mio diritto portarlo a casa e lei era troppo orgogliosa per fare domande del genere. Si limitò a dire: — Ne sono lieta, caro. Avete mangiato? Sai che oggi è martedì.

Il riferimento era per ricordarmi che la famiglia aveva mangiato presto perché Greg celebrava la funzione religiosa ogni martedì sera. Se l’ospite non aveva mangiato, però, gli sarebbe stata servita la cena ugualmente. Era una concessione all’ospite, non a me; con l’eccezione di Granpà, mangiavamo solo alle ore dei pasti, oppure ce ne stavamo a sgranocchiare qualche avanzo di cucina, in piedi.

Le assicurai che avevamo mangiato e che avremmo fatto il possibile per arrivare prima che lei uscisse. Nonostante la mescolanza di musulmani, ebrei, cristiani, buddisti e seguaci di altre novantanove sette, esistenti sulla Luna, credo che la domenica sia il giorno più comune per andare in chiesa. Ma Greg appartiene a una setta che ritiene che il Sabbath vada dal tramonto di martedì al tramonto di mercoledì. Nei mesi estivi, perciò, mangiavamo molto presto il martedì sera.

Mum andava sempre a sentire la predica di Greg, e non sarebbe stato gentile da parte mia metterla di fronte a un impegno che glielo impedisse. Tutti gli altri ci andavano, di tanto in tanto, a me capitava parecchie volte all’anno perché ero molto affezionato a Greg; lui mi aveva insegnato un mestiere e mi aveva aiutato a impararne un altro quando l’incidente mi aveva costretto a cambiare attività. Avrebbe preferito averlo perso lui, il braccio. Mum andava sempre, per tradizione più che per senso religioso; una sera, prima di addormentarsi, mi confessò di non credere a una religione con un’etichetta specifica, però mi scongiurò anche di non dirlo a Greg. Anch’io le feci la stessa confessione e raccomandazione.

Greg era il marito prediletto di Mum. Era stato optato quando lei era ancora molto giovane, nel primo matrimonio successivo al suo ingresso nella famiglia. Era molto sentimentale con lui. Se accusata di amarlo di più di ogni altro marito, negava con tutta l’energia, però aveva abbracciato la sua fede quando Greg aveva preso gli ordini, e non aveva perduto una sola funzione del martedì.

Mum chiese: — Credi che il tuo ospite voglia venire in chiesa?

Risposi che glielo avrei chiesto, ma che comunque saremmo arrivati subito, poi la salutai. Bussai alla porta del bagno e dissi: — Spicciati con il trucco, Wyoh, abbiamo poco tempo a disposizione.

— Un minuto! — gridò. Wyoh non è come le altre ragazze: comparve dopo un minuto esatto. — Come vi sembro? — chiese. — Prof, credi che potrò passare?

— Cara Wyoming, sono sorpreso. Eri splendida prima, sei splendida ora… ma completamente irriconoscibile. Sarai sicura al cento per cento, e io mi sento molto sollevato.

Aspettammo che Prof si trasformasse nel vecchio derelitto. Sarebbe rimasto tale fino al corridoio della scuola, poi sarebbe comparso davanti ai suoi allievi nella consueta veste del vecchio maestro, per avere testimoni nel caso che una giubba gialla fosse lì per arrestarlo.

Nella breve attesa parlai a Wyoh di Greg.

Mi chiese: — Mannie, ti pare che vada il mio trucco? Abbastanza efficace per la chiesa? L’illuminazione è molto brillante?

— Non più di qua. Hai fatto un buon lavoro, non se ne accorgerà nessuno. Ma vuoi davvero andare in chiesa? Nessuno ti costringe.

Rispose: — Farebbe piacere a tua mad… voglio dire, alla tua moglie anziana, non è vero?

— Wyoh — dissi lentamente — la religione è un affare personale. Ma dato che me lo chiedi… sì, non c’è modo migliore per inserirsi nella famiglia Davis che andare in chiesa con Mum. Se vuoi andare, verrò anch’io con te.

— Ci andrò. Pensavo che il tuo cognome fosse O’Kelly.

— Lo è, infatti. Ma se vuoi essere formale, aggiungici Davis. Davis era il primo marito, morto cinquant’anni fa. È rimasto come nome di famiglia e tutte le nostre mogli si chiamano gospaza Davis, signora Davis, ciascuna, però, mantiene il cognome del marito, oltre al proprio di famiglia. In pratica l’unica vera gospaza Davis è Mum, e la puoi chiamare così. Le altre vengono chiamate con il primo nome e aggiungono il cognome Davis solo quando firmano un assegno o firmano documenti ufficiali. L’unica eccezione è Ludmilla, che si fa chiamare Davis-Davis, poiché si sente fiera della sua doppia appartenenza alla famiglia, per nascita e per opzione.

— Capisco. Allora, se un uomo si chiama John Davis è un figlio, ma se ha un cognome diverso è un co-marito. Però una ragazza sarebbe Jenny Davis in entrambi i casi, non è vero? Come faccio a distinguere? Dall’età? No, il criterio non funziona. Mi sento molto confusa! Pensavo che i matrimoni di clan fossero complicati. O i matrimoni poliandrici… anche se il mio non era tale. I miei mariti, per lo meno, avevano lo stesso cognome.

— Non c’è nessuna difficoltà: quando senti una donna di quarant’anni rivolgersi a una ragazza di quindici con l’appellativo Mama Milla, sai subito qual è moglie e qual è figlia. In realtà non incontrerai difficoltà del genere, perché in casa non ci sono figlie in età di matrimonio: vengono optate subito. Però potrebbero venire in visita. I tuoi mariti si chiamavano Knott?

— Oh, no. Fedoseev, Choy Lin e Choy Mu. Ho ripreso il mio nome di ragazza.

Prof emerse dal bagno. Sembrava un relitto umano. Uscimmo da tre diverse uscite, ci riincontrammo nel corridoio principale, a una certa distanza uno dall’altro.

Wyoh non conosceva Luna City, una grotta tanto complicata che gli stessi abitanti ogni tanto ci si perdono; così io andai avanti per guidarla, mantenendomi sempre in vista. Prof chiudeva la fila per accertarsi che lei non perdesse le mie tracce.

Se venivo arrestato, Wyoh si sarebbe fermata al primo telefono pubblico, avrebbe riferito a Mike, poi sarebbe tornata in albergo ad aspettare il Professore. Ma ero sicuro che la giubba gialla che avesse voluto arrestarmi si sarebbe buscata una carezza dal braccio numero sette.

Non ci furono sorprese. Salimmo al livello cinque e attraversammo la città lungo la galleria Carver, poi al livello tre fino alla Stazione Metropolitana Ovest, dove ritirai la cassetta delle braccia di riserva e degli arnesi che avevo depositato là. Non ritirammo le tute a pressione; avrebbero dato nell’occhio. Le lasciammo in deposito. C’era una giubba gialla, ma non mostrò alcun interesse nei miei confronti. Proseguii in direzione sud, lungo corridoi ben illuminati fino a che raggiunsi la porta stagna privata numero tredici che dava accesso alle gallerie pressurizzate cooperative della Fattoria Davis e di una dozzina di altri agricoltori. Immagino che Prof ci avesse lasciato all’ingresso della porta stagna, ma non mi voltai a guardare.


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