Mi fermai nell’ufficio dell’Ingegnere Capo per lasciare la fattura e chiesi di vederlo. Mi fecero entrare, e lo trovai di umore bellicoso. Il Governatore doveva averlo tartassato molto. — Solo un istante — gli dissi. — Oggi è il compleanno di mio figlio e non voglio arrivare in ritardo alla festa. Ma devo prima mostrarvi una cosa.
Presi una busta dalla cassetta degli arnesi e la rovesciai sul suo tavolo: c’era dentro una mosca morta che avevo preso e carbonizzato con il saldatore. Non tolleriamo mosche nella Fattoria Davis, ma talvolta una riesce a infiltrarsi dalla città quando si apre la porta stagna. Quella mosca era finita nella mia officina proprio quando ne avevo bisogno. — Vedete? Indovinate dove l’ho trovata.
Su quella prova falsa improvvisai una conferenza sulla cura delle macchine delicate, parlai di porte chiuse e aperte, mi lamentai dei tecnici che stavano di guardia. — La polvere può mettere fuori uso un calcolatore, ma gli insetti sono addirittura una catastrofe. È imperdonabile! Eppure i vostri tecnici di guardia entrano ed escono da quella sala come se si trattasse della stazione della Metropolitana. Oggi, tutt’e due le porte aperte e quell’idiota che berciava sulla soglia. Se trovo un’altra prova che i pannelli i protezione sono stati rimossi da qualche sciocco inesperto che lascia entrare le mosche… insomma, l’impianto è vostro, ingegnere. Ho già più lavoro di quello che posso fare, e mi sono occupato dei vostri calcolatori solo perché le macchine mi piacciono molto. Ma non posso sopportare di vederle trattare con tanta incuria. Per ora, arrivederci.
— Aspettate, voglio dirvi una cosa.
— Mi dispiace, devo andarmene. Prendere o lasciare. Io non sono un cacciatore di mosche, sono un esperto di calcolatori.
Non c’è niente che possa rendere un uomo più nervoso che non dargli la possibilità di dire la sua. Con un po’ di fortuna e il Governatore che mi dava una mano, l’Ingegnere Capo avrebbe avuto una bella ulcera prima di Natale.
Ero comunque in ritardo e mi scusai umilmente con Billy. Ma la colpa era di Alvarez che ne aveva pensata un’altra delle sue: perquisizione all’uscita di tutti gli uffici e impianti dell’Ente. La subii senza reagire contro gli Arditi che mi frugavano dappertutto, volevo arrivare a casa al più presto. La cosa che li preoccupò fu il rotolo di carta con le mille barzellette stampate. — Che roba è? — chiese uno.
— Carta di calcolatore — risposi. — Una prova che ho fatto oggi.
Si avvicinò un altro poliziotto. Non credo che sapessero leggere. Volevano confiscarmi il rotolo e allora chiesi di parlare con l’Ingegnere Capo. Mi lasciarono andare.
Quando me ne andai non ero affatto seccato. Più andava avanti quella storia e più le guardie sarebbero state odiate.
15
La decisione di personalizzare Mike sempre di più sorse dalla necessità che ogni compagno potesse telefonargli nelle più svariate occasioni. Il mio consiglio a proposito di conferenze e pubbliche manifestazioni era soltanto una trovata marginale.
Al telefono, la voce di Mike risultava strana, una cosa che non avevo preso in considerazione all’inizio. Quando si parla a qualcuno al telefono, ci sono sempre rumori di fondo. E poi si sente il respiro, si ha la sensazione, non sempre cosciente, di fruscio di abiti, di gesti. E soprattutto, anche se dietro l’apparecchio c’è un paravento, si sentono dei rumori che riempiono lo spazio e rendono l’interlocutore una persona viva, in un ambiente reale.
Intorno a Mike non c’era niente. Ormai la voce di Mike era diventata umana per timbro e qualità, e molto riconoscibile. Aveva un tono baritonale, accento nordamericano con qualche inflessione australiana, come Michelle aveva un tono da soprano con accento francese. Anche la sua personalità si era fatta più netta. Quando lo avevo presentato a Prof e Wyoh, sembrava un bambino pedante. In poche settimane si era trasformato, e ora mi pareva di parlare con un adulto suppergiù della mia età.
Quando si era appena svegliato, Mike aveva una voce metallica e confusa, difficilmente comprensibile. Ora era limpida e la scelta delle parole era sempre perfetta: tono familiare con me, dottorale con il Professore, galante con Wyoh, insomma le variazioni che ci si aspetta da un uomo intelligente e maturo.
Ma lo sfondo da cui muovevano le sue parole era muto come una tomba.
Decidemmo di creargli intorno un ambiente. Fu sufficiente dare a Mike una traccia. Ecco i risultati: "Scusami, Mannie, quando il telefono ha suonato ero in bagno". E fingeva di essere ansante per aver fatto una corsa. Oppure: "Mangiavo, fammi inghiottire il boccone". Ricorreva a questi trucchi anche con me, una volta intrapreso il compito di assumere un corpo umano.
Una sera ci riunimmo al Raffles per mettere insieme il personaggio Adam Selene. Quanti anni aveva? Che aspetto aveva? Sposato? Dove abitava? Che lavoro faceva? Che interessi aveva? Stabilimmo che Adam aveva quarant’anni, era pieno di salute, vigoroso, colto, interessato alle arti e alle scienze e profondo esperto di problemi storici, grande giocatore di scacchi, ma con poco tempo per giocare. Si era sposato nel tipo di matrimonio più comune, una troika in cui era il marito più anziano. Aveva quattro figli. Per quanto ne sapessimo la moglie e il marito più giovane non si interessavano di politica.
Era un uomo di bell’aspetto, virile, con capelli grigio-ferro molto ondulati, di razza mista. Rispetto alla media dei Lunari era un uomo agiato, con interessi finanziari a Novylen e a Hong Kong oltre che a Luna City. Aveva due uffici a Luna City, uno con dodici impiegati e un altro, quello privato, con il vice e la segretaria.
Wyoh voleva sapere se andava a letto con la segretaria. Le dissi di lasciar perdere, che era una faccenda privata. Wyoh ribatté indignata che non voleva fare la ficcanaso, ma dato che c’erano era meglio delineare il suo carattere fino in fondo.
Decidemmo che gli uffici erano nel quartiere centrale della Vecchia Cattedrale, lato sud, terza rampa, il cuore del distretto finanziario. Se conoscete Luna City ricorderete che nel quartiere della Vecchia Cattedrale alcuni uffici hanno finestre, diversamente da tutte le altre abitazioni, e guardano sulla grande piazza. Tenevo molto a questo particolare, mi pareva efficace.
Disegnammo la topografia della piazza e stabilimmo che, se l’ufficio fosse davvero esistito, sarebbe stato fra la Società Aetna Luna e la Greenberg C. Mi recai sul posto con il microregistratore per raccogliere i rumori tipici del quartiere; Mike fece il resto spiando qualche telefonata.
Da allora, quando si chiamava Adam Selene lo sfondo non era più muto. Se Ursula, la sua segretaria, rispondeva, andava così: "Qui Società Selene. La Luna sarà libera!". Poi, per esempio: "Potete attendere? Il signor Selene è all’altro apparecchio". A questo punto veniva magari un rumore d’acqua dal bagno a smentire la piccola bugia innocente. Oppure rispondeva Adam in persona: "Parla Adam Selene. Luna Libera. Aspetta un secondo che spengo la televisione". A volte rispondeva il suo vice: "È Albert Ginwallah che parla, il sostituto di Adam Selene. Luna Libera. Se la chiamata riguarda questioni del Partito, e immagino che sia così dato che vi siete presentato con il nome di battaglia, non abbiate timore, il Presidente ha piena fiducia in me".
Quest’ultima era una trappola, dato che a ogni compagno era stato ordinato di parlare solo con Adam Selene in persona. Non veniva presa nessuna misura contro chi abboccava all’esca. Si avvertiva invece il capo cellula che a quel compagno non bisognava affidare nessun compito di importanza vitale.
Incominciarono gli echi. I motti Luna Libera! o La Luna sarà Libera! fecero presa fra i giovani, poi fra i cittadini adulti.
Quando udii per la prima volta questi motti, in una telefonata d’affari, quasi svenni per la sorpresa. Chiamai subito Mike per sapere se la persona con cui parlavo era un membro del partito. Non lo era. Allora raccomandai a Mike di indagare lungo i rami del partito per vedere se qualche cellula poteva reclutarla.