"Vediamo che altro c’è. Previdenza sociale. Non credo di sapere che cosa sia ma, comunque, non l’abbiamo. Pensioni. Si possono comperare. Ma la maggior parte della gente non lo fa. Le famiglie sono numerose e i vecchi, dai cento anni in su, si trastullano con i loro passatempi preferiti o stanno davanti alla televisione. Oppure dormono. Dormono molto, soprattutto dopo i centoventi."
— Scusate, signore. È vero che sulla Luna la gente vive così a lungo come dicono?
Finsi una faccia sorpresa, ma in realtà era una domanda prevista. Stimolata direi, e la risposta era già pronta. — Nessuno sa quanto possa vivere un essere umano sulla Luna: nessuno ci è vissuto abbastanza a lungo. I nostri cittadini più anziani erano nati sulla Terra, e quindi la loro esperienza non conta. Finora nessun individuo nato sulla Luna è morto di vecchiaia, ma anche questo non vuol dire molto: non hanno avuto nemmeno il tempo di diventare vecchio nemmeno cento anni. Ma… ecco, prendete il mio caso. Quanti anni mi date? Io sono un Lunare autentico, di terza generazione.
— Oh, in verità, colonnello Davis, ero sorpresa per la vostra giovane età… per questa missione, intendo. Sembrate sui ventidue. Siete più anziano? Non di molto, immagino.
— Signora, mi dispiace che la gravità terrestre mi impedisca di inchinarmi davanti a voi. Grazie. Ventidue anni fa ero già sposato.
— Come? Oh, state scherzando!
— Non mi permetterei mai di indovinare l’età di una signora, ma se emigraste sulla Luna, manterreste la vostra attuale bellezza molto più a lungo che sulla Terra e allunghereste la vostra vita di almeno vent’anni. — Ripresi in esame la lista che avevo compilato. — Riassumo tutte le altre voci dicendo che non abbiamo nessuno di questi vantaggi sulla Luna e che quindi non vedo la ragione di pagare le tasse. In quanto all’altro argomento, signore, voi saprete certamente che il costo iniziale delle colonie è stato ampiamente ripagato con i carichi di grano. Siamo stati dissanguati, le nostre risorse naturali sfruttate… e non siamo nemmeno stati pagati a prezzi di mercato. Questa è la ragione per cui l’Ente Lunare è così testardo: vuole continuare a sfruttarci. L’idea che la Luna sia stata una spesa per la Terra e che dobbiate recuperare le somme investite è una menzogna inventata dall’Ente per giustificare il fatto che ci state trattando come schiavi. La verità è che da un secolo a questa parte la Luna non costa un centesimo alla Terra e l’investimento iniziale è stato ammortizzato da un pezzo!
Il mio ometto cercò di reagire. — Non vorrete sostenere che le colonie hanno ripagato tutti i miliardi di dollari che è venuto a costare l’incremento dei voli spaziali?
— Potrei anche darvene la prova. Ma comunque non c’è ragione di accollare a noi questa spesa. Vostri sono i voli spaziali, dei popoli della Terra. Noi non li abbiamo, non abbiamo nemmeno una sola astronave. Perché dovremmo pagare ciò che non abbiamo ricevuto? È la stessa obiezione che faccio a proposito dei vantaggi elencati in questa lista: non ne abbiamo nemmeno uno, perché li dovremmo pagare?
Improvvisamente mi sentii stanco e me ne andai.
8
La giornata però non era finita. Oltre alla stampa, mi dovetti sorbire i membri del corpo diplomatico. Per fortuna non erano molti e non avevano veste ufficiale, nemmeno il rappresentante del Ciad. Ma noi rappresentavamo una curiosità, e tutti volevano vederci.
Ce n’era uno solo importante, un cinese. Fui sorpreso nel vederlo: era il delegato cinese della Commissione delle Nazioni Federate che ci aveva interrogato. Si presentò semplicemente come dottor Chan ed entrambi fingemmo di vederci per la prima volta.
Era quel dottor Chan che doveva poi diventare senatore della Grande Cina ed essere per lungo tempo il rappresentante numero uno presso l’Ente Lunare. Molto più tardi sarebbe poi divenuto Vicepresidente e Primo Ministro, poco prima di venire assassinato.
Esauriti gli argomenti che tutti si aspettavano che affrontassi e tralasciati gli altri, mi diressi verso la mia camera con la sedia a rotelle, ma fui immediatamente convocato da Prof. — Manuel, sono certo che hai notato il nostro illustre ospite della Repubblica Asiatica.
— Il vecchio cinese della Commissione?
— Cerca di moderare il tuo linguaggio, figliolo. Ti prego di non usarlo finché rimaniamo qui, neppure quando parli con me. Sì, lui. Desidera sapere che cosa volevamo dire con dieci volte o anche cento volte. Spiegaglielo bene.
— La versione giusta? O una storia qualsiasi?
— Quella giusta. Quell’uomo non è stupido. Sei in grado di descrivergli i particolari tecnici?
— Ho studiato bene la lezione. Se non è un esperto di balistica, sarà sufficiente.
— No, non ne sa molto. Ma tu non fingere di sapere quello che non sai. E non pensare che sia dalla nostra parte. Potrebbe però esserci di grande aiuto se arriva alla conclusione che i nostri interessi coincidono con i suoi. Non cercare di persuaderlo, però. Ora è nel mio studio. Buona fortuna. E ricordati… parla in buon inglese.
Il dottor Chan si alzò quando entrai nella stanza: dovetti scusarmi di non poter fare altrettanto. Disse che comprendeva le difficoltà a cui si esponeva un abitante della Luna quando veniva da queste parti e mi pregò di non fare sforzi. Congiunse le mani in segno di saluto e si rimise a sedere.
Salterò le formalità preliminari. Avevamo o non avevamo una soluzione precisa, quando sostenevamo che esiste un sistema poco costoso per inviare grandi quantità di materiali sulla Luna?
Gli risposi che un metodo c’era: dispendioso come primo investimento, ma molto economico nelle spese di esercizio. — È quello di cui ci serviamo sulla Luna, signore. Una catapulta: una catapulta che imprima ai carichi da lanciare la necessaria velocità di fuga.
La sua espressione rimase imperturbabile. — Colonnello, siete al corrente che tale proposta è stata avanzata più di una volta ed è sempre stata respinta con ragioni che parevano valide? Ragioni tecniche che hanno a che fare con la presenza di un’atmosfera.
— Sì, dottore. Ma sulla base di approfonditi studi condotti per mezzo di un calcolatore elettronico, e delle nostre esperienze in fatto di catapulte, riteniamo che il problema possa essere considerato risolto. Due delle nostre maggiori società, la LuNoHo e la Banca di Hong Kong Luna, sono pronte a costituire un’impresa privata che si incarichi della realizzazione del progetto. Potrebbero aver bisogno di aiuto finanziario dalla Terra e dividere con voi le azioni, con diritto di voto, per quanto preferirebbero indubbiamente emettere obbligazioni per mantenere il controllo totale sull’attività. Per prima cosa hanno bisogno di una concessione da un governo terrestre, una specie di diritto d’uso permanente, per il terreno sul quale costruire la catapulta. Questo terreno potrebbe trovarsi in India.
(Il discorso era preparato. La LuNoHo in realtà era fallita e la Banca di Hong Kong aveva cambiato attività, limitandosi ormai ad agire solo come banca centrale della nostra Nazione in pieno disastro economico. Lo scopo del discorso era di far entrare nella testa dell’interlocutore l’ultima parola: in India. Prof mi aveva ben inculcato il concetto che questa parola doveva venir pronunciata per ultima.)
Il dottor Chan rispose: — Non preoccupatevi del lato finanziario. Ciò che è possibile materialmente può essere realizzato anche dal punto di vista finanziario; i quattrini sono lo spauracchio delle menti meschine. Perché scegliereste l’India?
— Ecco, signore, l’India oggi consuma, io credo, più del novanta per cento del grano che spediamo dalla Luna…
— Novantatré virgola uno per cento.
— Proprio così. L’India, quindi, è notevolmente interessata al nostro grano ed è verosimile che sia disposta a collaborare. Basterebbe che ci concedesse l’uso del terreno e ci mettesse a disposizione la mano d’opera e le materie prime. Ma ho nominato l’India anche perché offre un’ampia scelta di zone adatte, di alta montagna, non troppo distanti dall’equatore. L’equatore non è essenziale, però è molto utile. Ma è indispensabile che la catapulta sia in alta montagna, per via di quell’atmosfera di cui avete parlato; densità dell’aria, sarebbe meglio dire. La testa della catapulta deve trovarsi alla massima altitudine possibile, e il punto terminale, dove il carico sta già viaggiando alla velocità di undici chilometri al secondo, deve assolutamente essere situato in una zona in cui l’aria è talmente rarefatta da avvicinarsi al vuoto assoluto. Questo, sulla Terra, implica una montagna altissima. Prendete per esempio il Nanda Devi, a circa quattrocento chilometri da qui. La ferrovia arriva a sessanta chilometri di distanza e c’è una strada che conduce fino quasi al punto in cui avrebbe inizio la catapulta. Il picco è alto ottomila metri. Non so se sia il punto ideale, comunque dovrebbe servire al nostro scopo. Toccherà ai tecnici terrestri scegliere il punto ideale.