— Trovo equivoco il termine ospiti-impiegati. Posso dedurre che la maggior parte degli abitanti del satellite della Terra devono essere considerati individui liberi e non deportati in libertà vigilata?

— Certamente — concesse con sufficienza il Presidente. — Abbiamo studiato tutti gli aspetti legali della nuova politica. Circa il novantuno per cento degli abitanti delle colonie hanno la cittadinanza, originaria o derivata, di vari Stati aderenti alle Nazioni Federate. Coloro che desiderano tornare nel loro Paese di origine hanno il diritto di farlo. Vi farà piacere sapere che l’Ente ha allo studio un piano di prestiti a lungo termine per organizzare i trasporti necessari… Probabilmente sotto l’egida della Croce Rossa Internazionale. Devo aggiungere che, personalmente, sono favorevolissimo a questo progetto, in quanto renderà privo di senso ogni discorso sulla schiavitù della Luna. — Sorrise, con l’aria di chi è soddisfatto di sé.

— Capisco — disse Prof. — Molto umano. E la Commissione, o l’Ente, hanno riflettuto sul fatto che gli abitanti della Luna sono fisicamente inadatti a vivere su questo pianeta? Che sono stati condannati a un esilio permanente e involontario che ha causato mutamenti fisiologici irreversibili, che pertanto non potranno più tornare a vivere a loro agio e in perfetta salute in un mondo dove la forza di gravità è sei volte superiore a quella a cui i loro corpi si sono assuefatti?

Quel farabutto increspò le labbra come se stesse prendendo in considerazione un’idea completamente nuova.

— Parlando di nuovo a titolo personale, non me la sento di condividere ciò che voi affermate essere indiscutibilmente vero. Può essere vero per alcuni, falso per altri. Gli individui sono enormemente diversi gli uni dagli altri. La vostra presenza qui dimostra che non è impossibile, per un abitante della Luna, ritornare sulla Terra. In ogni caso, non è nostra intenzione obbligarvi a tornare. Noi speriamo che preferiate rimanere e che riusciate a incoraggiare altri a emigrare sulla Luna. Ma si tratta di scelte personali, nello spinto di libertà garantito dalla Grande Carta delle Nazioni Federate. Quanto a questo possibile mutamento fisiologico… ecco, non riguarda il campo legale. Chiunque ritenga più prudente, o motivo di maggiore felicità, rimanere sulla Luna, è libero di restare.

— Capisco, signore. Noi siamo liberi. Liberi di rimanere sulla Luna a lavorare, con gli incarichi e le paghe stabilite da voi… o liberi di tornare sulla Terra a morire.

Il Presidente si strinse nelle spalle. — Ci accusate di essere crudeli. Non è vero. Se fossi giovane, emigrerei subito sulla Luna. Ci sono possibilità enormi. In ogni caso, non mi lascio turbare dalle vostre distorsioni della realtà… la storia ci darà ragione.

Ero sorpreso dall’atteggiamento di Prof: rinunciava alla lotta. Ed ero anche preoccupato per la sua salute, dopo settimane di sforzi e una notte in bianco. Si limitò a rispondere: — Onorevole Presidente, ritengo che le astronavi per la Luna saranno presto rimesse in servizio. Potete organizzare il ritorno sulla prima astronave per me e il mio collega? Perché devo ammettere, signore, che la debolezza causata dalla forza di gravità è, nel nostro caso, molto reale. La nostra missione è conclusa, dobbiamo tornare a casa.

(Non una parola sui carichi di grano, né sul lancio di sassi, e nemmeno una battuta futile come quella del bastonare la mucca. Prof appariva spossato.)

Il Presidente si sporse in avanti e si rivolse a noi con malvagia soddisfazione. — Professore, sono sorte alcune difficoltà. Per non fare misteri, sembra che siate colpevoli di tradimento nei confronti delle Nazioni Federate, anzi, nei confronti dell’intera umanità… e si sta preparando l’atto di accusa. Non credo che per un uomo della vostra età e salute si andrà più in là di una condanna con la condizionale. Comunque, pensate che sia prudente da parte nostra lasciarvi tornare nel luogo dove avete commesso questi reati e dove potreste scatenare nuovi disordini?

Prof sospirò. — Capisco il vostro punto di vista. In questo caso, signore, potete scusarmi? Sono molto stanco.

— Certamente. Tenetevi a disposizione di questa Commissione. La seduta è aggiornata. Colonnello Davis?

— Signore. — Stavo spingendomi con la sedia a rotelle verso Prof, per accompagnarlo fuori: i nostri infermieri non erano ancora entrati in sala.

— Vorrei scambiare due parole con voi, per cortesia.

— Ah… — Guardai Prof e mi parve in stato di incoscienza, con gli occhi chiusi. Invece mosse un dito per farmi segno di avvicinarmi a lui. — Onorevole Presidente, io sono più infermiere che diplomatico. Sono incaricato della salute del Professore. È vecchio e ammalato.

— Gli infermieri si occuperanno di lui.

— Bene… — Ero accanto a Prof e mi curvai su di lui per quanto mi concedeva la sedia a rotelle. — Prof, tutto bene?

Mi rispose con un sussurro appena comprensibile. — Senti che cosa vuole. Dichiarati sempre d’accordo con lui. Ma non ammettere niente.

Poco dopo ero solo con il Presidente, a porte chiuse. Ma questo non significava niente. La stanza poteva avere una dozzina di orecchie, oltre a quella del mio braccio sinistro.

Chiese: — Qualche cosa da bere? Un caffè?

— No, grazie, signore — risposi. — Devo stare attento alla dieta, qui.

— Lo immagino. Davvero siete costretto a rimanere su quella sedia? Avete un magnifico aspetto.

— Se necessario, posso alzarmi e fare qualche passo — risposi. — Ma potrei sentirmi male, svenire e anche peggio. Preferisco non rischiare. Peso sei volte quanto dovrei e il mio cuore non è abituato.

— Non stento a crederlo, colonnello. Ho sentito che avete avuto una piccola seccatura nell’America del Nord. Mi dispiace, veramente. Non mi è mai piaciuto quel Paese. Immagino che vi stiate domandando perché vi ho chiesto di fermarvi.

— No, signore, penso che me lo direte quando vi parrà opportuno. Piuttosto, mi chiedo perché continuiate a chiamarmi colonnello.

Uscì in una sonora risata. — Per abitudine, suppongo, dopo un’intera vita di protocollo. Tuttavia penso che vi possa essere utile continuare a fregiarvi del grado. Ditemi, che cosa pensate del nostro piano quinquennale?

Pensavo che fosse una porcheria. — Mi pare che sia stato studiato con molta competenza.

— È vero, abbiamo lavorato intensamente. Mi sembrate un uomo di buonsenso, colonnello. So che lo siete. Non solo conosco il vostro passato, ma praticamente mi sono note tutte le parole che avete detto, perfino quasi i vostri pensieri, da quando avete messo piede sulla Terra. Voi siete nato sulla Luna. Vi considerate un patriota?

— Penso di sì. Per quanto sia incline a pensare che ciò che abbiamo fatto fosse soltanto un passo necessario e inevitabile.

— Detto fra noi… sono d’accordo. Quel vecchio stupido di Hobart! Colonnello, il nostro è un buon piano… ma ci manca l’uomo che lo porti a compimento. Se siete davvero un patriota o, diciamo, un individuo efficiente che ha a cuore gli interessi del proprio Paese, potete essere voi l’uomo adatto. — Sollevò una mano. — Non c’è fretta! Non vi sto chiedendo di passare al nemico o di tradire la patria, o altre sciocchezze del genere. Vi offro l’occasione di dimostrarvi un vero patriota, non un eroe da strapazzo che si fa uccidere per una causa perduta. Mettiamola così. Pensate che le colonie lunari possano opporre resistenza alle forze delle Nazioni Federate? Voi, in realtà, non siete un militare, lo so bene. Con una valutazione approssimativa, quante astronavi e quante bombe credete che occorrano per distruggere le colonie lunari?

— Un’astronave e sei bombe.

— Esattamente! Santo cielo, che bello parlare con un uomo di buon senso. Le bombe dovrebbero essere molto grandi, magari costruite appositamente. Alcuni abitanti sopravvivrebbero per qualche tempo, nelle grotte più isolate e lontane dalle zone bombardate. Ma una sola nave sarebbe sufficiente, ci impiegherebbe dieci minuti.


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