Anche Sparviero sospirò, ma non sembrava che si sentisse il cuore più leggero. — Bene — disse. — Le vie strane hanno strane guide. Andiamo.

Arren si avviò al suo fianco. — Non vorrai condurlo con noi, vero?

—  Spetta a lui decidere.

In un lampo di collera, Arren pensò: spetta anche a me. Ma non disse nulla; e proseguirono insieme, in silenzio.

Non furono ben accolti, al loro ritorno a Sosara. Su una piccola isola come Lorbanery, tutto viene risaputo subito, e senza dubbio li avevano visti deviare verso la Casa dei Tintori, e parlare col pazzo lungo la strada. Il locandiere li servì sgarbatamente, e sua moglie si comportò come se avesse una paura terribile di loro. La sera, quando gli uomini del villaggio vennero a sedersi sotto la tettoia della locanda, evitarono ostentatamente di parlare con i forestieri e si sforzarono di conversare tra loro con spiritosa gaiezza. Ma non avevano molte spiritosaggini da scambiarsi, e ben presto esaurirono tutta l’allegria. Rimasero seduti a lungo in silenzio, e infine il sindaco chiese a Sparviero: — Hai trovato le tue pietre azzurre?

—  Ho trovato alcune pietre azzurre — rispose educatamente il mago.

—  Sopli ti ha mostrato dove trovarle, senza dubbio.

—  Ah, ah, ah — fecero gli altri uomini, di fronte a quel capolavoro d’ironia.

—  Sopli sarebbe l’uomo dai capelli rossi?

—  Il pazzo. Avete fatto visita a sua madre, questa mattina.

—  Io stavo cercando un mago — disse Sparviero.

L’uomo magro, che sedeva più vicino a lui, sputò nell’oscurità. — Perché?

—  Credevo che avrei potuto scoprire quello che cerco.

—  La gente viene a Lorbanery per acquistare la seta — disse il sindaco. — Non viene in cerca di pietre. E neppure in cerca d’incantesimi. O di gesti e di frasi senza senso e di trucchi da incantatori. Qui vivono persone oneste, che fanno un lavoro onesto.

—  È vero. Ha ragione — dissero altri.

—  E non vogliamo nessun altro, qui, individui che vengono da terre straniere per curiosare e impicciarsi degli affari nostri.

—  È vero. Ha ragione — ripeterono gli altri, in coro.

—  Se qui ci fosse qualche incantatore che non fosse pazzo, gli daremmo un lavoro onesto negli opifici: ma quelli non sanno neppure fare un lavoro onesto.

—  Potrebbero saperlo, se ce ne fossero — disse Sparviero. — Gli opifici sono vuoti, le piantagioni sono abbandonate, la seta nei vostri magazzini è stata tutta tessuta anni addietro. Cosa fate, qui a Lorbanery?

—  Badiamo agli affari nostri — rispose aspramente il sindaco, ma l’uomo magro s’intromise in tono eccitato: — Perché non vengono, le navi? Diccelo tu! Cosa fanno a Città Hort? Forse perché il nostro lavoro è scadente? — Venne interrotto da smentite rabbiose. Gli uomini si scambiarono grida, balzarono in piedi, il sindaco agitò il pugno in direzione di Sparviero, un altro sfoderò un coltello. Erano infuriati. Arren scattò in piedi, prontamente. Guardò Sparviero, aspettandosi di vederlo cinto all’improvviso dal fulgore della luce magica, pronto ad ammutolirli con la rivelazione del suo potere. Ma quello non lo fece. Rimase seduto a guardare gli uomini e ad ascoltare le loro minacce. E a poco a poco quelli si azzittirono, come se non sapessero alimentare la loro collera più di quanto sapessero alimentare l’allegria. Il coltello fu rinfoderato; le minacce si mutarono in sbuffi sprezzanti. Cominciarono ad allontanarsi come cani dopo una zuffa, alcuni baldanzosi, altri con fare furtivo.

Quando i due rimasero soli, Sparviero si alzò, entrò nella locanda, e bevve una lunga sorsata d’acqua, dalla brocca accanto alla porta. — Vieni, ragazzo — disse. — Ne ho avuto abbastanza.

—  Andiamo alla barca?

—  Sì. — Posò due pezzi d’argento sul davanzale della finestra, per pagare il vitto e l’alloggio, e si caricò sulle spalle il leggero involto dei loro indumenti. Arren era stanco e insonnolito, ma girò lo sguardo sulla stanza squallida e soffocante, che adesso era tutta un fremito di pipistrelli inquieti, fra le travi; pensò alla notte che vi aveva trascorso e fu ben lieto di seguire Sparviero. E mentre percorrevano l’unica e buia strada di Sosara, pensò che andandosene adesso avrebbe lasciato lì il pazzo. Ma quando giunsero al porto, Sopli li stava aspettando sul pontile.

—  Eccoti qui — disse il mago. — Sali a bordo, se vuoi venire con noi.

Senza pronunciare una parola, Sopli si calò nella barca e si rannicchiò accanto all’albero, come un grosso cane irsuto. Arren si ribellò. — Mio signore! — disse. Sparviero si voltò: si guardarono, faccia a faccia, sul pontile.

—  Su quest’isola sono tutti pazzi, ma credevo che tu non lo fossi. Perché lo porti con noi?

—  Come guida.

—  Una guida… verso altre pazzie? Verso la morte per annegamento, o per una coltellata nella schiena?

—  Verso la morte, ma non so per quale strada.

Arren aveva parlato accalorandosi, e sebbene Sparviero rispondesse quietamente, nella sua voce c’era una nota di risentimento. Non era abituato a simili contestazioni. Ma sempre, da quando Arren aveva cercato di difenderlo dal pazzo quel pomeriggio, per la strada, e si era accorto che la sua protezione era vana e inutile, aveva provato un senso di amarezza, e tutto lo slancio di devozione che aveva sentito al mattino era rovinato e sprecato. Non era in grado di proteggere Sparviero: non gli era consentito prendere decisioni; non poteva neppure comprendere il carattere della loro ricerca, o non gli era permesso. Veniva semplicemente trascinato, inutile come un bambino. Ma non era un bambino.

—  Non vorrei litigare con te, mio signore — disse, con tutta la possibile freddezza. — Ma questo… questo è irragionevole.

—  È irragionevole. Noi stiamo andando dove la ragione non può condurci. Vuoi venire o non vuoi venire?

Gli occhi di Arren si riempirono di lacrime di rabbia. — Ho detto che sarei venuto con te e che ti avrei servito. Non verrò meno alla mia parola.

—  Bene — disse cupamente il mago, e fece l’atto di voltarsi. Poi si girò di nuovo verso Arren. — Ho bisogno di te, e tu hai bisogno di me. Perché, ti dico ora, credo che la strada che ci accingiamo a percorrere sia la tua, e dovrai seguirla: non per ubbidienza o devozione nei miei confronti, ma perché era la tua prima ancora che tu mi vedessi, prima ancora che mettessi piede su Roke, prima che salpassi da Enlad. Non puoi voltarle le spalle.

La sua voce non si era addolcita. Arren gli rispose, altrettanto torvo: — E come potrei voltarle le spalle, se non ho una barca e sono all’orlo del mondo?

—  Questo è l’orlo del mondo? No, quello è molto più lontano. Forse ci arriveremo.

Arren annuì e balzò nella barca. Sparviero sciolse l’ormeggio e chiamò nella vela un vento leggero. Quando si furono allontanati dai deserti moli di Lorbanery, l’aria prese a spirare fresca e pulita dal buio del nord e la luna eruppe argentea dal mare lucente davanti a loro e veleggiò sulla loro sinistra quando virarono verso sud per costeggiare l’isola.


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