Poggiò il vaso dell'albero storto per terra e si mise la mano nella tasca esterna del cappotto, dove aveva spostato la busta. Impallidì, cercò nelle altre tasche, si tolse il cappotto, si tolse la giacca, si mise in mutande, cercò sotto le ascelle. Il pollivendolo, che aveva gente, si spazientì: “si faccia più in là lei, per favore, non vede che li intralcia?… se non vuol comperare il tacchino non è necessario che faccia la commedia”.
Fantozzi non rispose: in mutande, col basco in testa e reggendo sempre l'albero di Natale storto, rifece il percorso all'interno del mercato fino al venditore di alberi. Lo seguiva la moglie con i suoi vestiti. Lui domandava con lo sguardo allucinato a tutti: “Ha visto una busta gialla, per favore?”. Pochi gli rispondevano, i più lo scambiarono per un pazzo. All'uscita un gruppo di signore impellicciate, che stavano per salire su di una macchina bianca piena di fanali, vedendolo scoppiarono a ridere.
Fantozzi tornò a casa a piedi perché la macchina era ancora bloccata nella croce uncinata. Nevicava molto, ora. Lui era in mutande. col suo albero di Natale fra le braccia.
A casa la signora Pina gli preparò una minestra calda. Lui si sedette a tavola con uno sguardo da pazzo e diede la prima cucchiaiata. La moglie lo guardò e gli disse: “Buon Natale, amore!”. In quel momento l'albero si abbatté sulla tavola con violenza, centrò Fantozzi in piena nuca e lui tuffò la faccia nella minestra rovente. Si provocò ustioni di quarto grado. Non gli uscì un lamento: più tardi, nel buio della stanza da letto, pare che abbia pianto in silenzio con grande dignità.
FANTOZZI AL VEGLIONE DI CAPODANNO
Fantozzi non poteva neppure dire che i veglioni di fine anno li odiava, anche perché non c'era mai stato, lui, ad un vero veglione.
Al massimo, per il passato, aveva brindato con un po' di spumante e il panettone davanti alla TV in casa dei vicini di pianerottolo, ma erano state soluzioni dell'ultimo momento, di ripiego, frutto di una disperata solidarietà umana. Quest'anno invece, invitato dal solito collega di ufficio Fracchia, Fantozzi ha partecipato al “Veglionissimo di San Silvestro con cenone di mezzanotte — Suona l'orchestra del maestro Mario Canello — Canta Pasquale Coppola della radiotelevisione tedesca — Cavalieri (cena compresa) lire 5.000, dame 3.000”. Il tutto alla Unione velocipedistica.
Fantozzi aveva dormito tutto il pomeriggio del 31. Un sonno inquieto e pieno di incubi. Si era svegliato improvvisamente alle sette di sera, aveva guardato l'orologio: si era vestito a gran velocità e si era scaraventato giù dalle scale diretto in ufficio. In portineria aveva incontrato la signora Pina, sua moglie, che rientrava dal parrucchiere (non ci andava mai, ma quella era una grande occasione). Si guardarono con grande curiosità: lui perché non l'aveva quasi riconosciuta così conciata e lei perché aveva capito che il marito stava per andare in ufficio, per errore, la notte dell'ultimo dell'anno. Non si dissero nulla, ma rientrarono a casa.
Alle 8 di sera Fantozzi era già pronto: vestito scuro, cravatta d'argento e le solite scarpe strette abbinate a quell'abito. Era tutta roba comprata fatta, che gli andava quasi bene, tranne le scarpe: il commesso del negozio non aveva capito che lui aveva il piede suino (cioè uno zoccolo in piena regola) e aveva quindi bisogno, semmai, di un maniscalco e di esser ferrato. Non che la serata fosse cominciata per il meglio: perché, facendosi la barba prima di vestirsi, Fantozzi aveva mancato le basette (una alta e l'altra bassa) e poi, nel tentativo di rimediare, con un colpo di rasoio di sicurezza si era quasi staccato l'orecchia destra. La signora Pina aveva rimediato con due punti di filo color carne.
Prima di uscire, alle 8 e 30, Fantozzi disse alla moglie: “Dammi il cappotto nuovo!”. Sì, questa era la grande novità: usciva per la prima volta in pubblico con un cappottone nuovo che gli era costato 38.000 lire.
Stranamente arrivarono al veglione al momento giusto. Lui non voleva lasciare il cappotto al guardaroba (una volta a teatro gliene avevano fatto fuori uno) ma la guardarobiera glielo strappò quasi di dosso e gli diede un bigliettino bianco con un numero. Entrarono timorosi nella sala. Era una palestra piena di festoni colorati con un freddo quasi polare e c'erano delle coppie “disuguali” che ballavano. L'orchestra del maestro Canello faceva un rumore d'inferno. Cercarono disorientati Fracchia e il suo gruppo e alla fine con gran sollievo lo trovarono. A Fantozzi capitò un posto sotto una finestra con uno “spiffero” da cella frigorifera e la cena cominciò: malissimo, perché un cameriere, distrutto da una giornata particolarmente difficile, gli coricò letteralmente sulla schiena un intero capretto alla cacciatora e tutto il sugo gli colò dentro la camicia bianca. Fantozzi volò alla toilette e, aiutato dalla moglie, cercò di salvarsi con del borotalco.
La serata era cominciata da 3 minuti quando il maestro Canello, che aveva un altro impegno in un'altra palestra, disse improvvisamente, in un momento di silenzio: “Mancano 10 minuti alla mezzanotte”. Furono distribuiti dai camerieri delle stelle filanti, trombette e i cappellucci di cartone.
“Prendi una bottiglia di spumante!”, gli gridò Fracchia, e lui cominciò ad armeggiare col tappo. Non era mai riuscito in casa dei vicini di pianerottolo, negli anni passati, a stappare una bottiglia a tempo con l'orologio della televisione: il suo tappo usciva sempre o prima o a notte fonda (e per prima si intendono venti minuti o, alle volte, un'ora). Nell'ansia questa volta diede uno strappo tremendo, innaffiò la moglie e colpì con una tremenda gomitata al naso Fracchia, che iniziò l'anno a pavimento torcendosi dal dolore.
“Andiamo a sparare i petardi!” urlò la signora Trotti, una donna insignificante che Fantozzi aveva trovato carina. L'aveva conosciuta quella sera, era al loro tavolo, ma gli era riuscito di tenere con lei solo una “conversazione incrociata”. Andarono in strada con i petardi. Fantozzi ne prese uno, disse sorridendo alla signora Trotti: “Attenta a dove lo mando” e roteò il braccio con tutta la sua forza. Ma il petardo acceso gli si infilò malignamente nella manica della giacca. Fu una ricerca disperata prima che avvenisse l'esplosione: Fantozzi si denudò quasi completamente mentre intorno a lui si era fatto il vuoto. Trovò il petardo sotto la canottiera. “Guarda dove si è andato ad infilare questo maledetto!” disse Fantozzi allegro anche perché era un po' ubriaco. “Ed è spento anche… guardi,” aggiunse rivolto a Fracchia “vede che è spento?…” Fracchia che era un po' miope accostò l'occhio al petardo spento, mentre si sentì un'esplosione che ruppe tutti i vetri delle case vicine. Rientrarono tremanti e anneriti dalla esplosione. Fantozzi aveva come una spada nella schiena per lo “spifferone” gelato, era per metà unto, imborotalcato come una triglia impanata e mezzo annerito dall'esplosione. La signora Trotti urlò: “Andiamo a vedere il mare!”.
Con la signora Pina si diresse allegro verso la sua utilitaria posteggiata sotto un magnifico palazzo illuminato nel quale c'era una gran festa di ricchi. “Buon anno!” urlò Fantozzi allegro verso le finestre illuminate. Dal terzo piano, secondo una vecchia usanza, piombò sulla macchina una vecchia cucina economica da 2 tonnellate: gliela appiattì come la frittata con cipolle che a lui piaceva tanto. Fantozzi rimase un minuto impietrito, poi cominciò ad inveire in direzione delle finestre. Gridò che era d'accordo con gli studenti che contestavano il lusso borghese. “Fanno bene!” ululava “e farebbero anche meglio a… ” Uscì dalla porta del palazzo un suo direttore superiore che andava a un veglione che gli domandò: “Farebbero bene a far che?…”. “A… studiare” concluse Fantozzi con un tragico sorriso.