— Sì, ma…
— Immaginati di essere per la strada. Vedi davanti a te un adulto che picchia un bambino. Cosa fai?
— Se avessi una possibilità di interferenza — mi strinsi nelle spalle — procederei a una rimoralizzazione. È ovvio.
— E saresti proprio sicuro di avere agito per il meglio? Senza riflettere, senza provare a capire? E se il bambino si fosse meritato quella punizione? Se quella punizione potesse salvarlo da grossi rischi futuri, impedendogli di diventare un bandito o un assassino? E tu parli di rimoralizzazione!
— Sveta, ti stai sbagliando.
— In che cosa?
— Anche se non avessi limiti nelle azioni di influenza parapsicologica, non esagererei lo stesso.
Svetlana sbuffò leggermente: — Sei così certo della tua giustizia? Qual è il confine?
— Il confine ciascuno lo stabilisce autonomamente. È necessario.
Mi guardò pensierosa.
— Anton, mi sa che queste domande le fanno tutti i novellini, vero?
— Vero. — Sorrisi.
— E tu sei abituato a dare le risposte giuste, conosci tutto il corredo di frasi fatte, di sofismi, di esempi storici e di analogie.
— No, Sveta. Non è così. Le Forze delle Tenebre queste domande non le fanno, per esempio.
— Come fai a saperlo?
— Un mago delle Tenebre può anche risanare, un mago della Luce anche uccidere — dissi. — È la verità. Sai qual è la differenza tra la Luce e le Tenebre?
— No. Non so perché, ma non ce la insegnano. Forse è difficile da formulare?
— Non è affatto difficile. Se pensi soprattutto a te, ai tuoi interessi, la tua strada ti porta verso le Tenebre. Se pensi agli altri, sei in cammino verso la Luce.
— Ed è lungo questo cammino verso la Luce?
— Dura tutta la vita.
— Queste sono solo parole, Anton. Giochi di parole. Che cosa dice un vecchio mago delle Tenebre a un novellino? Probabilmente parole altrettanto belle e giuste…
— Sì. Sulla libertà. Gli dice che ciascuno, nella vita, occupa il posto che si è meritato. Che l'abbandonarsi alla pietà umilia, che il vero amore è cieco, che la bontà autentica è inerme, che la libertà reale è libertà da tutto e da tutti.
— E non è vero.
— No. È una parte della verità. Sveta, noi non possiamo scegliere una verità assoluta. La verità ha sempre due volti. Tutto quello che abbiamo è il diritto di rifiutare la menzogna che ci ripugna di più. Sai che è la prima volta che parlo a un novellino del Crepuscolo? Noi vi entriamo per ricevere nuova forza. E il prezzo da pagare per l'ingresso è il rifiuto di quella parte della verità che non vogliamo accettare. Per gli uomini è più semplice. Un milione di volte più semplice, pur con tutti i loro guai, problemi, pensieri, che per gli Altri non esistono. Gli uomini non si trovano davanti a questa scelta: possono essere sia buoni che cattivi, dipende dal momento, dall'ambiente, dal libro che hanno letto la sera prima, da quello che hanno mangiato a pranzo. Ecco perché è così facile controllarli. Anche il mascalzone più scatenato può essere facilmente ricondotto verso la Luce, così come l'uomo più buono e nobile può essere sospinto verso le Tenebre. Noi invece abbiamo fatto la nostra scelta.
— Anch'io l'ho fatta, Anton. Sono già entrata nel Crepuscolo.
— Sì.
— Perché allora non capisco dov'è il confine, qual è la differenza tra me e una qualunque strega che partecipa alle messe nere? Perché faccio ancora certe domande?
— Le farai sempre. All'inizio a voce alta. Poi dentro di te. È un tormento che non passa mai. Se avessi voluto liberarti dalle domande scomode, non avresti scelto questa parte.
— Ho scelto ciò che volevo.
— Lo so. E perciò sopporta!
— Per tutta la vita?
— Sì. Sarà lunga, ma non ti abituerai mai lo stesso. Non ti libererai mai dalla domanda di quanto sia giusto ogni passo che fai.
Capitolo 3
Maksim non amava particolarmente i ristoranti. Anche questo per il suo carattere. Si sentiva molto più a suo agio, molto più allegro in qualche bar, o in un club, magari anche più costoso di un ristorante, ma decisamente più alla mano. Naturalmente c'è chi, anche nel ristorante più lussuoso, si comporta come un commissario rosso alle prese con una delegazione di borghesi: niente raffinatezza, né il minimo desiderio di acquisirla. Ma perché prendere a modello i "nuovi russi" delle barzellette?
Tuttavia la sera prima esigeva una qualche riparazione. Sua moglie aveva creduto all'«importante incontro di lavoro» o per lo meno aveva fatto finta di crederci. Ma lo stesso gli era rimasto qualche rimorso di coscienza. Se avesse saputo! Se avesse anche soltanto immaginato chi era lui in realtà e di che cosa si occupava!
Maksim non poteva dire nulla. E non gli era rimasto che rimediare a quella strana assenza notturna con il metodo usato da tutti gli uomini del mondo dopo una scappatella. Regali, attenzioni, inviti. Per esempio, in un ristorante prestigioso dalla ricercata cucina esotica, con camerieri stranieri, arredamento elegante e lista dei vini chilometrica.
Gli sarebbe piaciuto sapere se davvero Elena pensava che la sera prima l'avesse tradita… Diciamo che la domanda lo interessava, ma non fino al punto da formularla a voce alta. Bisogna sempre lasciare qualcosa di non detto. Magari prima o poi sua moglie avrebbe saputo la verità. E allora sarebbe stata orgogliosa di lui.
Speranze vane, probabilmente. Lo capiva benissimo. In un mondo pieno di creature del Male e delle Tenebre, lui era l'unico cavaliere della Luce, infinitamente solo, impossibilitato a condividere con chiunque altro le verità che andava scoprendo. All'inizio Maksim aveva sperato di incontrare qualcuno come lui: un vedente in un paese di ciechi, un cane da guardia capace di fiutare, in mezzo al gregge inconsapevole, i lupi travestiti da agnelli.
No. Non c'era nessun altro, non esisteva nessuno che potesse combattere al suo fianco.
E tuttavia non aveva abbandonato l'impresa.
— Cosa dici, prendo questo?
Maksim abbassò gli occhi sul menu. Non aveva la minima idea di cosa potesse essere quel Malai Kofta. Ma questo non gli impediva di lavorare di immaginazione. Tanto più che tutti gli ingredienti erano indicati.
— Prendilo. È carne in salsa di panna.
— Carne bovina?
Non capì subito che Elena stava scherzando. Poi rispose al suo sorriso.
— Ovviamente.
— E se ordinassi un piatto di carne bovina?
— Respingerebbero gentilmente la tua richiesta, suppongo — replicò Maksim. L'incombenza di distrarre la moglie in realtà non era affatto pesante. Al contrario, si rivelava decisamente piacevole. Anche se in quel momento sarebbe stato molto felice di poter osservare più attentamente la sala. C'era qualcosa di strano. Qualcosa emergeva dalla penombra, un brivido freddo lungo la schiena, e la necessità di socchiudere gli occhi e guardare, guardare, guardare…
Possibile?
Di solito tra una missione e l'altra trascorreva qualche mese, anche mezzo anno… Che capitasse addirittura due giorni di seguito…
Ma i sintomi erano quelli, inequivocabili.
Maksim controllò la tasca interna della giacca, come se volesse verificare la presenza del portafogli. In realtà cercava un'altra cosa: un piccolo pugnale di legno, intagliato con cura, ma senza nessuna pretesa artistica. Aveva conservato quell'arma dall'infanzia, senza sapere bene perché, ma presentendo che non era solo un giocattolo.
Il pugnale era come in attesa.
Ma di chi?
— Maks? — La voce di Elena aveva un'increspatura di rimprovero. — Dove stanno veleggiando i tuoi pensieri?
Brindarono. Porta male, dicono, brindare tra moglie e marito, in famiglia non ci saranno soldi… ma Maks non era superstizioso.
Chi era?
All'inizio sospettò di due ragazze. Tutt'e due simpatiche, belle anche, ma ciascuna a suo modo. La più bassa era bruna, forte, aveva gesti angolosi, un pochino maschili, di un'energia strabordante. Sembrava letteralmente emanare fluidi sessuali. L'altra, bionda, era più alta, più tranquilla e posata. E la sua bellezza era completamente diversa, pacificante.