— Riferisci, allora.

Il suo tono era professionale, come esigeva il ruolo. Agli occhi di un essere umano poteva apparire come un manager medio sui quarant'anni, uno di quelli su cui il governo ama riporre le proprie speranze.

— Di che cosa dovrei riferire? — chiesi io, rischiando di incocciare in un altro giudizio non proprio lusinghiero del Capo.

— Degli errori. Dei tuoi errori.

Allora era così… D'accordo.

— Il mio primo errore, Boris Ignat'evič — esordii nel tono più innocente — sta nel non aver compreso correttamente il mio incarico.

— Ma va'! — esclamò lui.

— Be', io ritenevo che il mio obiettivo fosse quello di rintracciare un vampiro che si era dato alla caccia attiva sul territorio di Mosca. Di rintracciarlo e… renderlo inoffensivo.

— Già, già — approvò il Capo.

— Ma in realtà lo scopo essenziale dell'incarico era quello di verificare la mia idoneità al lavoro operativo e all'azione sul campo. Partendo da un'errata valutazione dell'incarico, o meglio seguendo il principio del "dividi e difendi"…

Il Capo sospirò, annuendo. Qualcuno che non lo conosceva avrebbe potuto pensare che fosse stato smascherato.

— E tu hai violato in qualche misura questo principio?

— No. E per questo ho fallito l'incarico.

— Come mai hai fallito?

— All'inizio… — Guardai di sottecchi la bianca civetta delle nevi impagliata, custodita sotto vetro sullo scaffale. Aveva mosso o no la testa? — All'inizio ho esaurito la carica dell'amuleto nel vano tentativo di neutralizzare il vortice malefico…

Boris Ignat'evič si adombrò. Si lisciò i capelli.

— Va bene, partiamo da qui, allora. Ho studiato l'immagine e se tu non l'hai abbellita…

Scrollai la testa indignato.

— Ti credo. Annullare un vortice simile con l'amuleto è impossibile. Te la ricordi la classificazione?

Al diavolo! Ma perché non avevo dato un'occhiata ai miei vecchi appunti?

— Sono sicuro che non te la ricordi. Non importa, questo è un vortice non classificabile. Non saresti mai riuscito a cavartela… — Il Capo oltrepassò la scrivania e in un misterioso sussurro disse: — E devi sapere che…

Mi misi in ascolto.

— … Che neppure io ci sarei riuscito, Anton.

Era una confessione inattesa e non riuscii a replicare nulla. La certezza che il Capo potesse assolutamente tutto, mai espressa da nessuno a parole, era però radicata in tutti i dipendenti dell'ufficio.

— Anton, un vortice di questa forza… può annullarlo solo il suo creatore.

— Bisogna trovarlo… — dissi io incerto. — Mi dispiace per la ragazza…

— Non è lei il problema. Almeno non solo lei.

— Perché? — Avevo fatto una gaffe e subito mi ripresi: — Bisogna fermare il mago delle Tenebre?

Il Capo sospirò.

— Forse ha la licenza. Forse aveva il diritto di lanciare la maledizione… Il problema non è neppure il mago. Un vortice malefico di quella forza… ricordi quando in inverno è caduto l'aereo?

Sussultai. Non era stato il risultato di un lavoro lasciato a metà, quanto piuttosto l'esito di una serie di lacune nelle nostre leggi: il pilota su cui avevano lanciato la maledizione non era riuscito a cavarsela coi comandi e l'aereo di linea si era abbattuto sui quartieri della città. Centinaia di persone innocenti avevano perduto la vita…

— Vortici di quella portata non siamo in grado di sistemarli a campione. La ragazza è condannata, ma non perché su di lei potrebbe cadere il solito mattone dal tetto. E più probabile che salti in aria una casa o che si scateni un'epidemia, o che su Mosca cada per caso la bomba atomica. Ecco qual è il guaio, Anton.

Il Capo si voltò di colpo, incenerì con lo sguardo la civetta. Lei ricompose in fretta le ali, e il lampo negli occhi di vetro si spense.

— Boris Ignat'evič… — dissi, in preda al terrore. — E colpa mia…

— È chiaro che è colpa tua. Solo una cosa ti salva, Anton. — Il Capo si schiarì la voce. — Cedendo alla compassione, hai agito in modo corretto. L'amuleto non poteva annullare del tutto il vortice malefico, ma ha allontanato temporaneamente il rischio di una catastrofe infernale. Ora abbiamo un vantaggio di ventiquattro… forse di quarantotto ore. Ho sempre ritenuto che azioni non premeditate ma positive producano un esito migliore di quelle premeditate ma crudeli. Se non avessi usato l'amuleto, ora tutta Mosca sarebbe sotto le macerie.

— Che possiamo fare?

— Cerchiamo la ragazza. Proteggiamola… compatibilmente con le nostre forze. Ce la faremo un'altra volta a destabilizzare il vortice malefico. E nel frattempo riusciremo a trovare il mago che ha scagliato la maledizione e a costringerlo ad annullare il vortice.

Annuii.

— Lo cercheranno tutti — disse il Capo in tono distratto. — Richiamerò i ragazzi dalle ferie, entro domattina arriveranno Il'ja e Semën da Sri Lanka ed entro l'ora di pranzo tutti gli altri.

— Entro domattina? — Guardai l'orologio. — Mancano ancora ventiquattr'ore.

— Ma no, entro stamattina — rispose il Capo, ignorando il sole di mezzogiorno dietro il vetro. — Lo cercherai anche tu. Forse avrai di nuovo fortuna… Continuiamo la disamina dei tuoi errori?

— Vale la pena perdere tempo? — chiesi io timidamente.

— Non temere, non stiamo perdendo tempo. — Il Capo si alzò, si avvicinò allo scaffale, tolse la civetta impagliata, la mise sulla scrivania. Da vicino era chiaro che si trattava proprio di una civetta impagliata, in lei non c'era più vita che in un collo di pelliccia… — Torniamo ai vampiri e alla loro vittima.

— Io ho lasciato andare la vampira. E i ragazzi non l'hanno presa — confermai in tono rammaricato.

— Non recriminare, ti sei battuto con onore lo stesso. La domanda riguardava la vittima.

— Sì, il ragazzo ha conservato la memoria. Ma se l'è data letteralmente a gambe…

— Anton, torna in te! Il ragazzo l'hanno agganciato col Richiamo a parecchi chilometri di distanza! Doveva entrare nell'androne come un automa! E quando il Crepuscolo fosse scomparso perdere i sensi! Anton, e se dopo tutto ciò che è avvenuto ha conservato la facoltà di muoversi, vuol dire che ha un magnifico potenziale magico! — Il Capo tacque.

— Sono uno scemo.

— No. Forse sei stato troppo tempo relegato in laboratorio. Anton, quel ragazzo potenzialmente è più forte di me!

— Questa poi…

— Su, lascia perdere la piaggeria…

Il telefono prese a squillare sulla scrivania. Doveva essere qualcosa di urgente: erano in pochi a conoscere il numero diretto del Capo. Io, per esempio, non lo conoscevo.

— Zitto! — intimò lui all'apparecchio che non aveva colpe. E l'apparecchio tacque. — Anton, dobbiamo ritrovare il ragazzino. La vampira che è fuggita di per sé non è pericolosa. Saranno i ragazzi a raggiungerla, oppure la catturerà una pattuglia ordinaria. Ma se succhierà il sangue del ragazzino o, peggio ancora, lo inizierà… Tu non sai cos'è un autentico vampiro. I nostri vampiri attuali sono come zanzare paragonate a Nosferatu. E lui non era neanche uno dei migliori, si dava pure delle arie… Insomma, il ragazzo dev'essere ritrovato e, se possibile, assunto nella Guardia. Non abbiamo diritto di lasciarlo alle Tenebre: l'equilibrio a Mosca crollerebbe definitivamente.

— È forse un ordine?

— Una licenza — precisò tetro il Capo. — Io, come ben sai, ho diritto di dare ordini del genere.

— Lo so — mormorai. — Da chi si comincia? Da lui, presumo.

— Fa' come ti pare. Forse, però, è meglio dalla ragazza. E cerca anche di ritrovare il ragazzino.

— Posso andare?

— Almeno dormi.

— Ho dormito benissimo, Boris Ignat'evič…

— Non credo. Ti consiglio di dormire almeno un'oretta.

Non ci capivo più niente. Mi ero alzato alle undici, mi ero precipitato subito in ufficio e mi sentivo in forma e pieno di energie.

— Eccoti un aiutante. — Il Capo toccò con il dito la civetta impagliata. L'uccello dispiegò le ali e prese a stridere.


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