Da principio faceva un salto da me quasi ogni giorno. Io ero esattamente il suo opposto, combattevo dalla parte della Luce. Ma l'avevo ammesso a casa mia e con me non doveva nascondersi. Poteva chiacchierare, affondare nel Crepuscolo e vantarsi dei poteri che gli si erano rivelati. "Anton, lo sai?, sono riuscito a trasformarmi." "I miei canini hanno cominciato ad allungarsi, grrrr!"

E la cosa strana è che tutto ciò appariva normale. Io ridacchiavo osservando i tentativi del giovane vampiro di trasformarsi in pipistrello. Questo era un incarico che spettava a un vampiro di livello superiore quale lui non era, e se fosse dipeso dalla Luce non sarebbe mai diventato.

— Kostja, io mi sono limitato a eseguire il mio incarico.

— E hai fatto male.

— Avevano violato la legge. Capisci? Non è nostra procedura farli sparire. Non solo le Forze della Luce l'avevano accolto, ma anche tutti gli Altri. Questo ragazzo…

— Lo conoscevo — disse inaspettatamente Kostja. — Era uno allegro.

Che diavolo…

— Ha sofferto?

— No — scossi la testa. — Il marchio uccide lentamente.

Kostja trasalì, per un istante chinò gli occhi sul petto. Se attraversi il Crepuscolo, il marchio lo distingui anche attraverso i vestiti, altrimenti non riesci proprio a individuarlo. Voleva dire che non l'aveva attraversato. Ma come facevo io a sapere che cosa provano i vampiri?

— Che potevo fare? — chiesi. — Li uccideva. Uccideva persone che non avevano nessuna colpa. Completamente indifese dinanzi a lui. Aveva iniziato una ragazza… con brutalità, con violenza, una che non doveva affatto diventare una vampira. Ieri per poco non hanno finito un ragazzino. Così per gioco. Non per fame.

— Tu sai che significa per noi avere fame? — chiese Kostja, dopo una pausa di silenzio.

Eh, sta crescendo… Proprio sotto i nostri occhi…

— Sì… Ieri… per poco non diventavo un vampiro.

Calò per un attimo il silenzio.

— Lo so. L'avevo sentito… sperato.

Diavolo dell'inferno! Avevo intrapreso la mia caccia. E loro avevano cacciato me. O meglio, mi avevano teso un'imboscata, aspettando che il cacciatore si trasformasse in preda.

— No — dissi io. — Scusami tanto.

— Già, lui era colpevole — Kostja continuò. — Ma perché bisognava ucciderlo? Lo si doveva giudicare. Tribunali, avvocati, capi d'accusa, tutto secondo le regole…

— Non è previsto che gli umani vengano immischiati nelle nostre questioni! — ruggii io. E per la prima volta Kostja non reagì.

— Tu non sei stato umano per troppo tempo!

— E non me ne rammarico affatto!

— Perché l'hai ucciso?

— Perché altrimenti lui avrebbe ucciso me!

— Io l'avevo iniziato!

— Questo è anche peggio!

Kostja tacque. Allontanò il tè e si alzò. Il solito ragazzino impudente e moralista fanatico. Solo che era un vampiro.

— Vado…

— Aspetta un momento. — Mi mossi verso il frigorifero. — Prendilo. Mi hanno rifornito, ma non mi serve.

Tolsi delle ampolle da duecento grammi di sangue donato tra le bottiglie di acqua minerale Boržomi.

— Non occorre.

— Kostja, lo so che è un vostro eterno problema. A me non serve. Prendilo.

— Vuoi comprarmi? Cominciai a stizzirmi.

— Ma perché dovrei comprarti? Buttarlo via è stupido, tutto qui! È sangue. Donato da esseri umani per aiutare gli altri!

E allora Kostja sogghignò sinistramente. Allungò la mano, prese una delle ampolle, la stappò, togliendo con facilità e destrezza la capsula di latta. Si portò la boccetta alle labbra. Sogghignò di nuovo, tracannando un sorso.

Non avevo mai visto come si nutrivano. E non ci tenevo neppure.

— Smettila di fare il buffone — dissi.

Kostja aveva le labbra insanguinate. Un rivolo sottile di sangue gli scorreva lungo la guancia. Non solo scorreva, ma era come se venisse assorbito.

— Ti disgusta il modo in cui ci nutriamo?

— Sì.

— Allora anch'io ti disgusto? E tutti noi…?

Scossi la testa. Non sfioravamo mai questo argomento. Così era più facile.

— Kostja… per vivere tu hai bisogno di sangue. E di tanto in tanto anche di sangue umano.

— Noi in genere non viviamo.

— Dico così genericamente. Per muoverti, pensare, parlare, sognare…

— Che ne sai tu dei sogni dei vampiri?

— Ragazzo, al mondo c'è una quantità di persone che ha bisogno continuamente di versare del sangue. E non sono meno di voi. E poi ci sono casi estremi. Per questo esiste la donazione, per questo è un'opera meritoria e in continua espansione… Non sorridere. Conosco i vostri interventi meritori a favore del progresso della medicina e della diffusione della donazione. Kostja, se qualcuno per vivere… per esistere necessita di sangue, non è un male. E che vada a finire nelle vene o nello stomaco, anche questo è irrilevante. Il problema è come tu te lo procacci.

— Tutte parole. — Kostja ridacchiò. Mi sembrò che per un istante avesse attraversato il Crepuscolo per emergerne subito dopo. Sta crescendo, il ragazzo, sta crescendo. E in lui si sta manifestando una vera forza. — Ieri tu hai dimostrato qual è il tuo vero atteggiamento verso di noi.

— Ti sbagli…

— Ma smettila… — Allontanò la bottiglietta e poi, cambiando idea, la reclinò sul lavandino. — Non abbiamo bisogno delle tue…

Alle mie spalle si udì un verso. Mi voltai: la civetta, di cui mi ero del tutto dimenticato, girò la testa verso Kostja e dispiegò le ali.

Non avevo mai visto un'espressione simile sul viso del ragazzo.

— Ah… — fece. — Ah…

La civetta ripiegò le ali e chiuse gli occhi.

— Ol'ga, stiamo parlando! — ruggii. — Dacci un minuto…

L'uccello non reagì. Ma Kostja continuava a posare lo sguardo ora su di me ora sulla civetta. Poi sedette, con le mani intrecciate sui ginocchi.

— Che hai? — chiesi.

— Posso andare?

Non era solo stupito o spaventato, era scioccato.

— Va'. Ma prima prendi tutto…

Si affrettò a raccogliere le ampolle e a ficcarsele in tasca.

— Prendi un sacchetto, testa di legno! Non si sa mai, potrebbe esserci qualcuno sulle scale…

Il vampiro sistemò ubbidiente le ampolle nel sacchetto con la scritta: FACCIAMO RISORGERE LA CULTURA RUSSA! Sfiorando la civetta, uscì nel corridoio e s'infilò in tutta fretta le scarpe.

— Torna pure — gli dissi. — Io non sono tuo nemico. Finché non supererai il limite, non sarò tuo nemico.

Annuì e uscì come un razzo dall'appartamento.

Stringendomi nelle spalle, richiusi la porta. Tornai in cucina e fissai la civetta: — E allora? Che cosa è successo?

Dal suo sguardo giallo ambrato non trapelava nulla.

Allargai le braccia: — Come faremo a lavorare insieme? Come faremo a collaborare? Sei dotata di qualche strumento per comunicare? Mi sto confidando con te, mi senti? Ti sto parlando con franchezza!

Non avevo ancora attraversato completamente il Crepuscolo, mi ero proiettato solo col pensiero. Non si deve mai avere troppa fiducia negli sconosciuti, ma era poco probabile che il Capo mi avesse assegnato un'aiutante non affidabile.

Non vi fu risposta. Se anche poteva comunicare per via telepatica, Ol'ga certo non aveva intenzione di farlo.

— Che misure adottiamo? Bisogna cercare quella ragazzina. Ricevi l'immagine?

Non vi fu risposta. Dopo aver sospirato, lanciai a caso all'uccello un frammento della mia memoria.

La civetta dispiegò le ali e svolazzando venne a posarsi sulla mia spalla.

— Allora senti, eh? Ma non ti abbassi a dare una risposta. Va bene, se vuoi così. Che cosa devo fare?

Continuava il solito gioco del silenzio. Del resto, sapevo che cosa fare. Che non avessi nessuna speranza era un altro discorso.

— E come farò ad andarmene in giro per strada con te sulla spalla?

Uno sguardo beffardo, davvero beffardo. E l'uccello sulla spalla volò via nel Crepuscolo.

Allora le cose stavano così: era un osservatore invisibile. Non soltanto un osservatore: la reazione di Kostja alla civetta era stata più che emblematica. A quanto pare le Forze delle Tenebre conoscevano l'aiutante che mi era stata assegnata assai meglio di un qualunque agente della Luce.


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