Rajasinghe lanciò un'occhiata a Vannevar Morgan, seduto nell'oscurità alla sua destra. Vedeva solo di profilo la faccia del suo ospite, ma non gli era difficile capire che era già stato catturato dalla magia del racconto. Sulla sinistra, gli altri due ospiti (vecchi amici del tempo delle manovre diplomatiche) erano altrettanto presi. Aveva assicurato Morgan che non avevano riconosciuto il "dottor Smith"; oppure, se lo avevano riconosciuto, si erano gentilmente prestati alla commedia.

— Il suo nome era Kalidas, e nacque cento anni dopo Cristo a Ranapur, la Città d'Oro, capitale per secoli dei re di Taprobane. Ma sulla sua nascita gravava un'ombra…

La musica divenne più alta. Al battito del tamburo si unirono flauti e violini, che intrecciarono nell'aria notturna una melodia incalzante, regale. Sulla superficie della Montagna cominciò a bruciare un punto di luce; poi, d'improvviso, s'ingrandì, e parve d'un tratto che una finestra magica si fosse spalancata sul passato, per rivelare un mondo più vivido e ricco di colori della vita stessa.

La rappresentazione, pensò Morgan, è eccellente. Era contento che, per una volta, la cortesia avesse avuto il sopravvento sul desiderio di lavorare. Vide la gioia del Re Paravana quando la concubina preferita gli presentò il suo primogenito; e capì come quella gioia potesse aumentare e diminuire al tempo stesso quando, solo ventiquattr'ore dopo, la Regina diede alla luce un erede più legittimo al trono. Kalidas era nato per primo, ma non era il primo in linea di diritto; e così la scena era pronta per il dramma.

— Eppure, nei primi anni della fanciullezza, Kalidas e il fratellastro Malgara furono amici perfetti. Crebbero assieme, ignari delle rivalità riservate dal destino e degli intrighi che si tessevano intorno a loro. Il primo motivo di discordia non aveva niente a che vedere con le circostanze della loro nascita. Si trattò di un dono innocente, fatto in buona fede.

"Alla corte di Re Paravana giungevano convogli che recavano tributi da molte terre: seta dal Catai, oro dall'Indostan, armature lucenti dalla Roma imperiale. E un giorno un semplice cacciatore della giungla si avventurò nella grande città, recando un dono che sperava gradito alla famiglia reale…"

Tutt'attorno, Morgan udì un coro di "Ohh" e "Ahh" involontari emessi dagli spettatori. Gli animali non gli erano mai piaciuti troppo, però doveva ammettere che la scimmietta bianca come la neve che riposava, serena e fiduciosa, tra le braccia del giovane Principe Kalidas era davvero tenerissima. Da quella sua piccola faccia rugosa, due occhi si protendevano sui secoli trascorsi e sul misterioso, anche se non del tutto invalicabile, abisso che divide l'uomo dalle bestie.

— Secondo le Cronache, non si era mai visto niente del genere: il suo pelo era bianco come latte, i suoi occhi rossi come rubini. Qualcuno la ritenne un buon segno; altri un cattivo segno, perché il bianco è il colore della morte e del lutto. E i loro timori, purtroppo, erano ben fondati.

"Il Principe Kalidas adorava la scimmietta. La chiamò Hanuman, in onore del nobile dio-scimmia del 'Ramayana'. Il gioielliere reale costruì un piccolo carro d'oro su cui Hanuman, con aria solenne, sedeva mentre sfilava davanti alla corte, fra il divertimento e la delizia di tutti i presenti.

"Da parte sua, Hanuman amava Kalidas, e non si lasciava toccare da nessun altro. In particolare era acerrima nemica del Principe Malgara, quasi presentisse la futura rivalità. E poi, in un giorno luttuoso, la scimmia morse l'erede al trono.

"Quel morso fu una sciocchezza, ma ebbe conseguenze immense. Pochi giorni dopo Hanuman fu avvelenata, senza dubbio per ordine della Regina. Questo evento segnò la fine dell'infanzia di Kalidas; e si dice che in seguito lui non amò più nessun essere umano, e che a nessuno concesse la sua fiducia. E l'amicizia per Malgara si trasformò in una spietata rivalità.

"E questa non fu l'unica disgrazia generata dalla morte di una scimmietta. Per ordine del Re, venne costruita per Hanuman una tomba speciale che aveva la tradizionale forma a campana del reliquiario o "dagoba". Era una decisione del tutto straordinaria, che suscitò immediatamente l'ostilità dei monaci. I 'dagoba' erano riservati alle reliquie del Buddha, e quell'atto parve un sacrilegio deliberato.

"È possibile che l'intenzione fosse proprio quella, poiché Re Paravana si trovava allora sotto l'influenza di una Swami indù e si stava allontanando dalla fede buddista. Il principe Kalidas era ancora troppo giovane per essere coinvolto in quella questione, ma l'odio dei monaci si diresse soprattutto contro di lui. Così ebbe inizio un'ostilità che negli anni successivi avrebbe dilaniato il regno.

"Come molti degli altri racconti che ci vengono narrati dalle antiche cronache di Taprobane, per quasi duemila anni non è esistita prova che la storia di Hanuman e del giovane Principe Kalidas fosse qualcosa di più d'una deliziosa leggenda. Poi, nel duemilaquindici, un gruppo di archeologi di Harvard ha scoperto le fondamenta di un piccolo reliquiario situato all'interno dell'antico palazzo di Ranapur. Il reliquiario doveva essere stato distrutto deliberatamente, perché l'intera muratura della parte superiore non esisteva più.

"La consueta sala delle reliquie, a livello delle fondamenta, era vuota, spogliata d'ogni contenuto già da secoli. Ma quegli studiosi possedevano strumenti che i ladri di tombe di un tempo non potevano nemmeno sognare. I rilevamenti al neutrino hanno svelato la presenza di 'un'altra' sala delle reliquie, a profondità molto maggiore. La sala superiore serviva solo a mascherare la seconda, e aveva assolto egregiamente il suo compito. La sala inferiore conteneva ancora il fardello di amore e d'odio che aveva preservato nel corso dei secoli, e che oggi riposa nel museo di Ranapur."

Morgan si era sempre ritenuto, a buon diritto, ragionevolmente freddo e poco sentimentale, non incline a scoppi improvvisi d'emozione. Eppure adesso, terribilmente imbarazzato, sperando che gli altri non se ne accorgessero, sentì che i suoi occhi si riempivano di lacrime impreviste. "Com'è ridicolo" si disse rabbiosamente "che una musica dolciastra e un racconto sdolcinato possano avere un effetto del genere su un uomo intelligente!" Non avrebbe mai creduto che la vista di un gioco per bambini potesse farlo piangere.

E d'improvviso seppe, in un accecante lampo di ricordi che lo riportò a un momento lontano più di quarant'anni nel tempo, perché si era sentito tanto commosso. Rivide il suo adorato aquilone, che si tuffava e veleggiava al di sopra del parco di Sydney, dove aveva trascorso gran parte dell'infanzia. Sentiva ancora il calore del sole, il vento dolce che gli carezzava la schiena nuda, quel vento traditore che all'improvviso era caduto, facendo precipitare l'aquilone verso terra. Il giocattolo si era impigliato fra i rami della quercia gigante che doveva essere più antica della terra stessa, e lui, ingenuamente, aveva dato uno strattone allo spago, nel tentativo di liberarlo. Era la prima lezione che riceveva sulla resistenza della materia, e non l'avrebbe mai dimenticata.

Lo spago si era spezzato proprio quando lui stava per riprendere l'aquilone, e l'aquilone si era allontanato pigramente nel cielo estivo, perdendo quota poco per volta. Lui era corso alla sponda dell'acqua, sperando che il giocattolo cadesse sulla terraferma; ma il vento non ascolta le preghiere di un ragazzo.

Era rimasto a piangere per molto tempo, guardando i frammenti dell'aquilone che, come resti di una nave smantellata, galleggiavano sul grande porto e poi scomparivano verso il mare aperto, fino a essere invisibili. Quella era stata la prima delle tragedie così banali che forgiano l'infanzia di un uomo, le si ricordi o meno.

Eppure Morgan aveva perso solo un giocattolo inanimato; le sue erano state lacrime di frustrazione, non di vero dolore. Il Principe Kalidas aveva motivi d'angoscia ben più profondi. Sul piccolo carro d'oro, che pareva appena uscito dalla bottega dell'artigiano, riposava un mucchietto di piccole ossa bianche.


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