L’esperto Bromberg aveva di nuovo rovistato nel suo archivio, ma questa volta secondo un ordine cronologico. Nel periodo fra il 33 e il 39, trovò complessivamente otto incidenti diversi, fra cui anche la storia del sarcofago-incubatrice. Insieme ad Aleksandr Dymok aveva analizzato con cura ciascuno di questi incidenti ed era arrivato alla conclusione che nessuno di questi era legato alla sorte dei coniugi Dymok.
«Per cui, io, vecchio scemo, pensai che il destino mi avesse regalato una storia che a suo tempo era del tutto scivolata fuori dal mio campo visivo. Se lo immagina? Non un suo lurido divieto, ma la sparizione di due biochimici! Non gliel’avrei proprio perdonata, Sikorski!». E ancora per due ore buone Bromberg aveva interrogato Aleksandr Dymok, pretendendo che ricordasse i più insignificanti particolari, tutte le voci, anche le più stupide, facendogli promettere solennemente che si sarebbe sottoposto a mentoscopia, al punto che il giovane durante l’ultima ora sognava chiaramente una cosa sola: andarsene via prima possibile…
Ormai alla fine della conversazione, Bromberg per puro caso aveva notato il neo. Quel neo che non aveva, così sarebbe sembrato, alcun rapporto col problema, aveva colpito in modo inspiegabile Bromberg. Il giovane se n’era andato da un pezzo, Bromberg aveva già posto alcune domande al GSI, aveva parlato con due-tre esperti a proposito dei coniugi Dymok (senza risultati), ma quel maledetto segno non gli usciva di testa. In primo luogo, Bromberg era assolutamente sicuro di averlo già visto chissà dove e quando e, in secondo luogo, non lo abbandonava la sensazione che di quel segno, odi qualcosa legato a quel segno, si era parlato durante il suo colloquio con Aleksandr Dymok. E solo ricostruendo nella sua mente, nel modo più particolareggiato possibile, tutto il colloquio, frase per frase, era arrivato finalmente al sarcofago, si era ricordato dei detonatori, e aveva indovinato chi fosse effettivamente Aleksandr Dymok.
Il suo primo impulso era stato di telefonare immediatamente al ragazzo e informarlo che il mistero delle sue origini era svelato — Ma la coscienza scientifica presente in lui, Bromberg, esigeva prima di tutto l’assoluta certezza, non ammetteva nessun dubbio. Lui, Bromberg, conosceva coincidenze e cose simili. Perciò si era precipitato a telefonare al museo…
— Tutto chiaro, — disse cupo Sua Eccellenza. — Grazie, Isaak. Dunque ora lui sa del sarcofago…
— E perché non dovrebbe saperlo? — esclamò Bromberg.
— È vero, — ripeté lentamente Sua Eccellenza. — Perché no?
Il segreto della personalità di Lev Abalkin
Il 21 dicembre dell’anno 37 una brigata di Esploratori guidata da Boris Fokin atterrò sul plateau di pietra di un piccolo pianeta senza nome del sistema EN 9173, avendo come compito lo studio delle rovine, scoperte già nel secolo scorso, di alcune costruzioni attribuite ai Nomadi.
Il 24 dicembre, una ripresa ultravisiva fotografava sotto le rovine un ampio locale Scavato nella pietra viva, alla profondità di più di tre metri.
Il 25 dicembre, Boris Fokin, al primo tentativo e senza sorprese, penetrò in questo ambiente. Aveva la forma di una semisfera e un raggio di dieci metri. Era rivestita di ambra, cosa tipica della civiltà dei Nomadi, e conteneva un enorme ordigno che, date le circostanze, qualcuno degli Esploratori battezzò sarcofago.
Il 26 dicembre Boris Fokin chiese e ottenne dal reparto responsabile del COMCON il permesso di esaminare il sarcofago con i mezzi a sua disposizione.
Secondo il suo solito, si diede da fare intorno al sarcofago con estenuante metodicità e cautela, per tre interi giorni. In questo tempo riuscì a stabilire l’età della scoperta (quaranta-quarantacinquemila anni), che il sarcofago consumava energia, e perfino un indubbio legame fra il sarcofago e le rovine che si trovavano sopra. Già allora venne formulata l’ipotesi, in seguito confermata, che le “rovine” non fossero affatto tali, ma costituissero parte di un ampio sistema, che abbracciava tutta la superficie del pianeta, per l’assorbimento e la trasformazione di tutti i tipi di energia gratuita, sia planetaria che cosmica (sismica, fluttuazioni del campo magnetico, influsso meteorologico, irradiazioni di corpi celesti centrali, raggi cosmici e così via).
Il 29 dicembre, Boris Fokin si mise immediatamente in contatto con Komov e insistette perché gli fosse mandato il miglior specialista ernbriologo. Komov, ovviamente, chiese spiegazioni, ma Boris Fokin si rifiutò di darne e propose a Komov di venire personalmente, ma accompagnato da un embriologo. Molto tempo prima, quando erano giovani, Komov aveva lavorato con Fokin, e di lui gli era rimasta un’impressione sfavorevole. Per questo, ad andare personalmente non ci pensò nemmeno, mandò però un embriologo; per la verità, noti il migliore, ma il primo che gli capitò: un certo Mark Van Bleerkom (in seguito Komov si sarebbe più volte strappato i capelli, ripensando a quella sua decisione, perché Mark Van Bleerkom risultò essere amico per la pelle del famigerato Isaak P. Bromberg).
Il 30 dicembre, Mark Van Bleerkom si mise agli ordini di Boris Fokin e già dopo alcune ore inviò a Komov un sorprendente testo non cifrato. In questo messaggio confermava che il cosiddetto sarcofago in effetti non era altro che un particolare scrigno embrionale di fantastica costruzione. Nello scrigno erano conservate tredici ovocellule fecondate del tipo Homo sapiens, inoltre tutte erano vitali, sebbene si trovassero in stato latente.
È indispensabile dare ai due protagonisti di questa storia, Boris Fokin ed il membro del COMCON Gennadij Komov, ciò che ad essi spetta. Boris Fokin intuì, con un sesto senso, che di questa scoperta non bisognava parlar troppo in giro: il radiogramma di Mark Van Bleerkom fu il primo e l’ultimo radiogramma pubblico nello scambio di messaggi fra la spedizione e la Terra. Per questo motivo tutta questa storia venne riportata dai mezzi di informazione del nostro pianeta più che altro come una breve comunicazione, in seguito non confermata e perciò non degna di particolare attenzione.
Per quanto riguarda Gennadij Komov, non solo si rese subito conto del problema che aveva di fronte, ma in qualche modo riuscì ad immaginarne tutte le possibili conseguenze. Innanzi tutto pretese da Fokin e Bleerkom la conferma dei dati ricevuti (con un codice speciale sul canale di emergenza), e, avuta la conferma, immediatamente indisse una riunione di quei dirigenti del COMCON che erano anche membri del Consiglio Mondiale. Fra di essi vi erano corifei come Leonid Gorbovskij e August Johann Bader, il giovane e polemico Kirill Aleksandrov, il cauto, eternamente dubbioso Machiro Sinoda, e anche l’energico sessantaduenne Rudolf Sikorski.
Komov informò i convenuti e pose la questione senza mezzi termini: cosa fare? Ovviamente, si poteva chiudere il sarcofago e lasciare tutto come stava, limitandosi in futuro ad un’osservazione passiva. Si poteva cercare di dar inizio allo sviluppo delle ovocellule e vedere che cosa ne veniva fuori. Infine, si poteva, onde evitare future complicazioni, distruggere la scoperta.
Ovviamente, Gennadij Komov, persona già allora sufficientemente esperta, capiva perfettamente che né questo straordinario avvenimento né decine di altri successivi avrebbero risolto il problema. Con il suo intervento volutamente sferzante si proponeva solo un fine: scioccare i presenti e spingerli alla discussione.
Bisogna dire che raggiunse il suo scopo. Fra tutti i partecipanti alla riunione solo Leonid Gorbovskij e Rudolf Sikorski mantennero un evidente sangue freddo. Gorbovskij perché era un ottimista ragionevole, Sikorski perché già allora dirigeva il COMCON-2. Vennero dette molte parole: impetuosamente focose e volutamente calme, superficiali e profonde, alcune furono subito dimenticate, altre entrarono in seguito nel lessico delle relazioni, delle leggende, dei rapporti e delle raccomandazioni. Come si poteva prevedere, l’unica decisione della riunione fu di convocare per il giorno dopo una nuova assemblea, allargata agli altri membri del Consiglio Mondiale, agli specialisti di psicologia sociale, pedagogia e mezzi di informazione di massa.