Eseguiva con precisione tutte le procedure raccomandate per l’autosservazione, parlava della sua posizione persino con un certo pesante senso dell’umorismo che gli era proprio, ma rifiutò categoricamente di sottoporsi a mentoscopia, adducendo per questo delle ragioni puramente personali. Però, centoventotto giorni dopo l’inizio dell’esperimento, Thomas Nielson perì nella sua Gorgona in circostanze che non escludevano la possibilità del suicidio.

Per la Commissione in genere e per gli psicologi in particolare fu un colpo terribile. Il decrepito Pakin annunciò la sua uscita dalla Commissione, abbandonò l’istituto, gli allievi, i familiari e si ritirò in volontario esilio. E, il centotrentaduesimo giorno, il collaboratore del COMCON-2, incaricato in particolare del controllo mensile dell’astuccio d’ambra, riferì in preda al panico che il detonatore numero 02, segno “Stella Obliqua”, era assolutamente sparito, senza lasciare dietro di sé nella nicchia, foderata di fibre semoventi di pseudoepitelio, nemmeno un granello di polvere.

Ora, l’esistenza di un legame a dir poco semi-mistico fra ciascuno dei “trovatelli” ed il detonatore corrispondente era indubbia. Così come era indubbio, per tutti i membri della Commissione, che, nel prossimo futuro, i terrestri non sarebbero riusciti a venire a capo di questa storia.

4 giugno dell’anno 78. Discussione della situazione

Tutto questo e molto altro ancora me lo raccontò Sua Eccellenza quella notte stessa in cui tornammo dal museo nel suo studio.

Faceva già giorno, quando finì di raccontare. Tacque, si sollevò a fatica, senza guardarmi, e andò a farsi il caffè.

— Puoi fare domande, — berciò.

In quel momento solo un sentimento mi pervadeva quasi completamente: un rincrescimento enorme, senza limiti, per il fatto di esser venuto a conoscenza della cosa ed essere costretto a prendervi parte. Certo, ci fosse stata al mio posto una qualsiasi persona normale, con una vita normale ed un lavoro normale, avrebbe preso questa storia per una di quelle favole fantastiche e minacciose ai confini fra il noto e l’ignoto, che giungono fino a noi deformate e irriconoscibili e posseggono tuttavia un’incantevole qualità: per quanto minacciose e terribili, non hanno alcun rapporto diretto con la nostra Terra, calda e luminosa, e non hanno nessuna influenza sostanziale sulla nostra vita di ogni giorno. Tutto, chissà come, chissà grazie a chi e chissà dove, si è sempre chiarito, si chiarirà anche ora o sarà chiarito senza dubbio al più presto.

Ma, sfortunatamente, non ero una persona normale, in questa accezione della parola. Ero invece uno di quelli a cui è toccato in sorte di chiarire le cose. E capivo che mi sarei portato addosso quel segreto fino alla fine dei miei giorni. E che insieme al segreto mi ero preso un’altra responsabilità che non avevo chiesto, e di cui, per la verità, non avevo bisogno. Che d’ora in poi ero tenuto a prendere delle decisioni e, dunque, dovevo capire a fondo per lo meno quello che altri avevano capito prima di me, e possibilmente ancora di piti. E perciò, affondare ancora di più in questo segreto, disgustoso come tutti i segreti, e forse, addirittura, ancora più disgustoso degli altri e immergermi in esso ancora più a fondo di quanto non avessi fatto finora. E nel contempo provavo una sorta di infantile riconoscenza nei confronti di Sua Eccellenza, che fino all’ultimo aveva cercato di tenermi al di fuori da tutto questo. È una sorta di ancora più infantile, quasi capriccioso risentimento contro di lui perché, alla resa dei Conti, non mi aveva tenuto fuori.

— Hai delle domande? — si informò Sua Eccellenza.

Mi ripresi.

— Allora, lei ritiene che il programma si sia messo in moto, e che lui abbia ucciso Tristan?

— Ragioniamo seguendo la logica. — Sua Eccellenza dispose le tazze, versò con cura il caffè e si sedette al suo posto. — Tristan era il suo medico osservatore. Si incontravano regolarmente una volta al mese nella jungla, e Tristan adottava misure di profilassi, nell’ambito dei controlli regolari del livello di tensione psichica dei Progressori, ma in realtà per convincersi che Abalkin fosse sempre un essere umano. In tutto Sarakš solo Tristan conosceva il numero del mio canale speciale. Il trenta maggio — al più tardi il trentuno — dovevo ricevere da lui tre sette, «tutto a posto». Ma il ventotto, il giorno fissato per l’esame, muore improvvisamente. E Lev Abalkin si precipita sulla Terra. Lev Abalkin si nasconde. Lev Abalkin mi chiama sul canale speciale, il cui numero è noto solo a Tristan… — Bevve d’un sorso il suo caffè e tacque, mordicchiandosi le labbra. — Secondo me, non hai capito la cosa più importante, Mak. Ora non abbiamo a che fare con Abalkin, ma con i Nomadi. Lev Abalkin non c’è piti. Dimenticalo. Contro di noi avanza il robot dei Nomadi. — Tacque di nuovo. — Per essere sinceri, non riesco proprio a immaginare quale forza sia stata capace di costringere Tristan a dire il mio numero a chiunque fosse, e ancor più a Lev Abalkin. Temo che non lo abbiano semplicemente ucciso…

— Lei pensa, dunque, che il suo programma lo mandi in cerca dei detonatori?

— Non penso più nulla.

— Ma lui non ha nessuna idea dei detonatori… Oppure Tristan?

— Tristan non sapeva niente. Ed anche Abalkin non sa niente. Conosce solo il programma!

— E come si comporta Jašmaa? E gli altri?

— Tutto nell’ambito del normale. Ma anche i segni non sono comparsi su tutti contemporaneamente. Abalkin è stato il primo.

Si doveva dedurre, quindi, che nei confronti degli altri Sua Eccellenza aveva già preso le misure necessarie e, grazie a Dio, non dovevo sapere di quali misure si trattasse. Non mi riguardava.

Dissi:

— La prego, non mi fraintenda, Eccellenza. Non pensi che stia cercando di addolcire, accomodare, sminuire… Ma lei non lo ha visto. E non ha visto le persone con cui si è incontrato… Capisco tutto: la morte di Tristan, la fuga, la chiamata sul suo canale speciale; si nasconde, va dalla Glumova, da cui sono conservati i detonatori… Sembra assolutamente chiaro. Quale mirabile connessione logica! Ma potrebbe essere diversamente! Si incontra con la Glumova: nemmeno una parola sul museo, solo ricordi infantili e amore. Si incontra con l’insegnante: solo rancore, come se fosse stato l’insegnante a rovinargli la vita… La conversazione con me: offesa, come se gli avessi rubato il primato… Fra l’altro, perché doveva incontrarsi con l’insegnante? Incontrare me, può ancora essere comprensibile. Diciamo che voleva controllare chi lo sta pedinando… Ma con l’insegnante, perché? Ora Ščekn. Quella stupida richiesta di asilo, che non calza con niente!

— Calza, Mak. Tutto calza. Il programma è un programma, e la coscienza è la coscienza. Lui non si rende conto di quello che gli sta succedendo. Il programma esige da lui l’inumano, e la coscienza si sforza di trasformare questa esigenza in qualcosa di almeno un po’ sensato… Lui corre di qua e di là, compie azioni strane e sciocche. Mi aspettavo qualcosa del genere… Proprio per questo c’era bisogno del segreto della personalità: ora abbiamo almeno un margine di tempo… per quanto riguarda Ščekn non hai capito un’acca. Non c’è stata nessuna richiesta di asilo. I Testoni hanno fiutato che non è più un uomo e ci mostrano la loro lealtà. Ecco tutto…

Non mi aveva convinto. La sua logica era quasi impeccabile, ma io avevo visto Abalkin, avevo parlato con lui, avevo visto l’insegnante e Maja Tojvovna, avevo parlato con loro. Abaikiri correva di qua e di là, sì. Compiva strane azioni, sì, ma queste azioni non erano insensate. Dietro di esse c’era uno scopo, solo che non riuscivo proprio a capire quale fosse. E poi, Abalkin mi faceva pena, non poteva essere pericoloso…


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