Baley aveva sentito di disordini simili; in un caso aveva anche assistito di persona. Aveva visto i robot sollevati da decine di mani, i pesanti corpi di metallo, incapaci di opporre resistenza, portati a braccia dagli uomini esasperati. E gli esseri umani facevano smorfie ai simulacri metallici della specie. Avevano usato martelli, lame d’energia, fucili ad ago, finché le miserabili carcasse non si erano ridotte a un ammasso di lamiere contorte. I costosi cervelli positronici — la creazione più complessa dell’ingegno umano — erano passati di mano in mano come palloni da football e in pochi minuti si erano ridotti a gusci inservibili.
E poi, con il genio della distruzione ormai sprigionato, i facinorosi si erano dedicati alla demolizione sistematica di tutto ciò che capitava sotto tiro.
I commessi-robot non sapevano niente di tutto questo, ma quando la folla si riversò nel negozio alzarono le braccia istintivamente, nel goffo tentativo di nascondersi. La donna che aveva scatenato il pandemonio, atterrita alla prospettiva di ciò che stava per capitare, ansimò: «Calmatevi, adesso. Gente, calmatevi!». Le cose erano andate molto al di là di quello che aveva previsto.
Qualcuno le calò il cappello sulla faccia e la voce le si ridusse a un indistinto piagnucolio.
Il padrone del negozio urlò: «Li fermi, agente, li fermi!».
R. Daneel parlò. Senza sforzo apparente la sua voce si librò di qualche decibel sopra la media normale dell’uomo. Per forza, si ripeté Baley per la decima volta, non è…
R. Daneel disse: «Il prossimo che si muove si becca un colpo».
Qualcuno dal fondo gridò: «Levatelo di mezzo!».
Ma per un attimo nessuno si mosse.
R. Daneel salì agilmente su una sedia, e da lì su un espositore infrangibile di transtex. L’alone colorato che emanava dalle fessure nella pellicola polarizzata trasformarono la faccia fredda e liscia di R. Daneel in una maschera ultraterrena.
"Ultraterrena" pensò Baley.
La scena si era immobilizzata; R. Daneel troneggiava su tutto, formidabile.
Poi disse, deciso: «State pensando: quell’uomo ha una frusta neuronica o un paralizzatore. Se ci buttiamo addosso a lui al massimo uno o due di noi verranno colpiti, e anche quelli si riprenderanno. Nel frattempo faremo il nostro comodo e che la legge e l’ordine vadano a farsi fottere nello spazio».
La voce non era né dura né irata, ma autoritaria. Aveva il tono di chi è abituato al comando. «Ma vi sbagliate, non ho una frusta neuronica e nemmeno un paralizzatore. Ho un fulminatore, di quelli mortali. Lo userò e non punterò sopra le vostre teste. Ammazzerò parecchi di voi prima che mi prendiate, forse la maggior parte. Parlo sul serio, e del resto non ho l’aria di chi scherza, vero?»
Ci fu del movimento verso il fondo, ma la folla non aumentò. Se qualche curioso si fermava a guardare, presto decideva di squagliarsela. I più vicini a R. Daneel trattenevano il fiato, cercando disperatamente di non cedere alla pressione delle ultime file e non avanzare.
La donna con il cappello ruppe l’incantesimo. Scoppiando in singhiozzi, disse: «Ci ucciderà! Non ho fatto niente, oh, fatemi uscire di qua!».
Si voltò per andarsene, ma davanti a lei c’era una parete inamovibile di uomini e donne. La cliente cadde in ginocchio e il movimento verso il fondo si fece più pronunciato.
R. Daneel balzò giù dall’espositore e disse: «Ora andrò verso la porta. Ucciderò l’uomo o la donna che mi toccano. Quando sarò arrivato alla porta, ucciderò chiunque, uomo o donna, non se ne stia andando per i fatti propri. La signora, qui…».
«No, no!» gridò la donna con il cappello. «Le dico che non ho fatto niente, io! Non volevo fare del male, adesso non voglio nemmeno le scarpe. Cerco solo di andarmene a casa.»
«La signora qui» continuò Daneel «resterà. E sarà servita da un commesso.»
Fece un passo avanti.
La folla lo fissava inespressiva. Baley chiuse gli occhi e pensò, disperatamente, che non era colpa sua. Ci sarà spargimento di sangue e un’interminabile serie di guai, pensò. Ma loro mi hanno dato un robot come collega; loro gli hanno assegnato la mia stessa qualifica.
Non serviva. Non credeva a se stesso. Avrebbe dovuto fermare R. Daneel all’inizio; avrebbe dovuto chiamare una squadra, c’era stato tutto il tempo. Invece aveva preferito che R. Daneel si assumesse la responsabilità e aveva provato il sollievo del codardo. Cercò di giustificarsi, riflettendo che la personalità di R. Daneel si era imposta naturalmente, ma provò un fremito di disgusto verso se stesso. Un robot che dominava una situazione naturalmente…
Non ci furono i soliti lamenti, le urla, le maledizioni. Baley aprì gli occhi.
La folla si era dispersa.
Il proprietario del negozio si stava calmando; si aggiustò la giacca tutta storta, si lisciò i capelli e borbottò qualche imprecazione verso la folla che scompariva.
Un veicolo di pattuglia si fermò davanti al negozio in quel momento, con un sibilo dolce e modulato. Baley pensò: "Ma certo, quando tutto è finito"
Il negoziante gli tirò la manica: «Non creiamoci altre complicazioni, agente».
Baley disse: «Non ci saranno».
Sbarazzarsi dell’auto di pattuglia fu facile. Erano arrivati in risposta alla segnalazione di un assembramento. Non conoscevano i particolari e vedevano da sé che la strada era ormai sgombra. R. Daneel si fece da parte e non mostrò alcun interesse per il resoconto che Baley fece ai suoi colleghi; un resoconto in cui i fatti venivano minimizzati e la parte avuta dall’automa taciuta completamente.
Dopo, Baley prese R. Daneel da parte e si appoggiò a un pozzo di acciaio e cemento che sprofondava nel caseggiato.
«Stammi a sentire» disse. «Non ho cercato di rubare la tua fetta di gloria, lo capisci.»
«La mia fetta di gloria? È una frase idiomatica terrestre?»
«Non ho riferito la parte che hai avuto nella faccenda.»
«Non conosco le vostre abitudini. Sul mio mondo si usa fare rapporti completi, ma forse qui è diverso. In ogni caso, un focolaio di rivolta civile è stato soppresso. È questa la cosa importante, no?»
«Lo credi? Ora stammi a sentire.» Baley cercò di suonare più minaccioso possibile, anche se, per forza di cose, doveva tenere la voce bassa. «Non provarti a farlo di nuovo.»
«Non provarmi a far rispettare la legge? Ma se non faccio questo, qual è il mio scopo?»
«Non minacciare più un essere umano con un fulminatore.»
«Non avrei mai sparato, Elijah, e lo sai bene. Sono incapace di fare del male a un uomo. Ma, come vedi, non è stato necessario. E lo sapevo.»
«È stata pura fortuna, che tu non abbia dovuto sparare. Non correre di nuovo un rischio del genere. Avrei potuto farlo anch’io, il tuo numero acrobatico…».
«Numero acrobatico? Che cos’è?»
«Non importa, afferra il senso di quello che dico. Avrei potuto minacciare anch’io la folla con un fulminatore: ce l’avevo. Ma non è il genere di rischio che sono autorizzato a correre, e lo stesso vale per te. In questi casi si chiama la squadra anti-dimostranti, è più sicuro che fare gli eroi da soli.»
R. Daneel rifletté, poi scosse la testa. «Credo che tu abbia torto, collega Elijah. Le mie istruzioni sul carattere dei terrestri dicono che, a differenza degli abitanti dei Mondi Esterni, sono inclini ad accettare l’autorità. Questo, a quanto sembra, è il risultato del vostro modo di vivere. Un uomo che rappresenti l’autorità con sufficiente fermezza basta a sgominare una folla, e io l’ho dimostrato. Il tuo desiderio di chiamare la squadra anti-dimostranti è solo una espressione, credimi, del bisogno istintivo di un’autorità superiore che prenda in mano la situazione e ti tolga la responsabilità. Sul mio mondo, lo ammetto, quello che ho fatto sarebbe stato del tutto ingiustificato.»
La faccia di Baley era rossa dall’ira. «Se ti avessero riconosciuto per un robot…»
«Ero certo che non sarebbe successo.»