«No, non vogliamo la stessa cosa. Buona giornata, Jack.»

Anawak accelerò il passo. Avrebbe voluto correre, ma non voleva dare a Greywolf l'impressione che stesse fuggendo. L'ambientalista rimase fermo. «Carogna cocciuta!» gli gridò dietro.

Anawak non rispose. Superò deciso il delfinario e si diresse verso l'uscita.

«Leon, sai qual è il tuo problema? Forse io non sarò un vero indiano, ma il tuo problema è che tu sei un vero indiano!»

«Io non sono un indiano», borbottò Anawak.

«Ah, scusa», gridò Greywolf come se l'avesse sentito. «Tu sei un caso particolare. Perché non sei nella tua terra, dove c'è bisogno di te?»

«Bastardo», sibilò Anawak. Tremava di rabbia. Prima quella capra cocciuta, poi Jack Greywolf. Avrebbe potuto essere una giornata magnifica, iniziata con un esperimento coronato da successo. E invece lui si sentiva svuotato e infelice. «Nella tua terra…» Che cosa si credeva quella montagna di muscoli senza cervello? Con che faccia tosta gli rinfacciava le sue origini? «Dove c'è bisogno di tei» «Io sono dove c'è bisogno di me», sbuffò.

Una donna gli passò vicino e lo fissò, sbalordita. Anawak si guardò intorno. Era fuori, in strada. Sempre tremando di rabbia, salì in auto, diretto all'imbarco per Tsawwassen, e lì prese il traghetto per Vancouver Island.

Il giorno seguente si alzò presto. Alle sei era sveglio e, dopo essere rimasto per un po' a fissare il basso tetto della cuccetta, aveva deciso di andare alla Davies Whaling Station.

Nuvole rosa sfilavano lungo l'orizzonte e il cielo cominciava lentamente a schiarirsi. Nell'acqua, liscia come uno specchio, si riflettevano le montagne vicine con tonalità scure, le case, le barche. Di lì a poche ore sarebbero apparsi i primi turisti. Anawak andò sino alla fine del pontile dov'era ormeggiato lo zodiac, si appoggiò al parapetto di legno e guardò per un po' il mare aperto. Amava quella piacevole sensazione della natura che si sveglia prima degli uomini. Lì non c'era nessuno che lo infastidisse. Quelli come l'insopportabile fidanzato di Susan Stringer erano a letto e tenevano la bocca chiusa. Verosimilmente anche Alicia Delaware dormiva… il sonno dell'ignoranza.

E poi c'era Jack Greywolf.

Le sue parole riecheggiavano nella mente di Anawak. Forse Greywolf era un perfetto idiota, ma purtroppo era riuscito ancora una volta a mettere il dito nella piaga.

Osservando due piccoli pescherecci, Anawak rifletté se era il caso di chiamare Susan e convincerla a uscire in mare con lui. Greywolf non aveva mentito: erano state avvistate le prime megattere. Evidentemente arrivavano alla spicciolata, con grande ritardo. La cosa in sé era positiva, però non spiegava dove si fossero cacciate per tutto quel tempo. Forse sarebbero riusciti a identificarne qualcuna. Susan aveva fiuto, senza contare che la sua compagnia gli piaceva. Era una delle poche persone che non tirava mai in ballo la storia delle sue origini, indagando se era indiano oppure asiatico. O chissà cosa.

Samantha Crowe l'aveva fatto. Strano, a lei avrebbe potuto raccontare tutto. Ma la ricercatrice del SETI stava per partire.

Tu pensi troppo, Leon.

Anawak decise di non svegliare Susan e di andare da solo. Entrò nella stazione e mise in una borsa impermeabile il laptop, la telecamera, il binocolo, il registratore, l'idrofono, le cuffie e un cronometro. Poi prese una barretta di müesli, due lattine di tè freddo e portò tutto sul Blue Shark. Guidò lentamente il gommone scoppiettante attraverso la laguna e accelerò solo quando si fu allontanato a sufficienza dalle case. Lo zodiac sfrecciava, con la prua sollevata, e il vento colpiva il viso di Anawak, spazzando i pensieri cupi.

Senza passeggeri e fermate intermedie, procedeva molto velocemente. Dopo meno di venti minuti, scorse un gruppo di minuscole isole che spuntavano dal mare argentato, mosso da onde lunghe e distanziate, e proseguì a velocità ridotta. Anawak stava all'erta, cercando di non farsi scoraggiare. Le megattere erano state avvistate, senza dubbio. E non erano quelle stanziali, bensì le transienti, provenienti dalla Bassa California e dalle Hawaii.

Giunto al largo, Anawak spense il motore e fu immediatamente avvolto da un silenzio assoluto. Aprì una lattina di tè freddo, bevve e poi si mise a prua col binocolo.

Passò quasi un'eternità prima che qualcosa facesse capolino, ma il dorso scuro sparì subito.

«Fatti vedere. Lo so che sei lì», sussurrò Anawak.

Perlustrava attentamente l'oceano. Per alcuni minuti non accadde nulla. Poi, poco più in là, dall'acqua emersero due figure lisce, a breve distanza l'una dall'altra. Sui loro dorsi si levavano bianche nuvole di vapore, simili a fumo denso. La loro comparsa fu accompagnata da un rombo, simile a una serie di colpi di fucile. Anawak fissava quello spettacolo con gli occhi spalancati.

Megattere.

Scoppiò a ridere, felice. Come tutti gli esperti, era in grado di riconoscere la specie soltanto dal getto.

Nei grandi cetacei, il ricambio dell'ossigeno coinvolgeva ogni volta alcuni metri cubi di aria. Quella che avevano nei polmoni veniva compressa ed espulsa regolarmente dallo sfiatatoio. Una volta uscita, si allargava, si raffreddava e si condensava in una sorta di vaporizzazione. Forma e altezza del getto variavano anche all'interno della stessa specie, a seconda del tempo d'immersione e delle dimensioni. Pure il vento giocava un certo ruolo. Ma quelle erano senza ombra di dubbio le caratteristiche nuvole di condensa del getto delle megattere.

Anawak accese il laptop e avviò il programma. Aveva salvato le schede di centinaia di cetacei che passavano regolarmente in quella zona. Per i profani, era quasi impossibile riconoscere la specie o addirittura il singolo individuo, da quel poco che i cetacei tenevano fuori dall'acqua, senza contare che, spesso, la visuale era resa difficile dal mare grosso, dalla nebbia, dalla pioggia o dalla luce abbagliante del sole. Tuttavia ogni animale aveva segni caratteristici. Il modo più facile per identificarli era osservare le pinne caudali che, durante l'immersione, si levavano spesso dall'acqua. Ogni esemplare aveva una coda diversa. Ciascuna aveva un disegno caratteristico e potevano esserci differenze nella forma e nella struttura. Anawak sapeva riconoscere molte code, ma il suo archivio fotografico rendeva il lavoro più facile.

Era pressoché sicuro che fossero due vecchie conoscenze.

Dopo un po', i dorsi neri riemersero. Prima, appena visibili, comparvero i piccoli rilievi con gli sfiatatoi. Poi si sentì il fischio quasi simultaneo alla vaporizzazione dell'espirazione. Gli animali non s'inabissarono subito, ma fecero emergere ancora di più i dorsi, mostrando le pinne dorsali piatte e smussate. Quindi si piegarono pigramente in avanti e s'immersero. Anawak riconobbe chiaramente la dentellatura della colonna vertebrale. Infine sollevarono lentamente le code.

Velocissimo, prese il binocolo e cercò di scorgerne la parte inferiore, ma non ci riuscì. Non importava. Erano arrivate. La prima dote di un osservatore di balene è la pazienza. Inoltre c'era ancora tempo prima dell'arrivo dei turisti. Aprì la seconda lattina e addentò la barretta di müesli.

In breve tempo, la sua pazienza venne ricompensata. D'un tratto si accorse che, a poca distanza dall'imbarcazione, cinque dorsi solcavano l'acqua. Sentì il cuore battergli all'impazzata. Gli animali erano vicinissimi. Attese impaziente la comparsa delle code. Quello spettacolo lo stregava a tal punto che, in un primo momento, non percepì la figura monumentale vicino alla barca. Ma era ritta proprio davanti a lui. Anawak voltò la testa e trasalì.

Dimenticò i cinque dorsi e rimase a bocca aperta.

Il cranio della megattera si era levato dai flutti senza fare rumore. Era così vicino da sfiorare il bordo dell'imbarcazione. Usciva dall'acqua di quasi tre metri e mezzo, la bocca chiusa e corrugata ricoperta di crostacei balani ed escrescenze. Al di sopra della bocca, un occhio grande come un pugno fissava il passeggero dello zodiac. Al di sopra delle onde si vedevano gli attacchi delle imponenti pinne pettorali.


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