Dentro di sé l’astrologo emise un gemito. Abbassò gli occhi.
— Piastrelle? — si arrischiò a dire.
— Piastrelle, sì, che insieme formano lo… — Trymon si fermò, in attesa.
— Zodiaco? — Ormai l’astrologo era disperato.
— Giusto! E perciò ci occorre soltanto fare l’esatto oroscopo di Scuotivento e sapremo esattamente dove si trova!
L’astrologo sorrise come un uomo che, avendo ballato il tip-tap sulle sabbie mobili, sente sotto i piedi la solida roccia.
— Mi occorrerà sapere di preciso luogo e data della sua nascita — dichiarò.
— È presto fatto. Li ho copiati dai registri dell’Università prima di venire qui.
L’astrologo esaminò gli appunti e aggrottò la fronte. Attraversò la. stanza e tirò fuori un grande cassetto pieno di carte. Rilesse gli appunti. Prese un complicato paio di compassi e fece dei calcoli sulle mappe. Preso poi un piccolo astrolabio di ottone, lo fece ruotare con attenzione. Emise un fischio tra i denti. Raccolse un gessetto e scribacchiò dei numeri su una lavagna.
Nel frattempo. Trymon contemplava dalla finestra la nuova stella. Pensava: "La leggenda della Piramide di Tsort dice che colui che pronuncia insieme gli Otto Incantesimi quando il Disco è in pericolo otterrà tutto ciò che veramente desidera. E succederà presto!".
E pensava: "Mi ricordo di Scuotivento. Non era lui il ragazzetto pelle e ossa, che risultava sempre l’ultimo della classe durante il nostro addestramento? Nemmeno un osso magico in tutto il suo corpo. Aspetta soltanto che io l’abbia qui davanti a me, e vedremo se riusciremo ad avere tutti gli otto…".
— Perbacco! — esclamò sottovoce l’astrologo. Trymon si girò di scatto.
— Una mappa affascinante — disse l’astrologo, senza fiato. Aggrottò la fronte. — Un po’ strana, in realtà.
— Come sarebbe strana?
— Scuotivento è nato sotto il segno del Piccolo Gruppo Annoiato delle Stelle Deboli che, come sai, si trova tra Il Topo Volante e la Stringa Annodata. Si dice che nemmeno gli antichi trovassero niente di interessante da osservare su questo segno, il quale…
— Sì, sì, va’ avanti — gli ordinò Trymon irritato.
— È il segno che viene tradizionalmente associato con i fabbricanti di scacchiere, venditori di cipolle, fabbricanti di statuine di gesso di scarso significato religioso, e persone allergiche al peltro. Non è affatto un segno da mago. E al tempo della sua nascita, l’ombra di Cori Celesti…
— Non m’importa conoscere tutti i dettagli tecnici — brontolò Trymon. — Dammi semplicemente il suo oroscopo.
L’astrologo, che si stava divertendo, sospirò e si mise a fare qualche altro calcolo.
— Benissimo — annunciò. — Ecco qui: "Oggi è una giornata favorevole per farti nuovi amici. Una buona azione può avere conseguenze impreviste. Non turbare i druidi. Presto inizierai un viaggio molto strano. Il tuo cibo fortunato sono i cetriolini. Coloro che ti puntano addosso un coltello probabilmente non hanno buone intenzioni. PS. Parliamo seriamente dei druidi".
— Druidi? — disse Trymon. — Mi domando…
— Ti senti bene? — chiese Duefiori.
Scuotivento aprì gli occhi. Si tirò su in fretta a sedere e afferrò l’amico per la camicia.
— Voglio andarmene di qui. Ora, subito! — insisté.
— Ma sta per avere luogo un’antica cerimonia tradizionale!
— Non me ne importa niente se è antica! Voglio sentirmi sotto i piedi un onesto selciato. Voglio sentire il vecchio, familiare puzzo dei pozzi neri. Voglio andare dove c’è un sacco di gente, dove ci sono i caminetti e i tetti e le pareti e tutte le cose consuete di questo genere! Voglio andare a casa!
Aveva scoperto di avere questa subitanea e disperata nostalgia delle strade fumose di Ankh-Morpork, che era sempre al suo meglio in primavera, quando la lucentezza gommosa delle acque torbide del fiume Ankh aveva una speciale iridescenza e dai cornicioni delle case veniva il canto degli uccelli, o almeno di uccelli che tossivano ritmicamente.
Negli occhi gli spuntò una lacrima al ricordo del delicato gioco della luce sul Tempio dei Piccoli Dei, un noto monumento della città. E gli venne il groppo alla gola al ricordo delle bancarelle di pesce fritto all’incrocio di via Mucchio di Letame e via degli Astuti Artificieri. Ripensò ai cetrioli che si vendevano là, grossi cosi verdi acquattati in fondo ai loro barattoli come balene affogate. Lo chiamavano attraverso le migliaia di chilometri di distanza con la promessa di presentarlo alle uova in salamoia contenute nel barattolo vicino.
Pensò ai comodi fienili sopra le stalle e al loro caldo pavimento dove trascorreva le notti. Spesso, da sciocco, si era lamentato di quel tipo di vita. Ora gli sembrava incredibile, ma lo aveva trovato noioso.
Adesso ne aveva avuto abbastanza. Se ne sarebbe tornato a casa. "Cetrioli sottaceto, vi odo chiamarmi…"
Scansò Duefiori, si strinse nella sua tunica malandata con grande dignità e volse il viso verso quella zona dell’orizzonte dove era situata, a suo giudizio, la sua città natale. E, con intensa determinazione e considerevole sbadataggine, scese dalla cima di un trilitone di almeno dieci metri di altezza.
Circa dieci minuti più tardi, quando un Duefiori preoccupato e alquanto contrito lo estrasse da un grosso mucchio di neve alla base delle pietre, l’espressione di Scuotivento non era mutata.
L’ometto lo scrutò. — Stai bene? — ripeté. — Quante dita tengo alzate?
— Voglio andare a casa!
— Okay.
— No, non cercare di farmi cambiare idea con le tue parole. Ne ho avuto abbastanza. Mi piacerebbe affermare che mi sono molto divertito, ma non posso, e… che cosa?
— Ho detto okay — rispose Duefiori. — Mi piacerebbe molto rivedere Ankh-Morpork. Mi aspetto che ormai ne avranno ricostruita una buona parte.
Da notare che l’ultima volta che i due l’avevano vista, la città stava bruciando violentemente. Cosa strettamente collegata al fatto che Duefiori aveva illustrato il concetto di assicurazione contro gli incendi a una plebaglia veniale ma ignorante. Però, incendi devastanti costituivano un aspetto regolare della vita morporkiana. E la città era stata sempre allegramente e metodicamente ricostruita, usando i materiali tradizionali consistenti in legna secca per accendere il fuoco e paglia impermeabilizzata con la pece.
Scuotivento, alle parole dell’amico, si calmò un po’. — Oh, bene. Bene allora. Ottimo. Forse allora dovremmo partire.
Si alzò in piedi e si spazzolò via la neve.
— Penso solo che dovremmo aspettare fino a domattina — consigliò Duefiori.
— Perché?
— Be’, perché fa un freddo cane, in realtà non sappiamo dove ci troviamo, il Bagaglio è scomparso, si sta facendo buio…
Scuotivento non si mosse. Gli sembrò di udire, nei profondi canyon della sua mente, il lontano fruscio di carta antica. Aveva l’orribile sensazione che da quel momento in poi i suoi sogni sarebbero divenuti assai ripetitivi. E aveva di meglio da fare che ascoltare i sermoni di un gruppetto di antichi incantesimi che non riuscivano nemmeno a mettersi d’accordo su come era cominciato l’Universo…
In fondo alla sua mente una vocetta secca disse: — Che cosa di meglio?
— Oh, chiudi il becco — sbottò il mago.
— Ho detto soltanto che fa un freddo cane e… — cominciò Duefiori.
— Non volevo dire tu. Volevo dire io.
— Cosa?
— Oh, chiudi il becco — disse stancamente il mago. — Non ci sarebbe qualcosa da mangiare da queste parti?
Le pietre gigantesche erano nere e minacciose contro la morente luce verde del tramonto. Il cerchio interno era affollato di druidi, che si muovevano indaffarati alla luce di numerosi falò e mettevano a punto le necessarie unità periferiche di un computer, quali crani di montone su pertiche con in cima del vischio, bandiere ricamate con serpenti attorcigliati e così via. Oltre i cerchi illuminati si erano radunati in gran numero gli abitanti delle pianure: i festival druidici erano sempre popolari, specie quando le cose andavano male.