Sei visi spaventati si girarono verso di lui.
— Uhm, siete stato chiamato, signore — disse uno dei maghi minori. — Ecco perché siete qui — aggiunse servizievole.
— Voglio dire, perché non sono stato chiamato prima? — scattò Galder, facendosi largo per arrivare alla griglia.
— Uhm, prima di chi, signore? — chiese l’altro.
Galder lo fulminò con lo sguardo e si azzardò a dare un’occhiata attraverso la griglia.
Ora nell’aria della stanza sprizzavano scintille mentre granellini di polvere bruciavano nel flusso della magia pura. Il Sigillo di Stasi cominciava a coprirsi di vesciche e ad arricciarsi agli orli.
Il libro in questione veniva chiamato Octavo e. ovviamente, non era un comune libro.
Esistono naturalmente molti famosi libri di magia. Alcuni parlano del Necrotelicomnicon, con le sue pagine fatte di pelle di antica lucertola. Altri indicano il Libro del Giro Intorno all’Undecimo. scritto da una misteriosa e alquanto pigra setta lamaica. Altri ancora ricordano che il Grande Teatro Comico Grimoire contiene presumibilmente l’unica burla originale rimasta nell’universo. Ma tutti questi libri non sono che semplici opuscoli se paragonati all’Octavo che, con caratteristica sbadataggine, il Creatore dell’Universo si è dimenticato di portarsi via dopo avere terminato la sua grande opera.
Gli Otto Incantesimi imprigionati nelle sue pagine hanno condotto una loro propria vita, complessa e segreta, e generalmente si è creduto che…
Contemplando la turbolenza della stanza, Galder aggrottò la fronte. Naturale, ora c’erano soltanto Sette Incantesimi. Qualche idiota di studente di magia un giorno aveva gettato di nascosto un’occhiata al libro e uno degli Incantesimi ne era sfuggito e si era insediato nella sua mente. Nessuno era mai riuscito a sapere fino in fondo come ciò era accaduto. Come si chiamava quello studente? Ventomazza?
Sul dorso del libro guizzavano scintille di ottarino e color porpora. Dal leggio cominciò a innalzarsi una sottile voluta di fumo e i pesanti fermagli di metallo che tenevano chiuso il libro parvero sul punto di spezzarsi.
— Perché gli Incantesimi sono tanto irrequieti? — chiese uno dei maghi più giovani.
Galder si strinse nelle spalle. Non poteva tradirsi, naturalmente, ma cominciava a preoccuparsi. Da consumato mago dell’ottavo livello qual era, lui poteva distinguere le forme semi-immaginarie che apparivano a momenti nell’aria vibrante, ammiccanti e piene di lusinghe. Come le zanzare appaiono prima di un temporale, così possenti concentrazioni di magia hanno sempre attratto degli esseri dalle caotiche Dimensioni Sotterranee. Esseri malvagi, tutti organi distorti e saliva, senza posa in cerca di un varco attraverso il quale insinuarsi nel mondo degli uomini. [Essi non saranno qui descritti, perché perfino quelli graziosi sembrano le progenie di una piovra e di una bicicletta. È risaputo che esseri provenienti da universi indesiderabili tentano sempre di entrare nel nostro, che è l’equivalente psichico di comodità per i bus e vicinanza dei negozi.]
Occorreva arrestare tutto questo.
— Avrò bisogno di un volontario — dichiarò deciso Galder.
D’improvviso si fece silenzio. L’unico rumore proveniva da dietro la porta chiusa. Un brutto rumorino di metallo che si spezza sotto la tensione.
— Benissimo, allora — disse il mago. — In questo caso mi occorrono delle pinzette d’argento, circa due pinte di sangue di gatto, una piccola frusta e una sedia.
Si dice che il silenzio sia l’opposto del rumore. Non è vero. Il silenzio è soltanto l’assenza di rumore. Il silenzio sarebbe stato un tremendo fracasso a confronto dell’improvvisa implosione di quiete assoluta che colpì i maghi con la forza dell’esplosione di un fiore di tarassaco.
Un’improvvisa colonna di luce scoppiettante sprizzò fuori dal libro, colpì il soffitto con una fiammata e scomparve.
Galder continuava a guardare dal buco, senza badare alla sua barba strinata. A un tratto, puntò un dito in alto con gesto drammatico.
— Alle soffitte! — gridò e si slanciò su per la scala di pietra. Ciabattando, le camicie da notte svolazzanti, gli altri maghi lo seguirono, urtandosi nella fretta di non rimanere per ultimi.
Tuttavia fecero tutti in tempo a vedere la palla di fuoco dell’occulta potenzialità scomparire nel soffitto della stanza di sopra.
— Urgh — esclamò il mago più giovane e indicò il pavimento.
La stanza aveva fatto parte della biblioteca, finché la magia l’aveva attraversata e aveva riassemblato con violenza le particelle di possibilità di tutto ciò che si era trovato sul suo cammino. Così era ragionevole presumere che i piccoli tritoni purpurei avessero fatto parte del pavimento e che la gelatina di pompelmo una volta fosse stata dei libri. E più tardi diversi maghi giurarono che il piccolo orangutango triste seduto lì nel mezzo somigliasse moltissimo al bibliotecario capo.
Galder alzò gli occhi. — Alle cucine! — tuonò, procedendo a stento attraverso la gelatina diretto alla vicina rampa di scale.
Nessuno scoprì mai in che cosa fosse stata trasformata la grande stufa di ferro, perché questa aveva sfondato la parete ed era riuscita a fuggire prima che irrompesse nel locale il gruppetto dei maghi, scarmigliati e con lo sguardo spiritato. Lo chef addetto alla preparazione delle verdure venne trovato molto dopo nascosto nel pentolone della zuppa a bofonchiare parole sconnesse come: "Le nocche! Quelle orribili nocche!".
Gli ultimi sprazzi di magia, ora più lenti, stavano scomparendo nel soffitto.
— Alla Grande Sala!
Lì la scala era molto più larga e meglio illuminata. Ansimanti e odorosi di pompelmo, i maghi più in forma arrivarono in cima nel momento in cui la palla di fuoco aveva raggiunto il centro dell’enorme locale pieno di spifferi che era la sala principale dell’Università. La sfera di fuoco era immobile nell’aria, salvo che per la piccola protuberanza che di tanto in tanto si gonfiava e crepitava sulla sua superficie.
I maghi fumano, come tutti sanno. Questo probabilmente spiegava il coro di tossi cavernose e stridenti sternuti che eruppe dietro a Galder mentre questi se ne stava fermo a valutare la situazione e a chiedersi se era il caso di cercare dove nascondersi. Afferrò uno studente spaventato.
— Portami gli uomini dotati della facoltà di vedere nel futuro, anche lontano, e nelle cose nascoste — abbaiò. — Voglio che tutto questo venga studiato!
All’interno della palla di fuoco qualcosa stava prendendo forma. Galder si riparò gli occhi con la mano e la fissò. Impossibile sbagliarsi. Era l’universo.
Il mago ne era sicuro, perché nel suo studio aveva il modello che, per consenso generale, era giudicato molto più straordinario dell’universo vero. Messo di fronte alle possibilità offerte dalle perle scaramazze e dalla filigrana d’argento, il Creatore si era trovato a malpartito.
Ma il minuscolo universo all’interno della palla di fuoco era stranamente… be’, reale. L’unica cosa che gli mancava era il colore. Era tutto di un vago bianco traslucido.
C’era la Grande A’Tuin e i quattro elefanti e il Disco stesso. Da quell’angolo Galder non poteva vedere molto bene la superficie, ma sapeva per certo che era modellata con assoluta accuratezza. Distingueva, però, una replica in miniatura di Cori Celesti, sul cui picco più alto gli dei del mondo, litigiosi e alquanto borghesi, vivevano in un palazzo di marmo, in suite di tre locali d’alabastro e moquette, che avevano scelto di chiamare Dunmanifestin. Per un cittadino del Disco con pretese culturali era sempre fonte di notevole irritazione il fatto di essere governato da dei la cui idea di un’esperienza artistica esaltante era un campanello a carillon.
Il piccolo embrione di universo prese a muoversi lentamente, inclinandosi…
Galder cercò di gridare, ma la voce si rifiutò di uscirgli.
La forma si espandeva adagio, ma con la forza di un’esplosione.