Una delle cose che infastidivano Falkner a proposito delle storie di dischi volanti era la linea ascendente del grafico degli avvistamenti riferiti. Gli avvistamenti sembravano fluttuare in relazione alla temperatura degli eventi internazionali: i primi si erano verificati subito dopo la seconda guerra mondiale, nel nuovo clima di tensione atomica provocato dalla rivalità russo-americana; poi c’era stato un periodo di calma negli anni di Eisenhower, subito seguito da una nuova impennata verso il 1960. Quindi, dopo l’assassinio di Kennedy, i dischi erano tornati a farsi vedere un po’ dappertutto, rivelando una costante tendenza ascendente fino al 1966 o giù di lì, soprattutto in coincidenza con i momenti di maggior tensione dei rapporti con la Cina.
Non si poteva trovare un rapporto tra le apparizioni di meteore e gli eventi politici mondiali; si poteva, tuttavia, ricondurre in qualche modo la psicosi dei dischi volanti all’accrescersi dell’ansietà individuale. Forse il 99 per cento degli avvistamenti, si disse Falkner, erano dovuti ai nervi scossi.
Ma gli altri…
Il guaio era che la qualità degli avvistatori stava cambiando. All’inizio, la maggior parte delle storie di dischi volanti era venuta da matrone in menopausa e da contadinotti con la mascella squadrata, afflitti dal gozzo e con gli occhiali dalla montatura di acciaio, ma gradualmente si era passati da questo tipo di pazzoidi più o meno scontati a gente la cui parola aveva un certo peso. Quando presidenti di banca, poliziotti, congressisti e professori di fisica cominciarono tutti a scorgere forme arrotondate nel cielo, non si poté più parlare di fantasticherie da esaltati. Falkner non poteva negarlo. E, soprattutto dopo il 1975, il numero degli avvistamenti ed il numero degli avvistatoli degni di credito erano cresciuti bruscamente. La banda dei visionali, di coloro che affermavano di aver-viaggiato-a-bordo-di-un-disco-volante, c’era sempre, e Falkner non se ne preoccupava più che tanto. Ma non poteva ignorare gli altri.
Eppure aveva un rapporto stabile e profondo con il suo lavoro, benché di tipo negativo. Non poteva convincersi a credere che i cosiddetti dischi volanti fossero qualcosa di diverso da semplici fenomeni naturali. Se davvero si trattava di navi provenienti dallo spazio, allora il suo incarico al SOA era proprio importante, e quella fitta di amarezza che lo tormentava si sarebbe alleviata. Ma Tom Falkner aveva bisogno di quella fitta, perché gli faceva da sprone. E quindi reagiva in maniera ostile all’ipotesi che il suo lavoro potesse seriamente riguardare eventi concreti, o che potesse avere una sia pur minima importanza per la sicurezza del paese.
Disinserì i banchi-memoria e raccolse le informazioni dei rilevatori di metalli.
Nulla. Nel deserto non erano stati individuati oggetti insoliti.
Si mise in contatto con Bronstein, che si trovava in quel momento centoventi chilometri più a sud, in prossimità del villaggio di Acoma.
— Nessuna notizia? Nessun rapporto?
— Niente, da qui — rispose Bronstein. — Però da Acoma hanno visto la scia nel cielo. Ed anche da Laguna. Il sindaco dice che molti dei suoi paesani sono spaventati a morte.
— Dì loro che non c’è nulla di cui preoccuparsi.
— L’ho già fatto. Ma non serve a niente. È come se avessero visto uno spettro, Tom.
— Allora digli di chiamare un esorcista.
— Tom…
— D’accordo, scusami. Signore. - Falkner sottolineò pesantemente l’intenzione sarcastica. Poi, sbadigliando, aggiunse: — Sai che ci sono gli spiriti anche alla Casa Bianca? È un’ora che gli stanno mettendo il pepe sul sedere, al povero Weyerland. Vogliono dei risultati, o qualcosa.
— Lo so. Mi ha chiamato.
Falkner aggrottò la fronte. Non gli andava a genio l’idea che il suo superiore si mettesse in contatto con il suo assistente. C’era una catena gerarchica da rispettare, in situazioni del genere. Interruppe la comunicazione e passò ad un altro canale. Il cingolato filava veloce verso occidente. Le sensibili antenne sul tettuccio roteavano in cerca di dati, di qualsiasi informazione utile. Un bagliore di metallo nel deserto, e lui l’avrebbe saputo all’istante. I rilevatori termici erano a caccia dei raggi infrarossi emessi da qualsiasi essere vivente più grosso di un topo del deserto. Ogni trenta secondi un raggio laser guizzava via sibilando, rimbalzava centoventi chilometri più oltre e ritornava senza notizie.
Falkner premeva in continuazione pulsanti, girava manopole, inseriva e disinseriva circuiti. Durante ciascuno degli inutili giri di ricognizione nel deserto che seguivano a qualche avvistamento, provava un gelido piacere nel far scorrere le sue mani sul complicato pannello dei comandi, servendosi di tutta la sua apparecchiatura elettronica anche quando era assolutamente sicuro che non avrebbe trovato nulla. Un paio di mesi prima aveva infine capito, in un guizzo di intuizione, che cosa faceva quando si baloccava in quel modo frenetico con l’attrezzatura di bordo: giocava a fare l’astronauta.
Star seduto lì, nel sedile del suo accogliente cingolato era un po’ come essere lanciato in orbita, a centinaia di chilometri di quota, con una capsula spaziale. A parte il fatto, naturalmente, che le sue natiche registravano gli scossoni e gli scricchiolii del veicolo sulla sabbia. Ma aveva davanti a sé l’intero schieramento di luci vivide e piccoli schermi, un’attrezzatura da astronauta da sogno e poteva raccogliere dati a sua completa soddisfazione. Quel paragone non gli aveva fatto piacere, poiché gli riportava alla mente l’inutilità di quelle ricerche e lo stesso desolante fallimento che era stata la sua carriera. Tuttavia continuava con ostinazione a premere pulsanti a caso.
Parlò nuovamente con Topeka. Fece quattro chiacchiere con i ragazzi dei due veicoli settentrionali, uno ormai al di là di Taos e l’altro in prossimità delle città spagnole, dall’altra parte della Foresta Nazionale di Santa Fe. Controllò sul monitor i quattro cingolati meridionali che erano disposti a ventaglio da Socorro a Isleta, ed ancora più a ovest, verso Pie Town. Scambiò qualche commento con Bronstein, il quale si trovava nella zona desolata e disabitata a sud di Acoma, e puntava più o meno alla Riserva Zuni. Tra l’uno e l’altro, provvedevano alla sorveglianza completa dell’area relativa alla traiettoria della meteora avvistata, ma nessuno aveva scoperto nulla. Di tanto in tanto Falkner si inseriva sui vari programmi radiotelevisivi per raccogliere notizie. Evidentemente quella sera c’era un gran numero di persone che gridava «dischi volanti!», poiché gli annunciatori si davano un gran daffare a insistere che si trattava soltanto di una meteora. Da una stazione all’altra Falkner udì le stesse blande affermazioni. Tutte citavano Kelly, di Los Alamos. Chi era Kelly? Forse un astronomo? No, solo «uno del personale tecnico», qualsiasi cosa volesse dire. Probabilmente un portiere. Ma i mezzi di comunicazione utilizzavano la magia della sua appartenenza alla base di Los Alamos come talismano per rassicurare gli ascoltatori preoccupati.
Adesso avevano tirato fuori anche qualche astronomo. Un certo Alvarez, di Monte Palomar, aveva rilasciato una dichiarazione. E lo stesso aveva fatto un tale chiamato Matsuoko, un famoso astronomo giapponese. Alvarez aveva forse visto il globo con i suoi occhi? Nulla nelle sue parole indicava di sì. E Matsuoko? Naturalmente no. Eppure ambedue parlavano in tono saputo di meteore, facendo sottili distinzioni fra meteora e meteorite, soffocando tutte le paure sotto un fiume di frasi rassicuranti. A mezzanotte il governo comunicò alcune delle informazioni ricavate dalle reti di intercettazione e dai satelliti di osservazione. Sì, quella meteora era stata avvistata. No, non c’era nulla da temere. Un semplice fenomeno naturale.
Falkner si sentì male.
Il suo scetticismo radicato ed ostinato riguardo agli Oggetti Atmosferici era pari solo al suo scetticismo radicato ed ostinato nei confronti degli annunci ufficiali del governo. Se il governo si dava tanto da fare per tranquillizzare la gente, allora significava che c’era qualcosa di grosso che destava preoccupazione. Era assiomatico. D’altra parte, allenato com’era a leggere tra le righe dei messaggi ufficiali artefatti, Falkner aveva il profondo e persistente bisogno di credere nella futilità e nella vuotezza della sua stessa missione. Non poteva concedersi il lusso di considerare i dischi come una cosa reale. Però non credeva nemmeno al governo.