Prima che Alec avesse il tempo di dire qualcosa, una terza autoblindo spuntò all'altro capo della via. Il laser taceva e una banda di uomini armati stava accucciata sull'affusto, dietro alla cabina blindata. Altri uomini seguivano a piedi il veicolo. L'hanno presa, pensò Alec, ma per fortuna non sanno usare il laser.

Jameson doveva essersene accorto anche lui. Alec lo vide ritto in piedi di fianco alla prima autoblindo che tendeva il braccio verso il mezzo catturato. Il generatore del laser stridette e l'autoblindo catturata fu colpita dal raggio mortale Gli assalitori presero fuoco, e alle loro urla si frammischiò lo scoppio dei pneumatici. Poi il mezzo si fermò. Il raggio trovò i condotti dell'ossigeno e dell'idrogeno del serbatoio e l'autoblindo esplose con una vampata abbagliante.

Poi tutto finì all'improvviso. L'autoblindo continuò a bruciare, l'ufficio postale era ridotto a una massa contorta di fumanti rovine. Gli spari cessarono. Niente più urla né movimenti. La strada era cosparsa di cadaveri.

Cristo, ci hanno fatto a pezzi e io me ne sono rimasto qui fermo come un sasso. Si rialzò carponi con uno sforzo.

— Bene? — chiese Furetto con voce resa stridula dalla paura. — Tu bene? Bene?

— Sì — rispose Alec col poco fiato che aveva. — Sto bene.

Due uomini sbucarono di corsa da dietro l'angolo coi mitra spianati.

— Ehi, è Alec! — gridò la voce di Gianelli.

— E quel bel tipo di Furetto!

— È uno di loro — disse Gianelli. — Ammazziamolo, quel bastardo.

— No! — esclamò più forte che poté Alec. — Mi ha salvato la vita. Lasciatelo stare. Non era con loro. Mi ha trascinato via dalla linea del fuoco.

— Ti hanno colpito? — chiese Gianelli avvicinandosi.

— No… no… sto bene.

Di lì a un'ora dopo essersi lavato e cambiato, Alec si sentì abbastanza in forze da cercare qualcosa da mangiare. Gli altri portavano via i morti o si medicavano a vicenda le ferite. Si era subito sparsa la voce che l'unico inconveniente subito da Alec erano un paio di pantaloni imbrattati. Gli uomini facevano di tutto per evitarlo.

Alec trovò Jameson accanto a un piccolo fuoco acceso vicino a una delle autoblindo distrutte.

— Stai meglio, a quel che vedo — disse Jameson.

— Sì. E tu?

— Mi sono rotto un'unghia sparando — rispose l'altro con la massima serietà.

— A quanto ammontano le perdite?

— Tre morti e cinque feriti, di cui due gravi. Gli altri hanno solo qualche graffio. Poteva andar peggio.

Così siamo rimasti in dodici, pensò Alec. — Sono riusciti a catturare un'autoblindo?

Jameson annuì. — Ma gli è costata ventidue morti.

— E i feriti?

— Se li sono portati via quasi tutti. Gli altri sono morti. — Alec capì in che modo erano morti.

A conferma della sua supposizione giunse uno sparo.

— Questo era l'ultimo — disse Jameson.

— Io mi sono trovato fra voi e loro — mormorò Alec. — Sono stato sorpreso con… coi pantaloni calati.

Jameson alzò le spalle. — Ho sentito che Furetto ti ha portato in salvo. Forse dovrei cominciare a fidarmi un po' di lui.

— Già, potrebbe esserci utile per procurarci da mangiare.

Jameson lo lasciò, e Alec rimase solo accanto al fuocherello. Mentre stava bevendo un po' di brodo sentì uno degli uomini borbottare: — Me ne frego se mi sente! Stava facendosela sotto mentre Ollie e gli altri morivano. Bel capo davvero!

Sentì la voce sempre più pacata di Jameson ribattere: — Forse te ne freghi se lui ti sente, ma se ti sento io parlare ancora in questo modo ti spacco la faccia. Capito? Stava male… e non è ancora guarito.

La risposta fu un borbottio troppo sommesso perché Alec potesse capire. Appoggiato alla fiancata dell'autoblindo, con la tazza di brodo caldo fra le mani che tremavano, pensava: Dodici uomini. Dodici uomini contro Tebe. Dodici uomini e due autoblindo per attraversare il continente e trovare Douglas e i materiali. E gli uomini mi credono quasi tutti un vile o un pazzo. O tutt'e due le cose insieme.

Gli venne quasi da ridere: l'unico vero amico su cui poteva contare era quel mezzo scemo di Furetto.

Le prime luci dell'alba schiarivano il cielo a oriente. Alec sospirò. E va bene disse fra sé. Due autoblindo e dodici uomini. Sta per cominciare una nuova giornata. Partiamo. Subito!

15

Fra gli alberi c'era un fresco delizioso. Il sole ancora molto caldo disegnava chiazze luminose filtrando fra i rami e illuminava le radure erbose. Da nordovest spirava una brezza leggera. Le foglie avevano assunto colori fantastici, e cominciavano già a cadere. Alec non aveva mai visto prima una tale profusione di colori. Ma in quel momento non badava al fogliame autunnale. Stava sdraiato bocconi su un tappeto di morbide foglie in vetta a una collina, al riparo di aceri e betulle, e osservava, giù nella valle, un villaggio fortificato, un gruppo di capanne con sottili volute di fumo che si levavano da alcuni camini.

Ron Jameson, sdraiato vicino a lui, disse: — Hanno scelto un buon posto. La valle è sgombra e hanno un paio di chilometri allo scoperto tutto intorno. Nessuno può raggiungerli senza che lo vedano e chiudano i cancelli.

Annuendo, Alec esaminò col binocolo il muro di recinzione del villaggio. Era composto in massima parte di blocchi di scorie di carbone, oltre a mattoni. I cancelli di legno erano in realtà vecchi portoni probabilmente asportati dalle macerie di una città abbandonata.

Vide alcuni uomini intenti al lavoro nei campi di grano che si stendevano tra i boschi e il villaggio. Non c'erano donne in vista, ma anche se ci fossero state sarebbe stato difficile scorgerle fra gli steli alti due metri.

— Sono ingordi — osservò Jameson. — Hanno piantato a grano tutto il terreno fra il villaggio e i boschi, e cercano di ottenere un secondo raccolto prima che venga il gelo.

Furetto, sdraiato all'altro lato di Alec, disse tutto eccitato, puntando il dito: — Strada. Carretti. Carri.

— Probabilmente scambiano merci coi villaggi vicini — osservò Alec. — Tanto grano è troppo per loro.

— E se rifornissero gli uomini di Douglas? — suggerì Jameson. — Se nei paraggi ha un esercito abbastanza numeroso e una base organizzata, avrà bisogno di rifornirsi in villaggi come questo.

Alec tornò a ispezionare la zona. Una nube di polvere, in fondo alla strada, quasi all'orizzonte, attirò la sua attenzione.

— Un camion — mormorò. — No, è un carro trainato da cavalli.

— Carro — confermò Furetto annuendo tutto felice.

Alec passò il binocolo a Jameson.

— È vuoto. Si dirige al villaggio. Ci sono il conducente e due uomini armati.

— Non ne abbiamo visto un altro simile ieri? — chiese Jameson mettendo a fuoco le lenti.

— Sì. L'ha scorto Gianelli.

— E proprio verso quest'ora.

Alec sorrise. — Possiamo trasformare il prossimo in un cavallo di Troia.

— In cosa?

— Vedrai.

Per tutta l'estate Alec aveva guidato il suo esiguo drappello verso nord, dove riteneva che Douglas avesse la sua base. Adesso la sua ipotesi era confermata. Si trovavano a nord, nella zona dei laghi.

Quando aveva riferito a sua madre l'incontro con Douglas, lei aveva detto: — È nato a nord nella zona dei laghi. Sarebbe consono al suo carattere fare del posto dove è nato il centro del suo impero.

Aveva incaricato gli osservatori del satellite di scandagliare minuziosamente la zona e, come previsto, le avevano riferito di aver notato una rete di strade, con villaggi e fattorie. Pareva una zona tranquilla, senza indizi di distruzione o della presenza di bande di malviventi.

Lisa l'aveva riferito al figlio, e Alec si era messo in marcia verso nord.

Dopo pochi giorni avevano esaurito il carburante, e Alec aveva fatto bruciare le autoblindo perché non cadessero nelle mani dei banditi. Ma con la perdita dei veicoli avevano perduto anche l'unico collegamento con la Luna. Le autoblindo erano dotate di radio in grado di comunicare direttamente con la stazione spaziale e di lì, per relé, con la Luna. Alec aveva fatto smontare una di quelle ricetrasmittenti, dicendo: — Quando troveremo una fonte di energia, potremo di nuovo metterci in contatto.


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