18

La sorpresa fu tale che sulle prime Alec non seppe cosa dire né fare.

Il suo sbigottimento parve mettere di buonumore Douglas.

— Credevi che io ti avessi perso di vista per un solo minuto da quando sei sceso sulla Terra? Da quando sei atterrato a Oak Ridge ti abbiamo sempre tenuto sotto stretta sorveglianza. Sono rimasto colpito nel vedere come sei stato svelto nell'imparare. Solo tre o quattro volte ho avuto l'impulso di venire ad aiutarti.

— Non avresti alzato un dito! — esclamò Alec. — E del resto ce la siamo cavata benissimo da soli.

— Questo è vero — ammise Douglas. — Hai passato l'estate impratichendoti nell'arte della sopravvivenza. Sei stato bravo. Non solo sei riuscito a sopravvivere, ma ci hai anche aiutato a eliminare qualche banda di delinquenti. — Rise e il fragore della sua risata fece tremare i muri. — Dio, quelli badavano solo a voi quattro gatti, e dopo che voi li avevate punzecchiati un po' Will provvedeva a farli fuori del tutto. È stato magnifico.

— Sono contento di esserti stato utile.

La risata di Douglas si trasformò in un sogghigno.

— Non ho mai rifiutato l'aiuto di nessuno. E il mio orgoglio non ha sofferto quando mi sono servito anche di te.

— Già, finché serviva al tuo scopo.

— Esatto.

Fermo sulla soglia, Alec chiese: — E adesso che intendi fare di noi miserabili quattro gatti?

— Will andrà a parlare ai tuoi domattina. Gli offrirà l'opportunità di unirsi a noi. Prevedo che molti accetteranno. Gli altri saranno accompagnati fuori dai nostri confini. Potranno scendere a sud e cercare di unirsi alle forze di Kobol. — Douglas si grattò la barba grigia. — Abbiamo ascoltato la tua conversazione al monitor della mia jeep.

— Abbiamo… — ripeté Alec guardando Angela, che distolse gli occhi. Solo allora, alla sorpresa che l'aveva intontito subentrò la collera.

— Va' a dormire un po' — disse Douglas alzandosi. — Partiremo all'alba.

Si avviò verso la scala, e Angela lo seguì. Si voltò per un attimo per guardare Alec, ma non aprì bocca.

Sgualdrina! mormorò Alec fra i denti.

Per quanto strano possa sembrare, riuscì a dormire di un sonno pesante, senza sogni, e al risveglio provò un leggero senso di colpa sentendosi così riposato.

La jeep di Douglas era parcheggiata fuori dal recinto. Appena Alec si fu alzato, un uomo armato lo scortò fuori. Niente colazione, niente formalità. Nessuno degli uomini dell'avamposto gli rivolse la parola. Era un mattinata cupa e fredda. Pesanti nuvole grigie coprivano il cielo da un orizzonte all'altro, offuscando i vividi colori dell'autunno.

Douglas era già al volante, con una giacca a vento blu, e Angela gli stava parlando. Era molto seria e aveva una coperta sulle spalle. La guardia fece salire Alec sul sedile posteriore e Angela si alzò per andare a sedere accanto a lui. La guardia lanciò un'occhiata interrogativa a Douglas.

— Va bene, lasciala fare — disse questi stringendo il volante con le grosse mani. — Tu sistemati davanti e tienilo sotto tiro, …ma non scapperà. Ha viaggiato tutta l'estate per trovare la nostra base. Non è vero, figliolo?

Alec non rispose.

Douglas alzò le spalle e concluse: — Se ti comporterai bene forse ti mostrerò dove sono immagazzinati i fissili.

Quando si furono sistemati tutti, Angela accanto a Alec, e la guardia sul sedile anteriore, con la pistola in grembo, Douglas avviò il motore.

Alec indossava una camicia leggera e il vento tagliente lo faceva rabbrividire

— Tieni — disse Angela prendendo da sotto il sedile un thermos. Svitò il coperchio e glielo porse. Alec lo prese senza dire niente e bevve qualche sorsata di brodo caldo. — Grazie — disse poi, restituendo il thermos.

Procedettero per diversi chilometri, accigliati, senza rivolgersi la parola. Infine Angela scrollò la testa, come se finora avesse discusso fra sé, aprì la coperta e ne offrì un lembo ad Alec: — Prima che ti congeli — disse.

Lui fu tentato di rifiutare, ma poi si avvolse nel tessuto caldo. Vicini, sotto la coperta, si decisero infine a parlare: — Tu hai informato Douglas — l'accusò Alec.

— E tu hai approfittato della mia buonafede! — ribatté lei. — Non avevi intenzione di tornare sulla Luna senza i materiali. Pensavi che avessi creduto alle tue bugie? Perché mi hai mentito? — adesso il tono era più addolorato che iroso. — Solo perché volevi fare l'amore con me o per poter comunicare con la radio?

— Non mentivo — disse lui, e prima che Angela potesse ribattere, aggiunse: — Non ti ho detto tutta la verità, ma non mentivo dicendoti che voglio tornare sulla Luna con te.

Angela si raddolcì un poco, ma lo sguardo era ancora turbato, inquisitore. — Dopo aver preso l'uranio, vuoi dire.

Lui annuì.

— Sapevi che non era questo che intendevo quando ho acconsentito a portarti all'avamposto dove potevi mettere in funzione la tua radio.

— Sì, lo sapevo.

— Allora mi mentivi.

— E anche tu — ribatté lui — quando hai acconsentito di aiutarmi. Sapevi che avresti chiamato Douglas perché mi pigliasse in trappola.

— Io so soltanto che dovrai ucciderlo se vorrai mettere le mani su quei materiali.

— E tu lo vuoi proteggere.

— Cerco di proteggervi tutt'e due — dichiarò lei con fervore.

— E per questo mi hai mentito.

— D'accordo — ammise Angela con un mezzo sorriso. — Ho mentito anch'io. Va meglio adesso?

— Sì. — C'era quasi da ridere; avevano cercato di ingannarsi a vicenda.

— Ma lui ha bisogno di te, Alec. Quello che cerca di…

Lui s'irrigidì. — Douglas? Non ha bisogno di nessuno. Ha un ego così spropositato che copre tutto il mondo da solo.

— E tu sei cieco! — sbottò lei.

La vista della base di Douglas fu un vero choc per Alec.

Arrivarono a una recinzione di rete metallica in ottime condizioni che si stendeva a perdita d'occhio sui prati e sulle colline. Dove la strada entrava nel recinto c'era una torre di guardia fatta di tronchi segnati dal sole e dalla pioggia. Ai piedi della torre, due uomini col fucile a tracolla aprirono il cancello di quel tanto da consentire a uno di loro di passare. Douglas fermò la jeep e scambiò qualche parola con lui.

Il cancello fu spalancato. Alec notò altri due uomini di guardia sulla torre. Dal parapetto sporgeva la canna di una mitragliatrice pesante.

Dopo un altro quarto d'ora in cui non ci fu altro da vedere che campi e prati, avvistarono i primi edifici.

— Questa era una base dell'aeronautica militare americana — disse Douglas continuando a guidare. — È una base ideale… già bell'e pronta. La chiamavano Roma. Nome adatto, non trovi? — Rise, ma Alec rimase serio.

Passarono attraverso file di edifici in legno che parevano verniciati di fresco. Caserme, officine, magazzini, mense, perfino uno contrassegnato TEATRO, con lettere ancora leggibili. L'aeroporto di per sé stesso era immenso, lunghissime piste e rampe di cemento, hangar, officine di manutenzione e torri di controllo in pietra e mattoni. Tutto era in condizioni eccellenti. Ma non si vedeva un solo aeroplano in giro.

— Il missile destinato a questa base deve avere mancato il bersaglio o essere stato abbattuto — disse Douglas. — È rimasta intatta.

Potremmo far atterrare direttamente qui le navette, pensò Alec.

C'era gente dappertutto, più di quanta Alec ne avesse mai vista in vita sua in un solo posto. Camminavano, lavoravano, ridevano. Molti salutavano Douglas quando passava. Erano quasi tutti disarmati. Sembra di vedere un microfilm delle vecchie città, pensò Alec.

Superato l'aeroporto entrarono in un settore meno abitato cosparso di piccoli poggi sormontati da ciuffi d'alberi dai vivaci colori. Non c'erano edifici all'infuori di una casamatta di cemento situata su una collinetta erbosa. Douglas si diresse verso la casamatta. — I materiali fissili sono lì dentro — disse voltandosi sul sedile troppo stretto per lui. — Vuoi vederli?


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