Partirono alla carica della linea difensiva. Alec, aggrappato alla ringhiera dell'affusto, coi nervi tesi, aspettandosi di incappare in qualche mina, nel fuoco dell'artiglieria, nelle sventagliate delle mitragliatrici nascoste nelle trincee scavate dietro la cresta delle alture.
Niente. Non c'erano difensori. La distesa pianeggiante si allungava a perdita d'occhio, e Alec vide altre unità di autoblindo, jeep e squadroni di cavalleria sfrecciare sull'erba.
È troppo facile, pensò fra sé. È impossibile sconfiggere così facilmente Douglas.
Ma intanto continuavano a procedere a rotta di collo giù per il pendio e lungo il tratto piano. Di tanto in tanto lo scoppio di una bomba rammentava agli assalitori che gli avamposti erano ancora attivi, ma erano colpi saltuari che non provocavano danni e non rallentavano l'impeto degli attaccanti.
In preda a un miscuglio di esultanza e di timore, Alec sintonizzò la radio sulla frequenza di Jameson. — Ron, dove ti trovi? — chiese nel microfono dell'elmetto.
Una brevissima pausa, poi: — Abbiamo appena superato un bastione artificiale a circa venti chilometri dal limite della zona della base. Finora non abbiamo incontrato molta resistenza. Abbiamo perso un'autoblindo caduta nel cratere di una bomba e uno squadrone di cavalleria colpito in pieno. Tutti gli altri stanno avanzando al massimo della velocità.
— Bene. Continuate a procedere e state all'erta. — Poi passò sulla frequenza generale. — A tutti i comandanti di reparto. Riferite se vi siete imbattuti in altre forme di resistenza oltre al fuoco di artiglieria.
Silenzio. Solo il ronzio della statica.
Alec disse: — Ai comandanti di settore. Rispondete secondo l'ordine.
— Settore uno. Nessuna resistenza. — Era la voce di Jameson.
— Settore due. Nessun problema.
— Settore tre. Corriamo come il vento. Nessuno ci ostacola.
— Settore quattro…
Qualcuno tirò Alec per la manica. Era il servente del laser sporto in avanti sul sedile, che gesticolava verso il tratto che si erano lasciati alle spalle. Tre sagome tozze e massicce stavano superando la cresta dietro di loro. Lasciando aperta la radio, Alec si portò il binocolo agli occhi. Erano veicoli cingolati dipinti di verde scuro e marrone. Lunghi cilindri di canne di cannone spuntavano dalle torrette. Carri armati! Alec ricordò di averli visti nei microfilm di storia.
— Ehi, qui settore tre — gracchiò una voce negli auricolari. — Abbiamo appena visto degli strani camion che ci seguono.
— A tutte le unità! — gridò Alec. — Riferire numero e posizione dei carri armati nemici. Sono veicoli che avanzano su cingoli, pesantemente corazzati e armati di cannoni e mitragliatrici.
Come in risposta, uno dei tre carri armati vomitò fuoco e una bomba passò sibilando sull'autoblindo di Alec esplodendo così vicino da assordarlo.
Ecco qual è il piano di Douglas, pensò Alec. Ha nascosto i carri armati negli avamposti e adesso ci vuole chiudere tra quelli e le sue riserve.
Nonostante tutto, provò un certo sollievo. Adesso Douglas aveva giocato la sua carta, e lui poteva prendere le misure per controbatterlo. Ricordò da quanto aveva appreso studiando la storia che i carri armati senza il sostegno della fanteria sono vulnerabili. Pericolosi, ma vulnerabili. Guardò il lontano orizzonte verso cui stava puntando la sua autoblindo. Douglas era là. Chi credi di spaventare coi tuoi carri armati!, disse mentalmente a suo padre. Forse questo sistema potrebbe funzionare con Kobol, ma non con me. Vedremo alla fine chi tra noi due si rivelerà miglior stratega.
— Ascoltatemi — disse al microfono. — Impegnate i carri armati alla massima portata possibile coi laser. Cavalleria e jeep li inseguano e cerchino di distruggerli in avvicinamento. Colpite prima i cingoli, per costringerli a fermarsi, poi distruggeteli.
La radio riversò un bailamme di rapporti e commenti. Alec tentò di capire qualcosa in tutta quella confusione, ma improvvisamente una bomba sollevò letteralmente da terra l'autoblindo, e lo mandò a sbattere contro la ringhiera. Una miriade di detriti gli si rovesciò addosso. Sentì il sapore del sangue sulle labbra.
Accovacciandosi vicino alla cabina del conducente, gridò: — Va' avanti a zigzag, maledizione! Confondili. — Tornò ad alzarsi e ordinò al servente: — I cingoli, mira ai cingoli! La corazza è troppo spessa per riuscire a perforarla.
Ma poi si accorse che il servente sedeva afflosciato, sorretto dall'imbracatura, con la testa ciondoloni, la bocca aperta e gli occhi che guardavano senza vedere. Alec si affrettò a sfibbiargli l'imbracatura. Il servente scivolò sull'affusto, rotolò su se stesso e cadde a terra. Un'altra bomba passò sopra l'autoblindo mentre Alec prendeva il posto del servente ucciso, sentendosi vulnerabile come un paziente sul tavolo operatorio.
Fece ruotare lo specchietto del laser e cercò di metterlo a fuoco sul carro armato più vicino. Dopo avere disposto i comandi sul più breve impulso possibile, lasciò partire una successione di scariche di qualche microsecondo. Il terreno vicino al carro armato si costellò di brevi volute di fumo, ma il mezzo cingolato continuò nella sua corsa. Alec lasciò partire un'altra scarica. Ma dove sono gli altri? si chiese.
Le bombe del carro armato esplodevano sempre più vicine. Alec continuava a sparare scariche di laser. Una pioggia di schegge colpì la fiancata dell'autoblindo, ma Alec ebbe il tempo di vedere, mentre continuavano ad avanzare a tutta velocità, un'altra autoblindo semirovesciata in un cratere con la parte anteriore schiacciata.
Un carro armato girava su se stesso e Alec pensò esultante: colpito ai cingoli! Una dozzina di uomini a cavallo gli si stava avvicinando pronti a colpirlo coi lanciarazzi e le bombe a mano. Alec guardò il secondo carro armato, e dietro ad esso scorse il terzo che brulicava di uomini che gli si erano arrampicati sopra come formiche su uno scorpione.
Se riuscissimo a mettere fuori combattimento i carri armati prima che Douglas faccia arrivare qui le riserve… Alec chiamò la seconda autoblindo del suo reparto: — Portati sulla sinistra del carro armato che sta ancora sparando. Io mi porterò sulla destra. Dagli sotto!
Le due autoblindo si portarono ai lati del carro armato. La torretta girò in direzione di Alec che fu pronto a colpirla con un raggio laser alla massima potenza. — Acceca quei bastardi! — imprecò rabbiosamente fra i denti sperando che l'energia agli infrarossi riuscisse almeno a mettere fuori uso i periscopi che sporgevano dalla torretta. Poi il carro armato esplose in un'enorme sfera di fuoco. Il laser dell'altra autoblindo aveva centrato il serbatoio. La torretta volò in aria. Col fumo e il vapore che uscivano sibilando da tutte le connessure, il carro armato morì come un drago consumato dai suoi stessi fluidi, sibilando e rombando, divorato dal fuoco, finché non scomparve avvolto in una nuvola di fumo nero.
Sembrarono ore, ma in realtà passarono solo quaranta minuti dalla comparsa alla distruzione dei tre carri armati. I reparti di Alec si aiutavano a vicenda, ma per lo più ognuno dovette combattere la sua battaglia, una specie di torneo tra due dei tre carri armati chiusi in trappola e una manciata di autoblindo e di jeep. L'apporto della cavalleria fu decisivo. Alla vista dei carri armati, i cavalieri si sparpagliarono, e poi, mentre jeep e autoblindo ingaggiavano battaglia coi mezzi corazzati, la cavalleria tornò a riunirsi formando la retroguardia e attaccò col lancio di missili e granate. Gli uomini saltavano di sella sui carri armati infilando granate nei tubi di scappamento, o fracassando i periscopi e gli altri strumenti che sporgevano dalle torrette. Accecati e immobilizzati, i carri armati si trasformarono in trappole mortali.
Le riserve di Douglas arrivarono poco prima che l'ultimo carro armato venisse distrutto. Arrivarono a cavallo o su leggere autoblindo. Erano poco numerosi e sparsi su un'unica fila. La veemenza dell'attacco di Alec aveva annientato il piano difensivo di Douglas prima ancora che avesse inizio la battaglia, ma nessuna delle due parti se ne rese conto mentre infuriava il combattimento.