— Infatti — ammise Alec. — Durante i primi anni riuscirono appena a sopravvivere loro stessi.

— Sì, allora - ribatté Douglas. — Ma questo non vuol dire che la loro decisione fosse valida per sempre. E comunque in brevissimo tempo, i potenti della Luna decisero che la colonia lunare poteva sopravvivere con le sue sole forze e che per tutto quello di cui necessitava bastava venire di tanto in tanto sulla Terra a prenderselo.

— Soprattutto i materiali fissili.

— E le piante medicinali, e altro ancora. Così, mentre i lunari guardavano con disprezzo i cosiddetti barbari terrestri, gli stessi lunari non si accorgevano che anch'essi si stavano comportando come barbari… infatti, razziavano la Terra per procurarsi quello di cui avevano bisogno, ma che non potevano o non volevano produrre. E questa è barbarie!

— No, aspetta…

Ma Douglas era troppo infervorato. — La verità è che la colonia lunare non ha mai potuto, non può e non potrà mai sopravvivere con le sue sole risorse. Geneticamente è arrivata a un punto morto. La percentuale dei tumori e delle malattie congenite è in vertiginoso aumento.

— È già successo altre volte — disse Alec.

— Sì, ma adesso hai l'opportunità di rimettere a posto le cose. Tu sei a capo di un esercito composto di lunari e di terrestri. Tu disponi dei materiali fissili che i lunari vogliono. Puoi costringerli a cominciare a collaborare coi terrestri, a iniziare la ricostruzione della civiltà. Io ho gettato le basi, adesso tocca a te costruire.

Alec restò a bocca aperta. Quando finalmente si riprese disse: — Io? Tu vuoi che io… — non riusciva a trovare le parole.

— Sì, tu — disse con dolcezza suo padre. — Ti ho aspettato per vent'anni, figliolo.

— Ma se hai cercato di uccidermi!

— No, non è vero. Ho solo cercato di vedere di che stoffa eri fatto. Ho predisposto le cose in modo da metterti alla prova, cosicché tutt'e due potessimo scoprirlo. Te la sei cavata egregiamente. Sei riuscito a sopravvivere. E, quel che più conta, hai imparato. Adesso capisci quello che dico, e sai che ho ragione. Lo vedo.

— No…

— Sì! — Douglas aveva ritrovato l'ardore di un tempo. — Tu sei il capo di questa traballante alleanza. Tu sei l'unico che ha la facoltà di costringere quei delicati fiori di serra a unirsi ai loro fratelli qui sulla Terra. Abbandonata a se stessa, senza le nozioni e la tecnologia della Luna, la Terra impiegherebbe almeno cinquecento anni per ricostruire una civiltà. Nessuno lo sa meglio di me. Ci ho messo vent'anni per elevare un insignificante numero di persone dalla barbarie a una parvenza di civiltà medievale. — Douglas strinse i pugni. — Ma la colonia lunare isolata, divisa dalla Terra, tagliata fuori dalla forza vitale della razza umana, la sorgente genetica, la colonia lunare, dico, morirà. Non c'è scampo, nel giro di un paio di generazioni, al massimo tre, morirà.

Alec riascoltò nella sua mente la risposta di Kobol alla domanda sull'avvenire della colonia lunare una volta terminata la scorta di materiali fissili: Cinquant'anni sono tanti. Che senso ha preoccuparsi ora, in questo momento!

— Tu ti preoccupi per i miei figli — disse Alec a suo padre.

— Per i tuoi figli e per i figli dei tuoi figli.

— Ma perché provocare una guerra? Perché non cercare di sistemare pacificamente le cose?

Il sorriso di Douglas si trasformò in una smorfia sardonica. — Mi avresti creduto? Io ho cercato di dirtelo. Rifletti. Pensi davvero che i barbari delle bande, i razziatori, gli sbandati, i disperati sempre in guerra tra di loro avrebbero gentilmente acconsentito a lavorare insieme d'amore e d'accordo per un futuro ideale che nemmeno riescono a immaginare? Loro non sanno nemmeno cosa significhi la parola civiltà. Neanche i migliori di loro. Sì, sono disposti a seguire un capo, o qualcuno che prometta loro vittoria e bottino, ma quello che veramente capiscono è la sopravvivenza, e sopravvivere significa lottare. — Fece una brevissima pausa. — Cosa li ha indotti a seguirti? L'idea della civiltà oppure quella del bottino?

— Il bottino, naturalmente — rispose Alec.

— Proprio così! E sarà meglio che tu cerchi di contentarli, almeno finché non si saranno un po' dirozzati. Fai in modo che raggiungano se non altro quel grado di fedeltà che teneva unite le orde mongole. Io so che tu sei in grado di costruire una civiltà con guerrieri di quella fatta, anche se per ora sono soltanto dei barbari.

Un nuovo pensiero si fece strada nella mente di Alec. — Ma tu… — disse. — Cosa dovrei farne di te?

Douglas sbuffò. — Devi ammazzarmi, naturalmente! Ormai sono superfluo, a questo punto, io rappresento un intralcio per il mio stesso obiettivo e costituisco un problema per te. Devi uccidermi! In caso contrario i miei uomini mi resterebbero fedeli, e i lunari non avrebbero più alcuna fiducia in te.

— Ma i tuoi uomini non mi seguiranno mai se ti condannerò a morte — protestò Alec. È una follia!, pensò. È pazzesco. Io me ne sto qui, seduto, a parlare con mio padre della sua condanna.

— È pazzesco — mormorò.

— No — lo corresse Douglas. — È politico. È appena un po' più brutale delle interminabili discussioni a cui hai assistito sulla Luna, ma fondamentalmente la cosa è identica. Per diventare il capo effettivo della coalizione devi liberarti di me.

— Io sono venuto sulla Terra col proposito di ucciderti — disse Alec.

— Lo so — dichiarò suo padre sommessamente, quasi con dolcezza. — E adesso puoi compiere la tua opera.

Alec si alzò di scatto rovesciando la sedia. — No, non posso farlo! Non posso!

— Non fare l'idiota! Devi!

Ma Alec si precipitò fuori, scese di corsa le scale e uscì nella notte.

25

Per tutta la giornata Furetto era rimasto nascosto nei boschi, terrorizzato dall'orrendo frastuono delle esplosioni e degli spari che sconvolgevano il mondo e rendevano l'aria irrespirabile con il loro fumo acre.

Sapeva che Alec e tutti gli altri stavano combattendo, ma lui restava aggrappato alla terra, da cui traeva vita e sicurezza, sepolto nei cespugli che crescevano fra gli alberi sul limitare della foresta. L'istinto gli suggeriva di scappare, di addentrarsi nell'ombra dei boschi, di nascondersi tanto lontano da non essere raggiunto dagli spari e dalle esplosioni.

Invece rimase sul limitare della foresta, nonostante il terrore, in angoscioso equilibrio fra la paura e il profondo, muto senso di lealtà che ormai lo legava ad Alec.

Il sole aveva superato da un pezzo lo zenit quando la battaglia ebbe termine. Accovacciato dietro una robusta quercia, semisepolto nel cespuglio che cresceva alla base del tronco, Furetto aspettò quasi un'ora dopo che si fu spenta l'eco degli ultimi spari. Stava con le orecchie tese, ma sentiva soltanto il cinguettìo degli uccelli e il ronzìo degli insetti. Uno scoiattolo fece capolino da un cespuglio pochi metri più avanti, rimase ritto sulle zampine posteriori annusando l'aria col naso che vibrava, si guardò attorno incerto e infine si arrampicò lesto sull'albero dietro cui si nascondeva Furetto.

Tutto era tornato alla normalità. Poteva uscire dal nascondiglio. Avanzò esitando di qualche passo nella luce obliqua del pomeriggio. Il cielo che sovrastava la valle era grigio di fumo. Alec era là.

Furetto si mosse verso il fumo, verso Alec. Forse avrebbe trovato un coniglio o uno scoiattolo lungo la strada e l'avrebbe portato ad Alec.

Un camion carico di soldati esultanti correva su una delle strade che portavano alla valle. Rallentò, e Furetto salì a bordo. Quegli uomini erano degli sconosciuti, non li aveva mai visti prima. Ridevano e facevano un gran baccano. Furetto rise con loro. Non aveva più paura.

Arrivarono alla base che ormai era buio. Il camion frenò fermandosi davanti a uno dei grandi magazzini in prossimità dell'aeroporto. C'erano soldati ovunque, ancora pieni di energia, rinvigoriti dalla vittoria.


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