Gli rispose una selva di evviva. Guardandoli, Alec si chiese: Sarò sempre capace di controllarli così? Aveva l'impressione di cavalcare un animale selvatico, e con un sospiro capì che per riuscire a dominarli avrebbe dovuto sempre stare all'erta e lottare.
Passò il resto della notte a controllare tutte le strade e gli edifici della base. Quasi ovunque regnava la tranquillità. Gli uomini erano esausti dopo la battaglia, ubriachi per il troppo vino bevuto e per l'esultanza di essere ancora vivi mentre tanti erano morti. Ora il vino, la stanchezza e le emozioni avevano avuto la meglio.
All'alba arrivò Angela.
Arrivò su un carro tirato da un cavallo, protetta da sei giovani contadini armati di vecchi fucili e carabine. Le sentinelle la fermarono all'ingresso della base. Angela chiese di vedere Douglas, e le guardie informarono via radio Jameson, che a sua volta informò Alec.
Questi si era ritirato nel suo alloggio: la casa che tanti mesi prima avevano condiviso. La stava aspettando nel soggiorno spoglio quando il carro arrivò. Angela smontò ed entrò senza indugio.
Era tesa, preoccupata, smarrita, ma sempre bella.
— Dov'è Douglas? — fu la prima cosa che disse. — Perché non posso vederlo?
Alec dovette fare uno sforzo per parlare con voce naturale. — Sta benissimo. Lo vedrai…
— No, non sta bene. Tu non capisci. — Era spaventata, con gli occhi sbarrati dalla paura.
— Sta bene — insisté Alec andandole incontro. — Nessuno gli vuol fare del male. Non temere.
La prese fra le braccia davanti al camino spento. Angela tremava.
— Alec, ti prego, devi lasciarmelo vedere. Non so cosa ti abbia detto… — Lo respinse bruscamente. — Non so nemmeno se credere a quello che dici. Tu lo vuoi morto, non è così?
— No — rispose lui. — Quella ormai è acqua passata.
— Ma ti farebbe comodo se morisse, no?
— È quello che diceva lui ieri sera.
— Tu ancora non capisci quello che fa, quali sono i suoi progetti.
— Sì, li conosco… — ma d'improvviso si rese conto che non sapeva ancora tutto.
— Alec, ti prego, portami da lui — insisté Angela. — Subito, prima che sia troppo tardi.
— E va bene — rispose lui. — Vieni. È nella sua camera. Non l'abbiamo spostato per via della gamba.
— Quale gamba? Perché?
— Se l'è rotta in un incidente qualche giorno fa…
— No! — gridò lei. — È un mese che non si muove da quella stanza. È stato molto malato — e si precipitò alla porta.
Alec le corse appresso. Uscirono a precipizio, diretti alla casa di Douglas. Con lucidità assurda Alec vide le due guardie che sonnecchiavano davanti alla porta di Douglas. Poi sentì gli spari. Vide le guardie drizzarsi di scatto ed entrare in casa di corsa.
— No! — stava urlando Angela. — No! No… Lui non può…
Ancora spari. Poi per Alec gli unici rumori furono il suo respiro ansimante e il rombo del sangue nelle orecchie. Superò Angela e corse in casa.
Suo padre stava disteso ai piedi della scala con le gambe posate sugli ultimi gradini. Impugnava un mitra e aveva il petto e il ventre insanguinati. C'era odore di polvere da sparo. Le due guardie che avevano preceduto Alec stavano immobili, coi fucili ancora caldi in mano. Sul pianerottolo, la terza guardia balbettava: — Mi è venuto addosso. Sparava… sparava…
Le guardie erano incolumi. La protezione di plastica era scivolata via dalla gamba di Douglas, che aveva gli occhi aperti e ansava penosamente.
Angela entrò e ruppe subito in singhiozzi. — Noooo — gemette. — Noooo…
— Non fa niente — gorgogliò Douglas. — Meglio così…
— Sparava — disse una delle guardie vicine ad Alec. — Vedete i fori dei proiettili nei muri? Voleva scappare.
I fori erano tutti molto in alto, poco sotto al soffitto, sopra alle finestre, ben al di sopra del livello della testa. Ignorando la guardia, Alec si inginocchiò davanti a Douglas.
— Perché? — gli chiese. — Ti avrei salvato. Non avrei permesso che ti prendessero.
Douglas si sforzò di sorridere. — Come… — fu interrotto da un gemito di dolore. — Come credi che abbia scoperto il tasso dei tumori nella colonia lunare?
Alec chinò la testa.
— Mi restavano… solo pochi mesi — ansimò Douglas. — Mi dispiace… di avere spaventato quei ragazzi… Ho cercato di non colpirli… — chiuse gli occhi.
Angela si accasciò sul corpo privo di vita. Le lacrime non servono, pensò dentro di sé Alec. Ma poi si rese conto che le lacrime sono sempre per i vivi, mai per i morti. E va bene, dunque, Angela. Piangi per noi due. Io non posso piangere. Non ora. Forse mai. Ora no di certo. Ci sono troppe cose da fare. Troppo lavoro non terminato grava sulla bilancia della civiltà.
Si alzò, voltandosi verso le guardie che non si erano mosse. Guardavano Alec da cui dipendeva la loro vita.
— Va bene — disse lui con voce pacata. — Ci avete salvato tutti da un mucchio di fastidi.
Le guardie non osavano ancora rilassarsi, ma lui non ci fece caso.
— Tu — disse a quella più vicina alla porta — va', a chiamare Jameson e Will Russo.
Poi guardò Angela che continuava a singhiozzare e disse alle altre guardie: — Uscite e non lasciate entrare nessuno finché non lo dirò io.
I due si precipitarono fuori. La guardia che prima stava sul pianerottolo dovette scavalcare il cadavere di Douglas. Esitò, poi corse fuori.
Alec s'inginocchiò vicino ad Angela e prese fra le mani il suo viso rigato di pianto. — È ora — le disse con tutta la dolcezza di cui era capace.
Lei lo guardò incerta. — Ora di cosa?
— Di cominciare a ricostruire.