C’era vicino… molto vicino…
Anna lo affiancò e gli toccò un gomito. «È nell’interesse di tutti noi cercare di…»
«Lo so», la interruppe lui, brusco. «Adesso stia zitta e mi lasci pensare.»
Anna obbedì.
Lo sfogo di Painter aveva fatto piombare il silenzio nel locale. Si sforzò di ripescare ciò che si nascondeva nella sua mente. Era come quando aveva invertito le cifre del numero di telefono. Le sue capacità intellettive erano come una lama sempre meno affilata.
«Il telefono satellitare… È qualcosa che c’entra col telefono satellitare…» bisbigliò, combattendo l’emicrania con tutta la sua forza di volontà. «Ma cosa?»
Anna gli parlò con un tono più dolce. «Che cosa intende?»
Finalmente ci arrivò. Come aveva fatto a essere così stupido?
Abbassò le braccia e aprì gli occhi. «Klaus sapeva che il castello era controllato elettronicamente. Allora perché ha fatto quella chiamata? Perché esporsi?»
Un gelido terrore lo attanagliò. Si voltò verso Anna. «La voce che abbiamo messo in giro, che ci fosse ancora una scorta di Xerum 525, eravamo gli unici a sapere che era falsa?»
Gli altri presenti trasalirono a quella rivelazione. Si levarono alcune proteste adirate. Quella notizia aveva seminato molte speranze, accendendo un certo ottimismo sulla possibilità di costruire una seconda Campana. Speranze ormai infrante.
Ma certamente anche qualcun altro aveva creduto a quella voce.
«Soltanto Gunther conosceva la verità», rispose Anna, confermando il peggior timore del direttore della Sigma.
Painter ripercorse mentalmente la piantina del castello. Adesso sapeva perché Klaus aveva fatto quella telefonata e perché l’aveva fatta da lì. Il bastardo pensava di potersi nascondere in bella vista, ne era talmente sicuro che non si era nemmeno sbarazzato del telefono. Aveva scelto quel punto con un intento specifico.
«Anna, quando ha messo in giro quell’indiscrezione, dove ha detto di custodire lo Xerum 525?»
«Ho detto che era chiuso in un caveau.»
«Quale caveau?»
«Lontano dal luogo dell’esplosione, nel mio studio. Perché?»
Dalla parte opposta del castello.
«Si sono presi gioco di noi», sentenziò Painter. «Klaus ha fatto la telefonata da qui, sapendo che il castello era sotto controllo. Voleva distogliere la nostra attenzione dal caveau segreto e da quella presunta provvista di Xerum 525.»
Anna scosse la testa. Non aveva capito.
«La telefonata di Klaus era un depistaggio. Il vero obiettivo era quell’ultima, fantasiosa scorta di Xerum 525.»
Anna sgranò gli occhi.
Anche Gunther capì. «Ci dev’essere un altro sabotatore.»
«Mentre noi siamo distratti, sta andando a cercare lo Xerum 525.»
«Nel mio studio!» esclamò Anna, voltandosi verso Painter.
Lui finalmente capì che cosa lo tormentava di più, perché sentiva quella stretta al cuore e quella sensazione di nausea. La verità affiorò d’un tratto, assieme a una fitta di dolore accecante: il sabotatore avrebbe incontrato qualcuno sul suo cammino.
Lisa stava perlustrando il piano superiore della biblioteca. Grazie alla scala di ferro battuto, aveva raggiunto la traballante balconata e stava girando attorno alla stanza, tenendosi alla balaustra.
Aveva trascorso l’ultima ora raccogliendo libri e documenti sulla meccanica quantistica. Aveva trovato anche il trattato originale di Max Planck, il padre della teoria dei quanti: una teoria che definiva un mondo sbalorditivo, composto di particelle elementari, in cui l’energia poteva essere frammentata in piccoli pacchetti, detti quanti, e dove la materia elementare si comportava sia come particelle sia come onde.
Tutto ciò le faceva venire il mal di testa. Che c’entrava con l’evoluzione?
Intuiva che, se una cura c’era, dipendeva dalla risposta a quella domanda.
Allungò una mano e inclinò un libro su uno scaffale, studiandone la rilegatura e strizzando gli occhi per leggere le lettere sbiadite.
Era quello il volume giusto?
Il trambusto nei pressi della porta attirò la sua attenzione. Sapeva che l’uscita era sorvegliata. Che stava succedendo? Anna era già di ritorno? Avevano trovato il sabotatore? Lisa si diresse verso la scala. Sperava che Painter fosse con Anna. Non le piaceva restare separata da lui. In più, forse lui sarebbe riuscito a cavare qualcosa da quelle strane teorie sulla materia e sull’energia.
Raggiunta la scala, si voltò per scendere sul primo piolo.
Un grido acuto, immediatamente interrotto, la fece bloccare di colpo.
Proveniva da dietro la porta.
Reagendo d’istinto, Lisa risalì e si distese sulla balconata. Il pavimento della struttura, una grata di ferro, la riparava ben poco. Scivolò verso gli scaffali, nell’ombra, lontano dalle lampade a muro.
Rimase distesa immobile, mentre la porta si apriva e si richiudeva. Una sagoma s’intrufolò nella stanza. Era una donna, con un parka bianco come la neve. Ma non era Anna. La donna si tolse il cappuccio e abbassò la sciarpa che le copriva il viso. Aveva capelli lunghi bianchi ed era pallida come un fantasma.
Amica o nemica?
Lisa restò nascosta, in attesa di saperne di più.
Qualcosa conferiva a quella donna un’aria troppo sicura, forse il modo in cui si guardava attorno. Si girò. Un lato della sua giacca era macchiato da uno spruzzo di sangue. In una mano teneva una katana, una corta sciabola giapponese ricurva. La lama grondava sangue.
La donna si muoveva quasi danzando, girando lentamente in cerchio.
Cacciando.
Lisa non osava respirare. Pregava che l’ombra la tenesse nascosta. Le poche lampade della biblioteca illuminavano il livello inferiore, così come il fuoco del camino, che crepitava e risplendeva di poche fiamme rade. Ma la balconata era in penombra.
Lisa guardò l’intrusa fare un altro giro, fermandosi al centro della stanza, con la katana insanguinata pronta all’uso. Con aria soddisfatta, la donna dai capelli chiari come il ghiaccio si diresse decisa verso la scrivania di Anna. Ignorò la confusione che regnava su quel grande tavolo e ci girò attorno. Spostò un lembo di un arazzo appeso alla parete, esponendo una grande cassaforte di ghisa nera.
S’inginocchiò e la esaminò, soffermandosi sulla serratura a combinazione e sulla manopola.
Vedendo la donna così concentrata, Lisa si concesse di respirare. Qualsiasi furto fosse in atto, che procedesse pure, che quella donna s’impadronisse di ciò che era venuta a cercare e se ne andasse. Visto che aveva fatto fuori le guardie, forse Lisa poteva trarne vantaggio. Se solo avesse potuto raggiungere un telefono… Quell’intrusione poteva davvero rivelarsi proficua.
Un forte rumore metallico la fece sobbalzare.
A qualche metro di distanza, un pesante volume era caduto da uno scaffale, finendo aperto sulla balconata. Le pagine svolazzavano ancora per l’impatto. Lisa riconobbe il libro che aveva estratto parzialmente qualche istante prima. Se n’era dimenticata, ma la gravità aveva fatto il resto, facendolo scivolare lentamente, finché non era caduto.
Al piano inferiore, la donna era ritornata al centro della stanza. Nell’altra mano era comparsa, come dal nulla, una pistola, puntata verso l’alto.
Lisa non poteva più nascondersi.
Büren, Germania,
ore 09.18
Gray aprì la portiera della BMW. Stava per salire a bordo, quando sentì un grido alle sue spalle. Si voltò verso l’ingresso dell’ostello. Ryan Hirszfeld correva verso di loro, rannicchiato sotto un ombrello. Fra un tuono e l’altro, la pioggia sferzava il parcheggio della villa.
«Salite», ordinò Gray a Monk e Fiona, indicando la berlina.
Poi si voltò verso Ryan, che lo aveva raggiunto.
«State andando al castello… a Wewelsburg?» chiese il giovane, sollevando l’ombrello per riparare entrambi.