«Forse non dovresti stargli così vicino, Isaak.»
«Ci hanno già visto, Ischke.» L’uomo indicò con un cenno del capo la BMW mezzo chilometro più avanti, oltre il parabrezza sferzato dalla pioggia. «Fai caso a come prende le curve: è più controllato, non le taglia come prima. Si è accorto di noi.»
«Ed è una cosa buona metterli in allarme?» Isaak piegò la testa verso la sorella. «La caccia è sempre migliore quando la preda è spaventata.»
«Non penso che Hans sarebbe d’accordo.» Lui le toccò il dorso della mano con un dito, segno che condivideva la sua tristezza e le chiedeva scusa. Sapeva quanto potesse essere sensibile. «Non ci sono altre strade per scendere dalla collina. Al castello tutto è pronto. Non dobbiamo fare altro che spingerli nella trappola. Se si voltano a guardare noi, è meno probabile che vedano ciò che hanno davanti.»
Lei inspirò a fondo, segno che aveva capito e che condivideva il piano.
«È ora di chiudere tutte queste faccende in sospeso. Poi potremo tornare a casa.»
«A casa…» gli fece eco lei, con un sospiro di contentezza.
«Abbiamo quasi finito. Non dobbiamo mai perdere di vista l’obiettivo, Ischke. Il sacrificio di Hans non sarà vano, il sangue che ha versato preannuncia la venuta di una nuova alba, di un mondo migliore.»
«Come dice il nonno.»
«E tu sai che è vero.» Piegò la testa verso di lei. Le labbra della donna si assottigliarono, in un sorriso stanco. «Attenta al sangue, Ischke.»
Sua sorella guardò la lunga lama d’acciaio del pugnale. Lo stava asciugando distrattamente con una pelle di camoscio bianca. Una goccia color cremisi aveva rischiato di cadere sui suoi pantaloni immacolati.
Una questione era chiusa. Ce n’erano ancora alcune da sistemare.
«Grazie, Isaak.»
Himalaya,
ore 13.22
Lisa fissava la pistola.
«Wer ist dort? Zeigen Sie sich!» gridò la donna bionda, rivolgendosi a lei.
Pur non parlando tedesco, Lisa capì il senso della frase. Lentamente, si fece vedere, con le mani alzate. «Non parlo tedesco.»
La donna la guardò con una concentrazione tale che a Lisa sembrò di sentirsi attraversare da un raggio laser. «Sei una degli americani… Scendi, lentamente.»
Senza nessun riparo, Lisa non aveva scelta. Raggiunse la scala, si voltò e cominciò a scendere. A ogni piolo si aspettava di sentire esplodere un colpo di pistola. Le s’irrigidirono le spalle. Ma arrivò a terra sana e salva.
Si voltò, tenendo sempre le braccia ben in vista.
L’altra avanzò verso di lei. Lisa indietreggiò, intuendo che il motivo per cui la donna non le aveva ancora sparato era perché voleva evitare di far sentire l’esplosione del colpo. Con la spada aveva eliminato le guardie senza fare rumore, a parte un unico, breve grido.
Aveva ancora la katana insanguinata nell’altra mano.
Forse Lisa sarebbe stata più al sicuro in cima alla balconata, costringendo la donna a spararle, come al tiro al bersaglio. Forse i colpi d’arma da fuoco avrebbero attirato l’attenzione di qualcuno. Era stata stupida ad avvicinarsi così tanto all’intrusa e alla sua spada. Ma il panico aveva offuscato le sue capacità di giudizio. Era difficile dire di no a qualcuno che ti puntava una pistola.
«Lo Xerum 525 è nella cassaforte?» chiese la donna.
Lisa ponderò la risposta per un istante. Dire la verità o mentire? Non le sembrò di avere molta scelta. «L’ha preso Anna», rispose, indicando vagamente la porta.
«Dove?»
Ricordò la lezione di Painter, dopo che erano stati catturati: essere necessari, essere utili. «Non conosco il castello abbastanza bene, ma so come arrivarci. Posso accompagnarla io.» Doveva essere più convincente. E cosa c’era di meglio che contrattare, come se la sua menzogna avesse un grande valore? «Ce la porterò soltanto se mi promette di aiutarmi a uscire di qui.»
Il nemico del mio nemico è mio amico.
Quella donna ci sarebbe cascata? Era di una bellezza sbalorditiva: figura slanciata, pelle perfetta, labbra generose, ma negli occhi blu glaciali brillavano freddo calcolo e intelligenza.
A Lisa faceva una paura assurda. Aveva un che di soprannaturale.
«Allora mi mostrerà la strada», disse la donna, rinfoderando la pistola, ma con la katana sempre in mano.
Lisa avrebbe preferito che facesse il contrario.
La spada indicò la porta.
Lisa doveva andare per prima. Si avvicinò alla porta, mantenendo una certa distanza. Forse avrebbe potuto tentare la fuga nei corridoi. Era la sua unica speranza. Doveva aspettare il momento buono: una distrazione, un’esitazione, e poi correre come il vento.
Uno spostamento d’aria, un fremito delle fiamme nel camino furono il suo unico avvertimento. Lisa si voltò e la donna era già lì, a un passo di distanza. L’aveva raggiunta da dietro, silenziosa e furtiva. Con una velocità impossibile. Si scambiarono uno sguardo. Fu un attimo. Prima che la spada si abbattesse su di lei, Lisa capì che la donna non le aveva creduto neanche per un istante.
Era stata soltanto una trappola per farle abbassare la guardia.
Sarebbe stato il suo ultimo errore.
Il mondo si fermò, catturato dal lampo di fine argento giapponese che puntava dritto al cuore di Lisa.
Wewelsburg, Germania
ore 09.18
Gray parcheggiò la BMW accanto a un pullman turistico blu, che così nascondeva la berlina dalla strada. L’arco da cui si accedeva al cortile del castello era esattamente lì di fronte.
«Rimanete in auto», ordinò Gray agli altri. Poi si voltò. «Anche tu, signorina.»
Fiona fece un gesto non proprio gentile, ma rimase seduta con la cintura allacciata.
«Monk, mettiti al volante e tieni il motore acceso.»
«Ricevuto.»
Ryan lo fissò con gli occhi sgranati. «Was ist los?»
«Non succede un bel niente», rispose Monk. «Ma tieni la testa bassa, non si sa mai.»
Quando aprì la portiera, Gray fu investito da un rovescio di pioggia battente, che suonava come una raffica di mitra contro il fianco del pullman. Un tuono rumoreggiò in lontananza.
«Ryan, posso prendere in prestito il tuo ombrello?»
Il giovane annuì e glielo passò.
Gray corse dall’altra parte del pullman e si accostò alla portiera posteriore. Sperava di sembrare un accompagnatore turistico. Si faceva scudo con l’ombrello, mentre guardava la strada.
Dalla penombra comparvero i fari di un’auto che percorreva l’ultimo tornante. Dopo un attimo sbucò la Mercedes, che raggiunse il parcheggio e, senza rallentare, passò oltre. Gray guardò le luci posteriori allontanarsi nella pioggia, mentre si dirigevano verso il piccolo villaggio di Wewelsburg, abbarbicato a fianco del castello. Infine l’auto scomparve dietro una curva.
Gray aspettò cinque minuti, poi girò attorno al pullman e diede il via libera a Monk, che spense il motore. Ormai convinto che la Mercedes non sarebbe ritornata, Gray fece cenno agli altri di uscire.
«Siamo un tantino paranoici, eh?» commentò Fiona, mentre gli passava accanto, diretta verso l’arco.
«Non è paranoia se qualcuno ti sta addosso sul serio», replicò Monk. Poi chiese a Gray: «Ci stanno davvero addosso?»
Gray fissava il cielo tumultuoso. Non gli piacevano le coincidenze, ma non poteva fermarsi soltanto perché era spaventato. «Non perdere di vista Fiona e Ryan. Parliamo con questo direttore, ci facciamo dare una copia della lettera del vecchio Hugo alla figlia e ce ne andiamo fuori dalle scatole.»
Monk guardò la gigantesca massa di torri e torrette. La pioggia si riversava copiosa sulla pietra grigia e colava dalle grondaie verdi. Soltanto alcune delle finestre ai piani inferiori erano illuminate di segni di vita. Il resto del castello era scuro e opprimente.
«Tanto per mettere le cose in chiaro: se vedo un fottuto pipistrello nero, io taglio la corda.»