Altri fuochi, piccoli come il nostro o giganteschi, si stendevano lungo la spiaggia fino alla scintillante metropoli di Joyland, tracciando un meraviglioso diadema di fiamme. Probabilmente simili falò sono vietati in questo secolo; le autorità costituite hanno il vizio di proibire parecchie belle iniziative della gente comune. Non ne conosco la ragione, ma è così.
Mentre mangiavamo, raccontai le predizioni di Madame Fortuna, secondo cui avrei incontrato una bambina con un cappello rosso e una bambola, nonché un ragazzino in compagnia di un cane. «La prima si è verificata; non rimane che la seconda», conclusi.
«Accidenti!» esclamò Erin. «Forse ha davverodei poteri paranormali. Me l’hanno assicurato in parecchi, ma non credevo che…»
«Tipo chi?» la interruppe Tom.
«Be’, tipo Dottie Lassen, la responsabile della sartoria.
O Tina Ackerley, la bibliotecaria che Dev va a trovare tutte le notti strisciando lungo il corridoio.»
Le mostrai il dito medio e lei iniziò a ridacchiare.
«Due non sono molti», obiettò Tom con il suo tono da professorone.
«Con Lane Hardy saliamo a tre», affermai. «Secondo lui, le profezie di Rozzie hanno lasciato di stucco un sacco di persone.» Non volendo nascondere niente, mi sentii obbligato ad aggiungere: «Ha anche detto che per il novanta per cento sono stronzate».
«Credo che ci avviciniamo di più al novantacinque», continuò il professorone. «Predire la sorte è mestiere da imbroglioni, ragazzi miei. Una truffa baruffa, secondo la Parlata. Il berretto, per esempio. I cancappelli sono di tre colori: blu, giallo e rosso, che va per la maggiore. Quanto alla bambola, quasi tutti i bambini si trascinano dietro il giocattolo preferito a un parco divertimenti. Serve a rassicurarli in un posto cosi strano. Se a Hallie non fosse andato di traverso l’hot dog mentre ti era davanti, se si fosse limitata ad abbracciare Howie e tirare dritto, avresti visto qualche altra bambina con un cancappello rosso e avresti esclamato: ‘A-ha! Madame Fortuna è veramentecapace di prevedere il futuro! Le passerò un dollaro d’argento sul palmo e di sicuro mi rivelerà dell’altro.’»
«Sei un tale cinico», lo sgridò Erin, tirandogli una gomitata. «Rozzie Gold non cercherebbe mai di derubare un collega.»
«Non ha voluto soldi», soggiunsi, pensando però che il ragionamento di Tom non faceva una grinza. Roz aveva indovinato (o almeno così mi era parso) che la mia ragazza con i capelli castani apparteneva al passato, ma forse si era trattato di una semplice congettura basata sul calcolo delle probabilità… o sulla mia espressione quando gliel’avevo chiesto.
«Certo che no», proseguì Tom, afferrando un ennesimo biscotto farcito. «Ti ha usato per fare pratica. Per mantenersi in forma. Scommetto che ha raccontato un fracco di palle pure ad altri pivelli.»
«Te compreso?» gli domandai.
«Be’, no, ma non significa nulla.»
Guardai Erin, che scosse la testa.
«Roz sostiene anche che il Castello del Brivido è stregato», affermai.
«Sì, ho sentito pure questo», replicò Erin. «È infestato dallo spettro di una ragazza uccisa lì dentro.»
«Che cazzata!» gridò Tom. «Tra un po’ salterà fuori che il mostro è l’Uncino, e si nasconde all’ombra del Teschio Urlante. Tutte leggende metropolitane.»
«C’è stato davvero un omicidio», precisai. «La vittima si chiamava Linda Gray e veniva da Florence, nella Carolina del Sud. Hanno fotografato lei e il suo assassino al tirassegno e in coda per le Tazze Ballerine. Lo sconosciuto non aveva un uncino, ma il tatuaggio di un falco o di un’aquila sul dorso della mano.»
La mia risposta zittì Tom, almeno per un po’.
«A sentire Lane Hardy, Rozzie pensache il Castello sia abitato da un fantasma, perché non ci è mai voluta entrare per scoprirlo. Non ci si avvicina neanche, se riesce a evitarlo. Lane ritiene che sia abbastanza ironico, dato che secondo lui lo spettro esiste sul serio.»
Erin spalancò gli occhi e si avvicinò al fuoco, in parte per fare scena ma soprattutto perché Tom le cingesse le spalle con il braccio. «Lane ha visto?…»
«Non ne ho idea. Mi ha consigliato di chiederlo alla signora Shoplaw, che mi ha riferito l’intera storia.» Decisi di raccontarla: era perfetta per una notte stellata, con le onde che lambivano la battigia e il falò quasi ridotto a un mucchietto di brace. Persino Tom sembrò restarne affascinato.
«E la nostra amica Shoplaw che ne pensa? Le è apparso lo spirito, sì o no?» domandò lui non appena ebbi concluso.
Cercai di ricordare esattamente il discorso di quando mi aveva affittato la stanza. «Non credo. In caso contrario me ne avrebbe parlato.»
Tom annuì, soddisfatto. «Una lezione perfetta su come funzionano queste faccende. Tutti conosconoqualcuno che ha visto un UFO e tutti conosconoqualcuno che ha visto un fantasma. Testimonianze indirette che nessun tribunale accetterebbe come prove. Io non sono diverso da san Tommaso, che non crede finché non ci mette il naso. Avete capito la battuta? Tom Kennedy, il san Tommaso…»
Erin gli tirò una seconda gomitata, molto più decisa della precedente. «Sì, sì, l’abbiamo capita.» Fissò i resti del fuoco con un’espressione assorta. «Volete sapere la verità? L’estate è quasi finita e non sono mai stata nel tunnel dell’orrore di Joyland, neanche nella prima parte, dedicata ai ragazzini. Brenda Rafferty ci ha detto che è vietato scattare fotografie perché molte coppiette vanno lì dentro a limonare.» Spostò lo sguardo su di me. «Perché stai sogghignando?»
«Oh, niente.» Stavo pensando al defunto signor Shoplaw intento a raccogliere mutandine nel tunnel dopo il coprifuoco, ovvero la chiusura.
«Voi due ci siete mai entrati?»
Scuotemmo entrambi il capo. «Sono i Dob a occuparsi del Castello», puntualizzò Tom.
«Andiamoci domani. Tutti e tre, in un solo vagoncino. Magari ci apparirà il fantasma.»
«Passare a Joyland il nostro giorno libero quando potremmo divertirci sulla spiaggia?» domandò Tom. «Una forma raffinatissima di masochismo.»
Invece di sferrargli una gomitata, Erin gli piantò un dito tra le costole. Probabile che dormissero già insieme: ultimamente non facevano che toccarsi. «Che cazzo ce ne frega? Siamo dipendenti del parco e abbiamo diritto di entrare gratis. E poi, quanto dura il giro? Cinque minuti?»
«Un po’ di più, nove o dieci», risposi. «Senza contare la parte dedicata ai ragazzini. In tutto, un quarto d’ora.»
Tom appoggiò il mento sopra la testa di Erin, osservandomi attraverso la sua chioma vaporosa. «Che cazzo ce ne frega, dice lei. Ecco una ragazza che frequenta l’università con profitto: prima che si mettesse con quelle della confraternita, non sarebbe andata oltre un che cacchio.»
«Preferirei morire di crepaculo piuttosto che farmi scoprire in giro con quel branco di troie semianoressiche vestite a casaccio!» Per qualche motivo, quel turpiloquio mi divertì moltissimo, forse perché Wendy abbinava sempre gli abiti alla meno peggio. «Thomas Patrick Kennedy, hai solo paura che lo vedremoe che sarai costretto a rimangiarti i tuoi bei discorsetti su Madame Fortuna e i fantasmi e gli UFO e…»
Lui alzò le mani. «Mi arrendo. Ci metteremo in fila con i bifolchi… insomma, con i frollocconi… ed entreremo nel Castello del Brivido. Rigorosamente di pomeriggio, però. Se non dormo abbastanza, la mia bellezza ne soffre.»
«Visto come sei messo, non me ne preoccuperei», replicai.
«Detto da uno con la tua faccia, è piuttosto divertente. Dammi una birra, Jonesy.»
Gliela passai.
«Raccontaci com’è andata con gli Stansfield», riprese Erin. «Ti hanno frignato addosso chiamandoti eroe?»
Più o meno, ma non ero disposto a confessarlo. «I genitori sono stati simpatici. La bambina è rimasta seduta in un angolo a leggere Screen Time,urlando roba del tipo: ‘Vedo, vedo qualcosa che comincia con la lettera D… Dean Martin!’»