Tenar aveva già pensato alla pescatrice della storia di Ogion. Ma quella donna era già vecchia quando Ogion l’aveva incontrata, molti anni prima, e ormai doveva essere morta. Anche se i draghi, pensò, erano molto longevi.

Per qualche tempo rimase in silenzio, e poi disse soltanto: «Purtroppo non conosco persone del genere».

Sentiva perfettamente l’irritazione del mago, e la fatica che questi faceva per controllarsi. Che cosa mi nasconde? si stava di certo chiedendo il mago. Che cosa vuole, esattamente? E Tenar si chiese perché non potesse parlargli. Ma la sordità del mago la costringeva a tacere. Non poteva nemmeno dirgli che era sordo.

«Allora», disse Tenar, dopo qualche minuto, «non c’è un Arcimago di Earthsea. Ma c’è un re.»

«In cui giustamente riponiamo la nostra fiducia e le nostre speranze», disse il mago, in tono sincero e con calore. Lebannen, che li guardava e li ascoltava, sorrise.

«Negli scorsi anni», disse Tenar, esitante, «ci sono stati tanti dolori. La mia… la bambina… Cose del genere sono state fin troppo comuni. E ho sentito uomini e donne di Potere lamentarsi della perdita, o della trasformazione, dei loro Poteri.»

«L’uomo che è stato sconfitto dall’Arcimago e dal nostro sovrano nelle terre deserte, quel Pannocchia, aveva causato infiniti danni. Noi stiamo cercando di ricostruire la nostra arte, curando i nostri maghi e la nostra magia, ma occorrerà molto tempo prima che l’opera sia terminata», disse il mago, con decisione.

«Mi chiedo se ricostruire e curare siano sufficienti», rispose Tenar, «anche se, naturalmente, sono cose da farsi… Ma mi chiedo se una persona come Pannocchia non sia giunta ad avere quei Poteri perché le cose stavano già cambiando, e se il cambiamento non ci sia già stato. Un grande cambiamento. E forse è a causa di questo cambiamento che abbiamo di nuovo un re su Earthsea… forse un re e non un Arcimago.»

Il Maestro dei Venti la guardò come se vedesse una nube di tempesta all’estremo orizzonte. Sollevò perfino la mano, automaticamente, come se dovesse fare un incantesimo sul vento, ma poi la abbassò. Sorrise. «Non dovete temere, signora», disse. «Roke e l’arte magica dureranno. Il nostro tesoro è ben protetto!»

«Ditelo a Kalessin», rispose Tenar, che non riusciva a sopportare tanta incoscienza, tanta disattenzione. Il mago la fissò, sorpreso. Aveva sentito il nome del drago. Ma non aveva sentito le parole di Tenar. Del resto, come si poteva pretenderlo, da un uomo che non aveva più ascoltato alcuna voce di donna, da quando la madre aveva smesso di cantargli la ninna-nanna?

«Davvero», disse Lebannen. «Kalessin è giunto a Roke, che si dice completamente protetta contro i draghi; e non grazie a un incantesimo di Lord Sparviero, che a quell’epoca non aveva magia… Ma non credo, Maestro dei Venti, che Lady Tenar avesse paura per sé.»

Il mago si sforzò di riparare all’offesa. «Vi chiedo scusa, signora», disse. «Parlavo come se mi fossi rivolto a una donna comune.»

Per poco Tenar non scoppiò a ridere. Avrebbe potuto confondere quel mago, ma si limitò a dire, con indifferenza: «Oh, le mie paure sono comuni». Era inutile insistere con quell’uomo; non le dava ascolto.

Ma il giovane re taceva e ascoltava.

Un mozzo, dall’alto di quel mondo vertiginoso e ondeggiante di alberi, vele e sartie che stava sopra le loro teste, gridò con voce chiara e musicale: «Città in vista dietro il promontorio!» e dopo qualche istante anche coloro che stavano sul ponte videro il raggruppamento di tetti di ardesia, le volute di fumo azzurrino, i vetri delle finestre che riflettevano il sole al tramonto, i moli e i magazzini di Valmouth, in fondo alla sua baia di seta blu.

«La porto io, o ci pensate voi, signore?» chiese il comandante della nave, sempre impassibile, e il Maestro dei Venti rispose:

«Manovriamo a vela, mastro comandante. Preferisco non avere a che fare con quelle bagnarole!» Indicò le decine di barche da pesca che riempivano la baia. Così, la nave del re entrò in porto lentamente, come un cigno in mezzo agli anatroccoli, salutata da ogni barca accanto a cui passava.

Tenar guardò lungo i moli, ma non vide altre navi.

«Ho un figlio che fa il marinaio», disse a Lebannen. «Pensavo che la sua nave potesse trovarsi nel porto.»

«Che nave è?»

«Era terzo di bordo sul Gabbiano di Eskel, ma da allora sono passati più di due anni. Può darsi che abbia cambiato nave. Non sta mai fermo.» Sorrise. «Quando vi ho visto, vi ho scambiato per lui. Non vi assomigliate granché, ma l’altezza, la corporatura, l’età sono pressappoco le stesse. E io ero confusa e spaventata… Paure comuni.»

Il mago era salito sul castello di prua, e Tenar e Lebannen erano rimasti soli.

«Ce ne sono troppe, di queste paure comuni», disse il re.

Era la sola possibilità di parlargli da solo, e Tenar disse in fretta, in tono esitante: «Volevo dire… ma sarebbe stato inutile… potrebbe non esserci una donna di Gont… e non so chi possa essere, non ne ho idea… ma potrebbe esserci una donna, adesso o in futuro, e forse hanno proprio bisogno di lei. È possibile?»

Il re la ascoltò. Lui non era sordo. Aggrottò la fronte, pensieroso, come se cercasse di capire una lingua straniera. E si limitò a dire, sottovoce: «È possibile».

Una pescatrice, dalla sua barchetta, gridò: «Da dove venite?» e il mozzo, dall’alto, rispose: «Dalla Città del Re!»

«Come si chiama questa nave?» chiese Tenar. «Mio figlio mi chiederà il nome della nave su cui ho navigato.»

«Delfino», le rispose Lebannen, sorridendo. Figlio mio, mio re, mio caro ragazzo, pensò Tenar; come mi piacerebbe averti vicino!

«Devo andare a prendere la bambina», disse.

«Come arriverete a casa?»

«A piedi. Sono poche miglia, in cima alla valle.» Indicò la Valle di Mezzo, ampia e illuminata dal sole, tra le due braccia della montagna, simile a un grembo. «Il villaggio è sul fiume, e la mia fattoria è a mezzo miglio dal villaggio. È uno degli angoli più graziosi del vostro regno.»

«Ma sarete al sicuro?»

«Oh, certo. Trascorrerò la notte con mia figlia, qui a Valmouth. E nel villaggio c’è tutta gente di cui ci si può fidare. Non sarò sola.»

I loro sguardi si incrociarono per un momento, ma nessuno disse il nome al quale stavano pensando.

«Torneranno ancora, da Roke?» chiese Tenar. «A cercare la ‘donna di Gont’… o lui?»

«Non lui. Se tornassero a cercarlo, glielo proibirei», disse Lebannen, senza accorgersi di ciò che le aveva rivelato con quelle poche parole. «Ma per cercare un nuovo Arcimago, o la donna della visione del Maestro degli Schemi, sì, forse potrebbero ritornare. E venire da voi.»

«Saranno i benvenuti alla Fattoria delle Querce», disse Tenar. «Non quanto voi, però.»

«Verrò quando potrò», rispose lui in tono un po’ severo; e aggiunse, con aria vagamente triste: «Se potrò…»

A CASA

Gran parte della popolazione di Valmouth scese al porto per vedere la nave giunta da Havnor, non appena si seppe che a bordo c’era il re, il nuovo re, il giovane re di cui parlavano le nuove canzoni, quelle che nessuno ancora conosceva. Arrivò il vecchio Relli e ne cantò una antica, accompagnandosi con l’arpa: era un pezzo delle Gesta di Morred, perché il re di Earthsea non poteva che essere erede di Morred. Dopo qualche tempo, il re stesso salì sul ponte: era giovane, alto e bello come doveva essere un re, e con lui c’erano un mago di Roke e una donna e una bambina con vestiti vecchi e frusti che non erano molto migliori di quelli dei mendicanti, ma il re le trattava come se fossero una regina e una principessa e, chissà, forse lo erano davvero. «Sarà sua madre», disse Lucciola, alzandosi in punta di piedi per vedere, e poi la sua amica Melina la prese per il braccio e sussurrò, stupita:

«Ma è… mia madre!»

«Madre di chi?» disse Lucciola, che non aveva sentito, e Melina rispose:


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