«Siete assolutamente certi che si tratti di un esemplare autentico?»
«Questo non glielo so dire. È proprio quello che vorremmo ci aiutasse a capire. Senta, stiamo anche cercando di contattare Norman Thierry dell'università della California ma lì non sono ancora le otto del mattino, e…»
Gesù, non voleva che Thierry entrasse in quella storia; se la faccenda era vera — Dio, ma come poteva esserlo? — sarebbe stata una vera e propria bomba.
«Perché volete che venga fin lì?»
«Voglio che sia lei stessa a prendere i campioni del DNA, in modo che non ci siano dubbi sulla loro autenticità e provenienza.»
«Mi ci vorranno… Dio, non lo so, almeno quattro ore per arrivare a Sudbury.»
«Di questo non deve preoccuparsi» la rassicurò Montego. «Abbiamo a disposizione un aereo aziendale, a Pearson. Anche le spese non sono un problema: gliele rimborserà la Inco. Prenda un taxi fino all'aeroporto e sarà qui prima di mezzogiorno.»
Mary si guardò intorno: le librerie bianche e i mobili di vimini, la collezione di statuine della Royal Doulton, le stampe incorniciate di Renoir. Poteva fare un salto all'università per prendere alcuni manuali, ma…
No, no, non voleva tornare in quel posto. Non ancora, perlomeno non quel giorno; forse non prima di settembre, quando sarebbero ricominciati i corsi.
Ma dei manuali aveva bisogno. Adesso era giorno, poteva parcheggiare nel lotto DD, avvicinarsi al Farquharson Building dalla direzione opposta, senza dover passare dove…
Dove…
Chiuse gli occhi. «Dovrò passare all'università per prendere delle cose, ma… sì, va bene, vengo.»
11
Mancavano ventiquattro giorni al momento in cui Due sarebbero diventati Uno, la fantastica vacanza di quattro giorni che ogni mese Adikor Huld aspettava con ansia crescente. A dispetto di ogni considerazione di opportunità, non poteva certo aspettare sino a quel momento per parlare con la persona che sperava lo avrebbe difeso al dooslarm basadlarm. Avrebbe potuto chiamarla, ma le parole, da sole, senza la comunicazione gestuale e quella olfattiva dei feromoni, non potevano certo comunicarle tutto quello che aveva da dire. No, era una faccenda molto delicata, che senza il minimo dubbio meritava un viaggio al Centro.
Tramite il Companion prenotò un cubo volante con autista. La comunità possedeva più di tremila di quelle macchine; non avrebbe dovuto aspettare troppo a lungo.
«Lo sai che siamo nel periodo degli Ultimi Cinque, vero?» gli chiese il Companion.
Gristle! Lo aveva dimenticato. L'aria sarebbe stata satura di ormoni. In tutta la sua vita gli era capitato di andare al Centro durante il periodo degli Ultimi Cinque soltanto due volte. Conosceva uomini che non l'avevano mai fatto, e li prendeva in giro raccontando che a recarsi al Centro durante quel periodo si rischiava di rimanerci secchi.
Comunque, prima di andare sarebbe stata una saggia precauzione scivolare di nuovo nella vasca da bagno, per abbassare il livello dei feromoni. E fu esattamente quello che fece.
Quando ebbe finito si asciugò e indossò un abito marrone. Aveva appena terminato di vestirsi che il cubo volante atterrò nel giardino di fronte casa. Pabo, sempre in attesa di Ponter, uscì per vedere di chi si trattasse. Adikor si avviò lentamente.
Il cubo era un modello dell'ultima versione, quasi del tutto trasparente, con due motori a cuscino d'aria e quattro sedili agli angoli, su uno dei quali sedeva il guidatore. Adikor salì a bordo, sistemandosi sul sedile a forma di sella ben imbottito accanto all'autista.
«Va al Centro?» gli chiese l'uomo, un 143 con una striscia senza capelli lungo il cranio, che si allargava nella parte posteriore.
«Sì.»
«Lo sa che siamo nel periodo degli Ultimi Cinque?»
«Lo so.»
L'autista ridacchiò. «Be', io non rimarrò lì ad aspettarla.»
«Va bene. Andiamo.»
L'autista annuì e decollò. Il cubo aveva un buon sistema di insonorizzazione; il rumore delle eliche giungeva smorzato. Si mise comodo, predisponendosi al viaggio. Superarono un paio di altri cubi, con a bordo passeggeri maschi. Immaginò che gli autisti dovevano sentirsi molto utili alla comunità; non aveva mai guidato un cubo volante, e tutto sommato doveva essere un lavoro piacevole…
«Qual è il suo contributo?» gli domandò l'autista in tono disinvolto, tanto per fare due chiacchiere.
«Sono uno scienziato» rispose Adikor continuando a osservare la vita scorrere intorno.
«Qui?» disse l'autista con voce incredula.
«Abbiamo un laboratorio giù in una delle miniere.»
«Ah, sì, l'ho sentito dire. Computer fantasiosi, eh?»
Un'anatra sorvolò il tetto, il bianco corpo disadorno che spiccava contro il collo e la testa neri. «Già.»
«E come vanno le cose?»
Adikor si rese conto di come l'essere accusati di un delitto cambi la prospettiva delle cose. In casi del genere, avrebbe semplicemente risposto 'Bene', invece di impegolarsi con uno sconosciuto in quella dolorosa vicenda. Ma esisteva la possibilità che anche quell'autista fosse chiamato a testimoniare al processo. «Sì, signor giudice, ho accompagnato lo scienziato Huld, e quando gli ho chiesto come andavano le cose al suo laboratorio, mi ha risposto 'Bene.' Ponter Boddit era morto, ma lui non mostrava alcun dolore.»
Respirò a fondo e cominciò a parlare, cercando di misurare attentamente le parole. «Ieri c'è stato un incidente. Un mio collega è rimasto ucciso.»
«Oh, mi dispiace.»
Stavano sorvolando una landa sterile ricoperta di antiche rocce di granito e bassa sterpaglia. «Anche a me.»
Seguì un lungo silenzio. Non c'era modo di provare la sua colpevolezza. Niente cadavere, nessuna prova materiale che Ponter fosse morto, e tanto meno che fosse rimasto vittima di un delitto: il giudice non avrebbe potuto emettere una sentenza del genere.
Ma se…
Se, a dispetto di tutto, fosse stato condannato per omicidio, allora…
Allora cosa? Lo avrebbero sicuramente privato dei suoi beni, che avrebbero assegnato alla compagna di Ponter e ai suoi ragazzi, ma… ma no, no. Klast era morta venti mesi prima.
E oltre a confiscargli i beni, cos'altro potevano fargli?
Certo non… non quello.
Insomma, quali erano le pene da scontare se si veniva condannati per omicidio? Una cosa apparentemente inumana, ma evidentemente necessaria, dato che era stata decisa sin dai tempi della prima generazione.
Ad ogni modo, non doveva preoccuparsi troppo. Anche Daklar Bolbay doveva essere affranta per la morte di Ponter, con cui aveva condiviso la stessa compagna; entrambi infatti si erano legati a Klast, la cui morte doveva averla scossa quanto Ponter. E adesso, quella donna aveva perso anche lui! Si figurava il suo stato mentale, probabilmente messo a dura prova dalla doppia perdita. Senza dubbio, dopo un giorno o due, Bolbay sarebbe tornata in sé e avrebbe ritirato l'accusa, scusandosi per quello che aveva fatto.
E lui avrebbe garbatamente accettato le scuse; del resto, cos'altro poteva fare?
E se invece non l'avesse fatto? Se quell'assurda faccenda fosse arrivata sino in tribunale? Cosa sarebbe successo? Perché mai avrebbe dovuto…
L'autista interruppe le sue riflessioni: «Siamo quasi arrivati al Centro. Dove devo fermarmi?»
«North Side, Milbon Square.»
Vide l'autista annuire.
In effetti si stavano avvicinando al Centro. Gli spazi aperti avevano lasciato il posto a distese di pioppi e di betulle, a gruppi di case in legno e laterizio grigio. Era quasi mezzogiorno, e la nuvolaglia del mattino si era dispersa.
Mentre procedevano verso il Centro, Adikor scorse una donna, poi un'altra, quindi parecchie altre: le più splendide creature del mondo.
Una di loro notò il cubo e indicò Adikor. Non era raro che un uomo arrivasse nel Centro in un periodo che non fosse quello durante il quale Due diventano Uno, ma durante gli Ultimi Cinque, gli ultimi giorni del mese, non accadeva quasi mai.