— Quella roba ha dei bei colori — dice lei con voce non molto interessata… ma almeno non si è messa a ridere. — Ti piace la torta di frutta candita?

— No — rispondo, inghiottendo il grosso nodo che ho in gola. — Credo… credo che i suoi colori siano più belli del sapore. — Ho usato la parola sbagliata: i sapori non sono belli o brutti… ma ormai è troppo tardi per scegliere un altro termine.

Lei annuisce con espressione seria. — Anch'io la penso così. La prima volta che ho mangiato la torta di frutta candita, quando ero piccola, mi aspettavo che avesse un sapore speciale perché era così bella e variopinta. Invece… non mi piacque.

— Fai… fai spesso la spesa qui? — chiedo.

— Di solito no — risponde Marjory. — Ma sto andando a casa di un'amica che mi ha chiesto di comprare qualcosa per lei. — Mi guarda, e di nuovo mi rendo conto di quanto sia difficile parlare. È difficile perfino respirare, e mi sento tutto appiccicoso per il sudore che mi gocciola giù per la schiena. — Tu invece vieni qui regolarmente?

— Sì — dico.

— Allora forse mi sai dire dove posso trovare il riso e la carta di alluminio — chiede lei.

Per un momento la mia mente si svuota, poi ricordo. — Il riso è a metà della corsia tre. E la carta di alluminio è nella diciotto…

— Oh, per favore — dice lei sorridendo — fammeli vedere. Ho l'impressione di essere andata in giro qui intorno per almeno un'ora.

— Farteli vedere? Ah… accompagnarti. — Per un istante mi sono sentito sbalestrato: ma naturalmente è questo che lei voleva dire. — Vieni — la invito, girando il mio carrello e prendendomi un'occhiataccia da parte di una donna con un carrello straripante di roba. — Scusi — le dico, ma lei mi sorpassa senza rispondere.

— Ti vengo dietro, così non daremo fastidio a nessuno — propone Marjory.

Io annuisco e mi dirigo prima verso il riso che è più vicino, visto che siamo nella corsia sette. Marjory mi segue e sapere questo mi dà un senso di calore alla schiena, come se la illuminasse un raggio di sole. Sono contento che lei non possa vedere la mia faccia: sento un gran calore anche lì.

Mentre Marjory passa in rassegna le confezioni di riso… riso in sacchetti, in scatole, a grani lunghi e corti, integrale e in combinazione con altre cose, e lei non sa con precisione quale tipo di riso le serve… io la guardo. Ha le ciglia molto lunghe e quasi nere. I suoi occhi hanno screziature di diversi colori intorno all'iride, e ciò li rende più interessanti.

La maggior parte degli occhi hanno più di un colore, spesso diverse sfumature di uno stesso colore: gli occhi azzurri possono essere insieme azzurro chiaro e azzurro scuro, o azzurro e grigio, o azzurro e verde, e a volte possono avere perfino qualche screziatura marrone. La maggior parte della gente non ci fa caso. La prima volta che andai a chiedere la mia carta d'identità, il modulo a un certo punto chiedeva di che colore avessi gli occhi. Io cercai di descrivere tutti i colori dei miei occhi, ma lo spazio non era sufficiente. L'impiegato mi disse di scrivere "castani", e io lo feci, ma non è quello l'unico colore dei miei occhi. È solo il colore che la gente vede perché non guarda veramente gli occhi degli altri.

Mi piacciono gli occhi di Marjory perché sono i suoi occhi e perché mi piacciono tutti i colori che hanno. Mi piacciono anche tutti i colori dei suoi capelli. Probabilmente lei scrive "castani" nei moduli che richiedono il colore dei suoi capelli, ma essi hanno tanti colori differenti, più ancora dei suoi occhi. Sotto le luci del supermercato ne hanno meno che alla luce del giorno… per esempio perdono le sfumature color mogano, ma io so che ci sono.

— Ecco qui — dice, scegliendo una scatola di riso a grani lunghi e a cottura rapida. — E adesso cerchiamo l'alluminio! — Sorride.

Le restituisco il sorriso. Le faccio da guida alla corsia diciotto, che verso la metà ospita piatti di plastica, rotoli di pellicola, carta oleata e carta di alluminio.

— Fatto — dice Marjory. Ha fatto più in fretta a scegliere la carta che a scegliere il riso. — Grazie, Lou, sei stato proprio bravo.

Devo indirizzarla alla cassa veloce? Credo di sì, lei ha detto di avere fretta. Gliela indico, e lei annuisce.

— Adesso devo correre, Lou — dice. — Avevo appuntamento con Pam per le sei e un quarto. — Sono le 18.07: se Pam abita lontano, Marjory farà tardi.

— Arrivederci — la saluto, e la guardo mentre si allontana in fretta lungo la corsia, evitando agilmente gli altri compratori.

— Così questa è lei — dice qualcuno dietro di me. Mi volto: è Emmy. Sembra arrabbiata, come al solito. — Non è poi così bella.

— Io credo che sia bella — dico.

— Si capisce — dice Emmy. — Sei arrossito.

Mi sento ardere la faccia. Può darsi che sia arrossito, ma Emmy non doveva dirlo. Non è educato fare commenti in pubblico sull'espressione di qualcuno. Non rispondo.

— Suppongo penserai che lei è innamorata di te — insiste Emmy con voce ostile. Io posso capire che lei pensa sia vero ciò che ha detto e pensa anche che io mi sbagli, cioè che Marjory non sia affatto innamorata di me. Mi dispiace che Emmy pensi questo, ma sono anche contento di aver capito il significato di ciò che lei pensa da quello che ha detto e da come lo ha detto. Anni fa non lo avrei compreso.

— Non saprei — rispondo mantenendo la voce bassa e calma. Poco lontano da noi, una donna si è fermata con una mano su un pacco di piatti di plastica e ci guarda. — Tu non sai quello che penso — dico a Emmy — e non sai nemmeno quello che pensa lei. Stai cercando di leggere nella nostra mente e questo è sbagliato.

— Tu credi di essere tanto furbo solo perché lavori con i computer e la matematica — replica Emmy. — Ma non sai proprio nulla della gente.

So che la donna più in là nella corsia si sta avvicinando e ci ascolta. Mi sento inquieto. Noi non dovremmo parlare così in pubblico, non dovremmo farci notare. Dovremmo confonderci con l'altra gente, sembrare persone normali. Ma se cerco di dire questo a Emmy, lei si arrabbierà ancora di più. Potrebbe perfino alzare la voce. — Devo andare — dico. — Ho fatto tardi.

— Per che cosa, per un appuntamento? — domanda lei. Pronuncia la parola "appuntamento" più forte delle altre e con un'inflessione pesantemente interrogativa: questo significa che vuol essere sarcastica.

— No — dico con voce calma. Se rimango calmo lei forse mi lascerà in pace. — Devo guardare la TV. Guardo sempre la TV il… — Di colpo la mia mente si vuota: non riesco a ricordare in che giorno della settimana ci troviamo. Mi volto, come se avessi finito la frase. Emmy scoppia in una risata aspra, ma non dice altro che io possa sentire. Ritorno in fretta allo scaffale delle spezie e prendo la mia confezione di chili. Vado alle casse e vedo che ci sono file dappertutto.

Nella mia ci sono davanti a me cinque persone, tre donne e due uomini: uno ha capelli chiari e quattro li hanno scuri. Un uomo ha un pullover celeste, quasi dello stesso colore di una scatola che ha nel carrello. Cerco di pensare solo ai colori, ma c'è troppo rumore e le luci del supermercato fanno sembrare i colori diversi da come sono in realtà… cioè, da come sono alla luce del giorno. Anche il supermercato fa parte della realtà. Le cose che non mi piacciono fanno parte della realtà proprio come le cose che mi piacciono.

Però è più facile pensare alle cose che mi piacciono piuttosto che alle altre. Pensare a Marjory e al Te Deum di Haydn mi rende felice; invece se mi permetto di pensare a Emmy, anche per un istante, la musica diventa stridula e sgradevole e io ho voglia di scappare. Fisso la mia mente su Marjory, come fosse una pratica di lavoro, e la musica danza, lieta e spensierata.

— Quella è la sua ragazza?

M'irrigidisco e faccio per voltarmi. È la donna che stava guardando me ed Emmy: si trova dietro di me nella fila. I suoi occhi luccicano sotto il neon del supermercato, il rossetto le si è seccato agli angoli delle labbra in crosticine di un arancione scuro. Mi sorride, ma il suo non è un bel sorriso: è duro e si limita alla bocca. Non dico nulla e lei riprende a parlare.


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