Lo faccio subito, perché non ho un agente locale. Navigo tra il "servizio clienti", le "polizze auto" eccetera e infine mi fermo su "denunce". Sullo schermo compare un modulo.

— Bravo! — esclama il signor Bryce, e sembra un po' sorpreso.

— È molto chiaro — dico. Digito il mio nome e indirizzo, il numero della polizza ricavato dal mio file personale, la data, e scrivo "sì" nella casella che chiede se l'incidente è stato notificato alla polizia.

Seguono altre caselle che non capisco. — Qui devi scrivere il numero del rapporto dell'incidente registrato dalla polizia — spiega il signor Bryce indicandomelo sul foglietto che mi ha dato l'agente. — Questo è il numero di codice dell'agente investigativo, da scrivere qui, e questo il suo nome da scrivere - continua. Poi devo scrivere "con parole mie" il resoconto dell'incidente che non ho visto. La sera ho parcheggiato la mia macchina e la mattina dopo tutt'e quattro le gomme erano state tagliate. Il signor Bryce dice che va bene così.

Adesso che ho compilato la denuncia dovrò trovare qualcuno che mi cambi le gomme.

— Non posso dirtelo io, chi chiamare — mi spiega il signor Bryce. — L'anno scorso avemmo un pasticcio e dei tizi accusarono la polizia di prendere bustarelle da officine di servizio. — Io non so cosa significhi "bustarelle". Mentre scendiamo, la gerente dello stabile, signora Tomasz, ci ferma e dice che conosce lei un'officina affidabile. Me ne dà il numero. Come fa a sapere quanto è successo? Forse mi ha sentito parlare nel parcheggio? L'idea mi disturba un poco.

— Ti darò un passaggio per la stazione della metropolitana — dice il signor Bryce. — Non posso accompagnarti al lavoro perché altrimenti farei troppo tardi anch'io.

È già molto gentile a darmi un passaggio. Si sta comportando come un amico. — Grazie, signor Bryce — dico.

Lui scuote la testa. — Ti avevo già detto di chiamarmi Danny, Lou. Siamo vicini di casa.

— Grazie, Danny — dico.

Lui sorride e apre lo sportello della sua macchina. Vedo che è molto pulita, come la mia. Danny accende la radio; la musica è troppo forte e con un ritmo troppo marcato, e mi fa rabbrividire. Non mi piace, però mi piace non dover andare a piedi alla stazione della metropolitana.

Sia la stazione che i treni sono affollati e chiassosi. Mi è difficile rimanere abbastanza calmo e concentrato da leggere i cartelli che mi dicono quale biglietto comprare e quale treno aspettare.

8

È molto strano vedere il campus dalla stazione e non dal viale e dal parcheggio. Invece di mostrare il mio pass alla guardia stazionata all'entrata delle automobili lo mostro alla guardia dell'entrata che sta davanti alla stazione della metropolitana. Larghi marciapiedi bordati di aiole portano all'edificio dell'amministrazione. I fiori sono gialli e arancione con molti boccioli: i colori brillano alla luce del sole. Davanti all'amministrazione devo mostrare il pass a un'altra guardia.

— Perché non ha parcheggiato al suo solito posto? — mi domanda. Sembra irritato.

— Qualcuno ha tagliato le gomme della mia macchina — dico.

— Brutto guaio — commenta, e abbassa gli occhi a guardare il suo tavolo. Forse sarà deluso perché non ha nessuna ragione d'irritarsi. — Qual è la strada più breve da qui all'edificio Ventuno? — domando.

— Attraversi questo edificio, giri dietro il Quindici, poi passi davanti alla fontana con una donna nuda su un cavallo. Da lì potrà vedere il suo parcheggio.

Fa molto caldo e io sono sudato quando arrivo al nostro edificio e infilo la mia chiave magnetica nella serratura del portone. All'interno però c'è fresco e penombra e posso rilassarmi. Vado direttamente nel mio ufficio e accendo il ventilatore mettendolo al massimo.

Il computer è acceso come sempre e porta l'icona di un messaggio. Lo leggo:

Chiama appena arrivi.

Firmato: sig. Crenshaw, interno 2313.

Allungo la mano verso il telefono, che però suona prima che possa alzare il ricevitore.

— Ti avevo detto di chiamare appena arrivato in ufficio — dice la voce del signor Crenshaw.

— Sono appena arrivato — dico.

— Sei passato dall'ingresso principale venti minuti fa — obietta lui, con voce molto irritata. — Nemmeno a te ci dovrebbero volere venti minuti per arrivare da lì al tuo edificio.

Dovrei dire che mi dispiace, ma non è vero. Non so quanto tempo ho impiegato per percorrere la distanza dall'ingresso al mio edificio e non so neanche quanto in fretta avrei dovuto camminare se avessi affrettato il passo. Ma faceva troppo caldo per affrettarsi. Mi sento salire un calore alla nuca.

— Non mi sono fermato per via — protesto.

— E cos'è quella scusa su una gomma sgonfia? Non sei capace di cambiare una gomma? Sei in ritardo di due ore.

— Quattro gomme — dico. — Qualcuno mi ha tagliato tutt'e quattro le gomme.

— Quattro! Suppongo tu abbia denunciato il fatto alla polizia — esclama.

— Sì.

— Ma potevi aspettare a farlo fino a dopo il lavoro — dice lui. — Oppure potevi chiamare da qui.

— Il poliziotto era lì — spiego.

— Era lì? Qualcuno era presente mentre la tua macchina veniva danneggiata?

— No… — Lottando contro l'impazienza e la rabbia della sua voce io cerco d'interpretare il senso delle sue parole che sembrano più un brusio collerico che un discorso dotato di significato. È difficile scegliere una risposta adatta. — Si tratta del poliziotto che abita nel mio palazzo. Lui ha visto le gomme e ha chiamato un altro poliziotto. Mi ha detto lui cosa dovevo fare.

— Avrebbe dovuto dirti di venire al lavoro — lo critica Crenshaw. — Non c'era ragione che tu ti trattenessi. Dovrai rimediare al tempo perduto, sai.

— Lo so. — Mi chiedo se lui deve rimediare al tempo perduto quando gli succede di ritardare.

— E sta' attento a non calcolare il tempo supplementare come straordinario — dice tagliando la comunicazione. Non ha detto che gli dispiaceva per le mie gomme. In questi casi si usa un'espressione convenzionale, come "peccato" o "che guaio"; invece, benché sia una persona normale, lui non ha detto niente del genere. Forse perché non gli dispiace affatto e non ha alcuna simpatia da esprimere. Io ho dovuto imparare a usare espressioni convenzionali anche quando non esprimevano il mio pensiero, perché ciò fa parte dell'inserirsi nell'ambiente, dell'andare d'accordo. Qualcuno ha mai preteso che il signor Crenshaw imparasse a inserirsi nell'ambiente, ad andare d'accordo?

Sarebbe ora di pranzo, anche se sono indietro col lavoro. Provo un senso di vuoto allo stomaco. Sto per dirigermi verso il cucinino dell'ufficio quando mi rendo conto di non aver portato il pranzo. Devo averlo lasciato da qualche parte quando sono tornato nel mio appartamento per la denuncia dell'incidente all'assicurazione. Lo scomparto frigorifero con sopra le mie iniziali è quindi vuoto. Lo avevo vuotato ieri.

C'è una macchina che vende cibarie nell'edificio accanto al nostro, ma il cibo è immangiabile. Se si tratta di sandwich, gli ingredienti di cui sono imbottiti sono tutti mescolati insieme e grondanti di maionese o altre salse. Roba rossa, roba verde, carne tritata insieme con altri condimenti. Anche se io ne aprissi uno e raschiassi via la maionese, il suo odore e il suo sapore resterebbero. Quanto ai dolci, le ciambelle e i cornetti, sono appiccicosi e lasciano macchie disgustose nei contenitori di plastica quando si tirano fuori. Mi si contrae lo stomaco solo a pensarci.

Potrei andar fuori a comprare qualcosa, benché di solito nessuno di noi esca all'ora di pranzo, ma la mia macchina è a casa, inutilizzabile con le sue gomme sgonfie.

— Hai dimenticato il pranzo? — mi chiede Eric. Io sobbalzo. Non ho ancora parlato con nessuno dei miei colleghi.


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