Guardo il suo viso che porta tutti i segni fisici della collera: la pelle arrossata, gli occhi strizzati e troppo scintillanti, la bocca squadrata, i denti quasi digrignanti. Non so perché sia sempre così arrabbiata con me e non so perché le importi che io vada al Centro oppure no. Non credo comunque che lei mi somigli. Emmy non è autistica. Non conosco il suo handicap e non m'interessa.
— Non sono in cerca di ragazze — dico.
— Allora è lei che cerca te?
— Ho detto che non desidero parlare di questo con te — ripeto. Mi guardo intorno e non vedo nessuno che conosco. Pensavo che Bailey sarebbe venuto stamattina, ma può darsi che lui si sia accorto prima di me di quello che io ho capito solo oggi. Magari non è venuto perché si è reso conto di non aver bisogno del Centro. E io non voglio restar qui ad aspettare che Maxine sia libera.
Faccio per andarmene, ma Emmy ha ancora qualcosa da dire. — Dove credi di andare? — domanda. — Sei appena arrivato. Non pensare di poterti sottrarre ai tuoi problemi, Lou!
Posso sottraimi a lei, però. Non posso sfuggire al lavoro o alla dottoressa Fornum, ma posso sfuggire a Emmy. Pensando a questo sorrido, e lei si fa ancora più rossa in faccia.
— Cos'hai da sorridere?
— Sto pensando a una musica — dico. Questa è una scusa sempre plausibile. Non voglio guardare Emmy con quella faccia rossa, lucida e rabbiosa. Lei mi sta piantata davanti come volesse costringermi ad affrontarla, ma io guardo a terra. — Penso sempre a una musica quando qualcuno va in collera con me — aggiungo. Questo spesso è vero.
— Oh, sei impossibile! — lei scatta, e si allontana a passi pesanti. Mi chiedo se abbia qualche amico, perché non la vedo mai con altra gente. È triste, ma io non posso farci nulla.
Fuori tutto sembra più tranquillo, benché il Centro si trovi in una strada molto frequentata. Non ho alcun progetto. Se non passo la mattinata di sabato al Centro, non so con precisione cosa fare. Il bucato l'ho fatto, e le pulizie di fino al mio appartamento anche. I testi dicono che noi autistici non ce la caviamo bene con le incertezze e i cambiamenti di programma. Di solito queste cose non mi disturbano, ma questa mattina mi sento incerto. Mi ha disturbato tutto il parlare che Emmy ha fatto di Marjory.
Vorrei vederla adesso. Vorrei che potessimo fare qualcosa insieme, o che io potessi anche solo guardarla parlare con qualcun altro. Me ne accorgerei se le piacessi? Credo di piacerle. Tuttavia non so se le piaccio molto o un poco. Non so se le piaccio come un uomo piace a una donna o come un bambino piace a una persona adulta. Non so come fare a capirlo. Se fossi normale lo capirei, credo. Le persone normali devono capirlo, altrimenti non potrebbero mai sposarsi.
La settimana scorsa a quest'ora ero al torneo. Mi stavo divertendo. Preferirei trovarmi di nuovo lì piuttosto che qui; anche con tutto quel rumore, quell'affollamento, quegli odori. Era un posto dove mi trovavo a mio agio: qui non mi ci trovo più. Sto cambiando, credo, o piuttosto sono già cambiato.
Decido di tornare a piedi a casa, anche se è lontana. Fa più fresco adesso, e in alcuni giardini lungo la strada si vedono già sbocciare fiori autunnali. Il ritmo dei miei passi allevia la tensione e mi rende più facile ascoltare la musica che ho scelto per accompagnare la mia passeggiata. Vedo altre persone con gli auricolari: stanno ascoltando musica registrata o trasmessa. Mi chiedo se quelle senza auricolari stanno ascoltando la propria musica mentale o camminano senza musica.
Sono quasi arrivato a casa quando mi ferma un profumo di pane fresco. Trovo in una traversa una piccola panetteria e compro un filoncino di pane appena sfornato. Accanto alla panetteria c'è un fioraio la cui vetrina espone masse di fiori viola, gialli, azzurri, bronzo, rosso cupo. Quei colori trasmettono molto più che lunghezze d'onda di luce: irradiano gioia, orgoglio, tristezza, consolazione. Me ne sento quasi sopraffare.
Registro quei colori e quelle forme e porto a casa il pane annusando la sua fragranza e combinandola con i colori accanto ai quali passo. C'è una casa dietro un cortile che ha un rosaio rampicante tutto fiorito lungo la facciata: anche attraverso il cortile mi giunge il suo profumo.
È passata una settimana ormai, e né il signor Aldrin né il signor Crenshaw hanno più detto niente sul trattamento. Non ci sono giunte altre lettere. Sarebbe bello se ciò significasse che qualcosa non funziona nel progetto e che loro ci hanno rinunciato, ma non credo proprio che se ne siano dimenticati, anzi. Il signor Crenshaw sembra sempre così collerico, sia nell'aspetto che nella voce. La gente collerica non dimentica le ingiurie, perché il perdono dissolve la collera, questo era l'argomento del sermone domenicale. La mia mente non dovrebbe divagare durante il sermone, ma spesso mi annoio un poco e penso ad altre cose. La collera e il signor Crenshaw mi sembrano argomenti correlati.
Lunedì tutti noi riceviamo l'avviso che dobbiamo riunirci sabato prossimo. Non ho voglia di perdere il mio sabato, ma non sembra possano esserci scuse valide per non partecipare. Adesso vorrei aver aspettato per parlare a Maxine al Centro, ma è troppo tardi.
— Credi che dobbiamo andare davvero? — domanda Chuy. — Ci licenzieranno se non andiamo?
— Non lo so — dice Bailey. — Io comunque voglio sapere cosa faranno, perciò ho deciso di andare.
— Andrò anch'io — annuncia Cameron. Io annuisco, e così fanno anche gli altri. Linda pare molto infelice, ma dopo tutto lei ha sempre un'aria infelice.
— Guarda… ehm… Pete… — La voce di Crenshaw trasudava affabilità ipocrita, e Aldrin notò che gli riusciva difficile ricordare il suo nome. — Tu credi, lo so bene, che io sia un bastardo dal cuore di pietra, ma il fatto è che la compagnia finanziariamente non è in buone acque. La produzione aerospaziale è necessaria, però sta divorando profitti in un modo che non crederesti.
"Ah, non lo crederei?" pensò Aldrin. A parer suo quella era stata una stupidaggine: i vantaggi che si ricavavano dagli impianti a bassa gravità e a gravità zero erano peggio che annullati dalle spese e dagli inconvenienti che comportavano. Ci si poteva arricchire benissimo giù sulla Terra, e lui non avrebbe mai votato per l'impegno aerospaziale se gli avessero concesso il diritto di voto.
— I tuoi ragazzi sono fossili, Pete, renditene conto. Gli autistici più vecchi di loro erano da buttar via al novanta per cento. E non mi citare quella donna, come si chiamava, quella che disegnava mattatoi o che altro…
— La Grandin — mormorò Aldrin, ma Crenshaw non sentì.
— Una su un milione, e io nutro il massimo rispetto per chi sa innalzarsi al di sopra delle proprie menomazioni come fece lei. Quella donna però rimane un'eccezione. La maggior parte di quegli altri poveri bastardi erano esseri inutili. Non per colpa loro, lo ammetto… ma insomma non erano buoni a nulla, né per sé né per gli altri, a dispetto di quanto si spendeva per curarli. E se i dannati psicologi avessero mantenuto il loro monopolio della categoria, i tuoi ragazzi si sarebbero trovati nelle stesse condizioni di quei poveracci. La loro fortuna è stata che a un certo punto hanno cominciato a curarli i neurologi e i behavioristi. Comunque, diciamolo chiaro e tondo: non sono normali.
Aldrin non disse nulla: tanto Crenshaw non lo avrebbe ascoltato. Crenshaw prese il suo silenzio per approvazione e continuò a vele spiegate.
— Infine si sono resi conto di dove stava precisamente il danno e hanno cominciato a metterci rimedio nella prima infanzia… ecco perché i tuoi ragazzi sono fossili, Pete. Sono naufraghi fra il triste passato e il brillante futuro. Non stanno né di qua né di là. Non è giusto.
Nella vita ben poche cose erano giuste, e Aldrin non credeva che Crenshaw fosse abilitato a parlare di giustizia.