— Sì.

— E non puoi essere sicuro che nessuno si arrabbierà con te.

— Sì.

— Ma… Lou… le persone si arrabbiano con altre persone anche senza ragione. Don era arrabbiato anche con Tom. Altra gente può essere arrabbiata con Simon; io so che c'è stato chi si è arrabbiato con me. Sono cose che succedono. Purché una persona sia certa di non far nulla di male, non può stare a preoccuparsi continuamente che qualcuno possa arrabbiarsi con lei.

— Forse la cosa non ti dispiace quanto a me — dico.

Lei mi lancia un'occhiata che, ne sono certo, significa qualcosa ma non so quale. Lo saprei se fossi normale? Come fanno le persone normali a imparare cosa significano quelle occhiate?

— Forse no — dice lei. — Io avevo l'abitudine di pensare che fosse sempre colpa mia e me ne affliggevo di più. Ma questo è… — S'interrompe e capisco che sta cercando un modo di esprimersi educato. Lo so perché spesso mi è capitato di parlare lentamente mentre cerco un modo educato di esprimermi. — È difficile stabilire quanto ci si deve affliggere per cose del genere — conclude.

— Già — dico io.

— Il vero problema sono le persone che credono che tutto sia colpa degli altri — dice Lucia. — Quelli che biasimano gli altri per le loro mancanze, e ci si arrabbiano.

— Certe volte però l'irritazione è giustificata — commenta Marjory. — Non dico nel caso di Don e Lou. Lou non ha fatto niente di male. Era tutta colpa della gelosia di Don. Ma io vedo cosa sta a cuore a Lou: lui non vuole essere causa di guai per nessuno.

— Oh, non lo sarà mai, non è il tipo — dice Lucia lanciandomi a sua volta un'occhiata; un'occhiata diversa da quella che mi ha lanciato Marjory. Neppure questa so cosa significhi.

— Lucia, perché non fai un incontro con Simon? — dice Tom. Lo guardiamo tutti.

Lucia ha la bocca semiaperta. La richiude con fermezza. — Benissimo — dice. — Da tanto tempo non ne facciamo. Che ne dici, Simon?

— Piacere mio — dice lui sorridendo.

Guardo Lucia e Simon. Lui è più bravo di lei, ma non sta segnando tutti i punti che potrebbe. È evidente che si sta battendo con una competenza adattata al livello di quella di Lucia, non facendo uso di tutta la sua abilità. È gentile da parte sua. Io sono conscio della vicinanza di Marjory, dell'odore delle foglie secche, dell'aria fresca sulla mia nuca. Si sta davvero bene.

Alle nove comincia a far freddo sul serio. Rientriamo tutti e Lucia ci fa una cioccolata calda, la prima di quest'anno. Gli altri stanno parlando; io siedo con la schiena contro un puf di pelle verde e cerco di ascoltare mentre guardo Marjory. Lei usa molto le mani mentre parla. Un paio di volte le sventola in un modo che a me avevano insegnato fosse sintomo di autismo. Ho visto altra gente far questo, e mi sono sempre chiesto se fossero parzialmente autistici.

Adesso stanno parlando di tornei, di chi ha vinto, di chi ha perso, di chi era l'arbitro e di come la gente si comportava. Non riesco a registrare i nomi, non conosco quella gente. Il mio sguardo passa da Marjory a Simon a Tom a Lucia a Max e a Susan, cercando di seguire chi sta parlando e quando, ma non riesco ad anticipare quando uno sta per fermarsi e un altro sta per cominciare, anche perché ogni tanto ci sono delle pause e talvolta qualcuno comincia quando un altro sta ancora parlando.

Gradualmente comincio a notare che tutti s'interrompono quando parla Simon e lasciano a lui l'iniziativa della conversazione. Simon non interrompe quasi mai, ma nessuno interrompe lui. Uno dei miei insegnanti diceva che la persona che parlava indicava la persona che doveva parlare dopo di lei guardandola. A quell'epoca io di solito non potevo notare dove guardasse qualcuno a meno che non vi soffermasse gli occhi a lungo. Adesso invece posso seguire gli sguardi. Simon guarda quasi tutti. Max e Susan guardano sempre prima Simon. Tom guarda Simon la metà del tempo; Lucia circa un terzo del tempo.

Ma tutto succede molto in fretta, e io non capisco come loro possano insieme partecipare alla conversazione e al tempo stesso seguire tutte le interazioni.

Mi rendo conto che Marjory mi guarda e sento un gran calore al viso e al collo. Le voci degli altri si confondono e perdo la concentrazione. Vorrei nascondermi nell'ombra, ma non c'è ombra. Abbasso gli occhi. Cerco di ascoltare la sua voce, però lei non parla molto.

A un certo punto Simon dice che deve andare e si alza. Si alzano anche Tom e Max. Anch'io. Simon stringe la mano a Tom e dice: — Mi sono divertito. Grazie per l'invito.

Tom dice: — Sei sempre il benvenuto.

Max tende la mano e dice: — Grazie per essere venuto, è stato un onore.

Simon gliela stringe e dice: — Anche per me.

Io non so se porgere la mano o no, ma Simon me la porge e io la stringo, benché sia un gesto che non mi piace: è così privo di senso. Poi dice: — Grazie, Lou, sono stato lieto d'incontrarmi con te.

— Anch'io — dico.

Simon mi dà un colpetto al braccio col dito. — Spero che tu cambi idea a proposito dei tornei — dice. — È stato un piacere.

— Grazie — dico io.

Mentre Simon esce, Max dice: — Anch'io devo andare — e Susan si alza. Devo andare anch'io. Li guardo: i loro visi sembrano tutti amichevoli, ma così sembrava anche il viso di Don. Se uno di loro fosse in collera con me, come farei a capirlo?

Giovedì abbiamo avuto la prima riunione informativa con i dottori, e abbiamo potuto rivolgere loro domande. Ci sono due dottori, Ransome con i suoi capelli grigi e ricciuti e Handsel, con capelli neri lisci che sembrano incollati alla sua testa.

— Il trattamento è reversibile? — domanda Linda.

— Be'… no. Gli effetti che produce sono stabili.

— Così se non ci piacessero non potremmo ritornare alla nostra personalità normale?

Le nostre personalità non sono normali, tanto per cominciare, ma io non lo dico. Linda lo sa quanto me: forse stava scherzando.

— Ehm… no, probabilmente. Ma non vedo perché…

— Perché dovremmo volerlo? — dice Cameron. Ha il viso teso. — A me piace come sono adesso. Non so se mi piacerà quello che diventerò.

— Non dovrebbe essere molto diverso — spiega Ransome.

Ma ogni differenza è una differenza. Io non sono la stessa persona che ero prima che Don cominciasse a perseguitarmi. Non solo ciò che lui ha fatto, ma i miei incontri con gli agenti di polizia mi hanno cambiato. Ho saputo cose che prima non sapevo, e la conoscenza cambia la gente. Alzo una mano.

— Sì, Lou — dice Ransome.

— Non capisco in che modo il trattamento possa non cambiarci — dico. — Se renderà normali le nostre elaborazioni sensoriali, cambierà la quantità e la qualità degli stimoli registrati e cambierà le nostre percezioni e il nostro modo di elaborarle…

— Sì, ma tu… la tua personalità… rimarrà la stessa, almeno all'incirca. Ti piaceranno le stesse cose, avrai le stesse reazioni…

— E allora il cambiamento a cosa serve? — chiede Linda. — La sua voce suona irritata, ma io so che è più preoccupata che irritata. — Ci dicono che vogliono che noi cambiamo, in modo da non aver bisogno delle misure di sostegno che ci servono ora… ma se non ne avremo più bisogno, ciò significa che le nostre preferenze saranno diverse… o no?

— Io ho impiegato tanto tempo per imparare a sopportare il sovraccarico degli stimoli — dice Dale. — E se poi uno degli effetti del trattamento sarà che non riuscirò a registrare le cose che dovrei? — Il tic all'occhio sinistro è più accentuato che mai.

— Non credo che avverrà nulla di simile — risponde il dottore. — I primatologi hanno constatato solo cambiamenti positivi nell'interazione sociale.

— Io non sono un maledetto scimpanzè! — Dan sbatte la mano sul tavolo.

Il dottore sembra sbigottito. Ma perché dovrebbe sorprendersi per il fatto che Dale sia rimasto urtato? A lui piacerebbe se presumessero il suo comportamento basandosi sugli studi dei primatologi circa gli scimpanzè? O forse le persone normali fanno proprio questo, vedono se stesse come somiglianti agli altri primati? Non posso crederlo.


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