Ma adesso, dopo l'attentato di Don, io vedo il buio, più veloce della luce, che fluisce dalla canna della pistola per attirarmi al suo interno, al di là della luce, per sempre.

Sono vivo, però. Sono nella luce. Il buio questa volta non è stato più veloce. Tuttavia io mi sento inquieto, come se mi stesse dando la caccia avvicinandosi sempre più dietro di me, dove non posso vederlo.

Siedo in fondo alla chiesa, ma dietro di me c'è uno spazio aperto. Di solito non mi disturba, però oggi vorrei che lì ci fosse un muro.

Cerco di concentrarmi sulla luce, sul movimento lento dei raggi colorati che si accorciano e scivolano all'indietro man mano che il sole si alza. In un'ora la luce si muove a una distanza che tutti possono vedere, ma in realtà non è la luce che si muove, è il pianeta. Me ne dimentico e uso il modo di parlare comune proprio come tutti gli altri, e provo un brivido di gioia ogni volta che ricordo che la Terra si muove.

Si muove entrando nella luce e uscendo fuori di essa. È la nostra velocità e non la velocità della luce o del buio che crea i nostri giorni e le nostre notti. Fu la mia velocità o quella di Don a portarci ambedue nel buio dove lui voleva farmi del male? È stata la mia velocità a salvarmi?

Cerco di nuovo di pensare a Dio e la luce indietreggia abbastanza da illuminare la croce di ottone sul suo piedistallo di legno. Il bagliore del metallo giallo contro le ombre viola che gli fanno da sfondo è così meraviglioso che per un istante mi manca il fiato.

In questo luogo la luce è sempre più veloce del buio; la velocità del buio non importa.

— Eccoti qui, Lou!

La voce mi sorprende. Sobbalzo ma riesco a sorridere alla donna dai capelli grigi che mi porge un volantino con il testo della funzione. Di solito mi rendo conto meglio del tempo che passa e della gente che arriva. Anche lei mi sorride.

— Non volevo spaventarti — dice.

— Non importa — la rassicuro. — Stavo solo pensando.

Adesso mi sono riscosso e osservo la gente che arriva. Il vecchio che cammina con due bastoni e siede in prima fila. Soleva venire con sua moglie, ma lei è morta quattro anni fa. Le tre vecchie che vengono sempre insieme e siedono in terza fila a sinistra. La gente continua ad arrivare, a gruppi di due o tre o quattro o a uno a uno. Vedo la testa dell'organista sparire dietro l'organo. Poi comincia la musica.

Mia madre diceva che era sbagliato andare in chiesa solo per la musica, ma questa non è la sola ragione che mi spinge ad andarci. Ci vado per imparare a essere una persona migliore. Però la musica è una delle ragioni per cui frequento questa chiesa. Oggi è ancora il turno di Bach (il nostro organista ama Bach) e la mia mente afferra senza sforzo le molte fila dello schema e le segue nello svolgersi della composizione.

Sentire la musica così, dal vivo, è diverso dal sentire una registrazione. Mi fa sentire più consapevole dello spazio in cui ci troviamo: sento il suono rimbalzare dalle pareti formando armonie che sono peculiari di questo ambiente. Ho sentito Bach anche in altre chiese e la sua musica forma sempre armonie e mai disarmonie. Questo è un grande mistero.

La musica s'interrompe. Sento un mormorio dietro di me: il clero e il coro si stanno mettendo in fila. Apro il libro degli inni e trovo il numero dell'inno che accompagna la processione. L'organo riattacca suonando la prima frase e poi le voci si levano. Io leggo le parole e canto come meglio posso.

Dopo l'inno c'è una preghiera che recitiamo tutti. Ne conosco le parole a memoria, le ho conosciute fin da quando ero piccolo. Un'altra ragione per cui frequento questa chiesa è la prevedibilità e l'ordine delle funzioni. Posso pronunciare le parole note senza inciampo, posso esser pronto a sedere o alzarmi o inginocchiarmi, parlare o cantare o ascoltare senza sentirmi impacciato e goffo. Quando vado in altre chiese mi preoccupo più di fare la cosa giusta al momento giusto che di Dio. Qui la routine mi aiuta ad ascoltare meglio ciò che Dio vuole che io faccia.

A casa leggo le letture in anticipo, sul calendario che la chiesa distribuisce ogni anno. Oggi però, quando si arriva alla lettura del Vangelo, vedo che c'è stato un cambiamento: invece di un passo di Matteo ce n'è uno di Giovanni. Seguo sul volantino il passo che il sacerdote legge a voce alta. È la storia dell'uomo che giaceva presso la piscina di Bethesda, l'uomo che voleva guarire ma non aveva nessuno che lo calasse nella piscina. Gesù gli chiese se davvero voleva esser guarito.

A me era sempre sembrata una domanda sciocca. Perché mai l'uomo avrebbe dovuto sostare presso la piscina se non voleva essere guarito? Perché avrebbe dovuto lamentarsi di non aver nessuno che lo calasse nell'acqua se non voleva essere guarito?

Ma Dio non fa domande sciocche. Quindi la domanda non può essere sciocca, e allora cosa significa?

Il nostro sacerdote comincia la predica. Sto ancora cercando d'indovinare quale significato possa avere una domanda in apparenza sciocca quando la sua voce fa eco ai miei pensieri.

— Perché Gesù chiede all'uomo se vuole esser guarito? Non è un nonsenso? L'uomo giace lì in attesa di una possibilità di guarigione… Certo che vuole esser guarito!

Esatto, penso io.

— Se Dio non sta cercando di farci uno scherzo o dicendo sciocchezze, allora cosa significa quella domanda: "Vuoi essere guarito?". Guardate dove troviamo quell'uomo: accanto a una piscina nota per i suoi poteri curativi, dove "un angelo viene e agita l'acqua di tanto in tanto…" e gli ammalati devono calarsi nell'acqua quando si agita. Dove, in altre parole, gli ammalati sono dei pazienti pazientissimi in attesa che la cura si manifesti. Sanno, perché gliel'hanno detto, che il modo di guarire è calarsi nell'acqua quando questa si agita. Non aspettano altro… Si trovano in quel luogo a quell'ora in cerca non solo di guarigione, ma di una guarigione che si verifichi in quel modo particolare.

"Nel mondo di oggi noi potremmo dire che sono come le persone le quali credono che un certo medico, uno specialista di fama mondiale, possa guarirle dal cancro. Vanno quindi all'ospedale dove quel medico esercita, vogliono essere curate da lui, perché sono sicure che solo così potranno riacquistare la salute.

"Così il paralitico si concentra sulla piscina, sicuro che il solo aiuto di cui ha bisogno sia di essere calato nell'acqua al momento giusto.

"La domanda di Gesù, dunque, stimola l'uomo a considerare se davvero vuole star bene o se vuole la particolare esperienza di entrare nella piscina. Se potesse venir guarito senza di essa, accetterebbe la guarigione?

"Alcuni predicatori hanno discusso questa storia come un esempio di paralisi indotta, paralisi isterica… se l'uomo vuol restare paralizzato, tale resterà. Io invece credo che la domanda posta da Gesù prenda di mira un problema cognitivo, non un problema emotivo. Può l'uomo liberarsi dai paraocchi? Può accettare una guarigione che non è quella che si aspetta? Una guarigione che comincerà dentro di lui e farà più che risanargli le gambe e la schiena, una guarigione che passerà dallo spirito e dalla mente al corpo?"

Mi chiedo cosa direbbe l'uomo se non fosse paralitico ma autistico. Andrebbe anche lui alla piscina per guarire? Cameron lo farebbe. Ma io non credo di aver bisogno di essere guarito, non dall'autismo. Altra gente vuole che io guarisca, non io in persona. Mi chiedo se quell'uomo aveva una famiglia che magari era stanca di portarlo in giro in una lettiga. Mi chiedo se aveva genitori che dicevano: "Il meno che puoi fare è cercare di guarire" o una moglie che diceva: "Su, tenta, male non ti può fare" o bambini scherniti dagli altri bambini perché il loro padre non poteva camminare. Mi chiedo se altre persone che andavano in quella piscina non lo facessero perché loro volevano guarire ma perché la loro gente voleva che guarissero e smettessero di essere dei pesi.


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