E le parole che la Nuotatrice pronunciò subito dopo furono una diretta conferma di questo suo timore.

«Tu non sei di Khondor,» disse lei, «Anche se il tuo corpo somiglia molto a quello di un Khond. Qual è il tuo paese?»

Una rude voce maschile fece subito eco a quella di lei.

«Sì, qual è, straniero?»

Carse si voltò, lentamente, e vide che il grande schiavo Khond, il terzo uomo incatenato al suo remo, lo stava fissando duramente, con una mescolanza di ostilità e di sospetto.

Senza lasciargli il tempo di rispondere, l’uomo proseguì:

«Si era diffusa la voce che tu fossi una spia Khond catturata nella città, ma questa è una menzogna. È assai più probabile che tu sia un Jekkariano, travestito da Khond e messo qui, in mezzo a noi, dai Sark.»

Un sordo brontolio ostile corse lungo i banchi dei rematori.

Carse aveva capito già da prima che avrebbe dovuto dare una spiegazione intorno alla sua origine e alla sua razza, e che avrebbe dovuto fornire una spiegazione plausibile; e la sua mente aveva lavorato alacremente, e con estrema rapidità. Perciò non si trovò impreparato, ora, di fronte a quella domanda, e rispose subito:

«Io non sono un Jekkariano, ma vengo da una tribù che vive al di là del Shun. Da un luogo così lontano, che mi sembra ora di vivere in un altro mondo, un mondo completamente diverso dal mio.»

Il grande Khond lo fissò, e annuì, sia pure conservando un’ombra di sospetto.

«Può darsi che tu dica la verità,» ammise, con un borbottio. «Il tuo aspetto è strano, e parli con un accento ancor più strano. Per quale motivo tu e questo grasso maiale di Valkis siete finiti a bordo?»

Boghaz si era svegliato, nel frattempo, e fu il grasso Valkisiano a rispondere, precipitosamente:

«Il mio amico e io siamo stati ingiustamente accusati di furto dai Sark! Un’accusa mostruosa… e quale infamia, quale vergogna! Io, Boghaz di Valkis, un uomo la cui onestà è certa come il sorgere del sole e delle lune, accusato di essere un volgare furfante! Ah, che orribile oltraggio alla giustizia!»

Il Khond sputò in un angolo, con aria disgustata, e voltò la testa.

«L’avevo immaginato,» borbottò.

Dopo qualche tempo, mentre la galera continuava ad avanzare sul mare di latte, con le vele turgide nel vento, Boghaz colse l’opportunità per sussurrare in un orecchio a Carse:

«Adesso sono convinti che noi siamo due ladri, condannati per qualche comune ruberia. Ed è meglio, è molto meglio che continuino a pensare così, amico mio!»

«E tu cosa sei, se non un ladro?» rispose brutalmente Carse.

Boghaz lo studiò astutamente, socchiudendo gli occhietti porcini.

«E tu, allora, che cosa sei, amico?»

«Mi hai sentito… io vengo da un paese lontano, che si trova al di là del Shun.»

Un paese lontanissimo davvero, al di là del Shun, e al di là di quel mondo, pensò cupamente Carse. Da un altro mondo e da un altro tempo, di là dallo spazio, e di là dall’oscuro fiume dell’eternità. Ma sapeva bene che non avrebbe potuto rivelare a quella gente l’incredibile verità sulla propria origine.

Il grasso Valkisiano si strinse nelle spalle.

«Se ci tieni a insistere su questa versione, per me va bene. Il fatto che io mi fidi di te dovrebbe essere implicito. Non siamo forse soci?»

Suo malgrado, Carse non poté reprimere un amaro sorriso, a quella incredibile domanda. Dopotutto, nell’impudenza di quel grasso furfante c’era qualcosa di divertente… qualcosa che riusciva a farlo sorridere, perfino nella situazione in cui si trovava.

Boghaz notò subito il sorriso.

«Ali, vedo che tu stai pensando al mio disgraziato tentativo di violenza nei tuoi confronti di questa notte. Devi credermi, è stata colpa della mia indole impulsiva. Dobbiamo dimenticarlo. Io, Boghaz, l’ho già dimenticato,» aggiunse infine, magnanimo.

«Rimane il fatto che tu, amico mio, possiedi il segreto…» abbassò ancor più la sua voce, riducendola a un lievissimo bisbiglio nell’orecchio di Carse, «…della Tomba di Rhiannon. È una fortuna che la grande ignoranza di Scyld gli abbia impedito di riconoscere quella spada! Perché il segreto, sfruttato bene, potrà fare di noi gli uomini più ricchi e potenti di Marte!»

Carse gli domandò:

«Perché la Tomba di Rhiannon è così importante?»

La domanda colse di sorpresa Boghaz, e il grasso Valkisiano non riuscì a dissimulare il suo sbalordimento. Trasalì, spalancò gli occhi, e disse:

«Vuoi farmi credere addirittura di non sapere nemmeno questo?»

Con voce blanda, Carse gli ricordò:

«Non hai sentito? Io vengo da un luogo così lontano, che questo, per me, è un mondo completamente nuovo.»

Il grasso volto di Boghaz mostrò una mescolanza di incredulità e di sorpresa, e una crescente perplessità. Lo fissò a lungo, e alla fine si strinse nelle spalle, e disse:

«Non riesco a decidere se tu sei veramente quel che dici di essere, o se fingi tutta questa abissale ignoranza per qualche tuo motivo personale.» Si strinse di nuovo nelle spalle. «In ogni modo, potresti sapere presto la storia dagli altri. Perciò, tanto vale che te la dica io.»

Cominciò a parlare rapidamente, sempre a voce bassa, e per tutto il tempo il suo sguardo non si staccò dal volto di Carse, come se il grasso Valkisiano avesse voluto penetrare il mistero del terrestre, o avesse voluto scoprirne le reazioni segrete.

«Perfino il barbaro vissuto nel più remoto dei paesi deve aver sentito parlare dei superuomini Quiru, che moltissimo tempo fa possedevano tutto il potere e la scienza, ed erano i depositati dei segreti dell’Antica Scienza, e di come il Maledetto tra loro, Rhiannon, peccasse grandemente, insegnando troppa sapienza ai Dhuviani.

«A causa delle conseguenze di questo peccato, i Quiru lasciarono il nostro mondo, andandosene in un luogo che nessuno conosce. Ma prima di partire, essi presero il peccatore Rhiannon, e lo rinchiusero in una tomba segreta, e insieme a lui seppellirono gli strumenti del suo spaventoso potere.

«C’è forse da stupirsi, se per un’era tutto Marte ha cercato quella Tomba in ogni luogo? È strano, forse, che l’Impero di Sark e i Re del Mare siano entrambi disposti a tutto, pur di entrare in possesso della potenza perduta del Maledetto? E ora che tu hai scoperto la tomba, io, Boghaz, dovrei forse biasimarti per la prudenza che usi nel proteggere il tuo segreto?»

Carse ignorò quell’ultima frase, che riproponeva in maniera velata la domanda che stava a cuore al grasso Valkisiano. Perché la sua mente stava ricordando… stava ricordando quegli strani strumenti, misteriosi arabeschi di gioielli e di prismi e di metalli sconosciuti, che egli aveva visto nella Tomba di Rhiannon, quando era emerso dall’abisso del tempo… quegli oggetti che non c’erano stati nel suo tempo, quando il suo viaggio aveva avuto inizio.

Erano stati quelli, dunque, i segreti di una scienza antichissima e grandiosa… una scienza perduta da epoche immemorabili, perfino in quel remoto passato, su quel pianeta Marte ridotto a uno stato semibarbaro? Era possibile che l’ipotesi considerata assurda dai più grandi archeologi del suo tempo… e cioè che fosse esistita un’età d’oro della scienza, su Marte, ancor prima dell’epoca alla quale risalivano le nebulose leggende tramandate per un milione di anni, e che quella scienza fosse andata perduta?

Interruppe il corso dei suoi pensieri, e domandò:

«Chi sono i Re del Mare? Da quanto mi hai detto, immagino che essi siano nemici di Sark.»

Boghaz annuì.

«Sark governa le terre a est, a nord e a sud del Mare Bianco. Ma a occidente esistono alcuni piccoli regni liberi abitati da feroci predoni del mare, come i Khond, e i loro Re del Mare sfidano la potenza di Sark.» Scosse più volte il capo, e aggiunse, «Sì, e ci sono molti uomini, anche nella mia terra, l’assoggettata Valkis, e altrove, che odiano in segreto Sark, a causa dei Dhuviani.»

«I Dhuviani?» ripeté Carse. «Ne hai già parlato prima. Chi sono?»


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