Carse rimaneva in piedi sul ponte, con le mani appoggiate alla balaustra, e osservava, con il volto cupo e teso. Il gioco era finito. Le snelle navi da guerra di Khondor si stavano preparando all’ultimo sforzo, già acquistavano velocità, mentre i loro rematori, numerosi e in grado di darsi il cambio, si preparavano a usare tutte le loro forze, per raggiungere la preda, e colmare l’esigua distanza che ancora li divideva da essa…

Improvviso, secco, il grido giunse nell’aria torrida, dall’albero maestro.

«Vela a prua!»

Carse si girò di scatto, seguendo la linea indicata dal braccio puntato della vedetta, che si sporgeva dalla coffa.

«Navi di Sark!»

E le vide, a prua, tre superbe galere da guerra della flotta costiera di Sark, alte prue che fendevano veloci le acque, sospinte da una battuta ritmica, forte, sicura. Balzando avanti, fino alla passerella della fossa dei rematori, Carse gridò agli uomini:

«Remate, cani! Usate tutte le forze che vi restano! Stanno arrivando i rinforzi!»

Gli uomini esausti ricorsero alle ultime e più riposte riserve di energia. La galera aumentò la velocità di navigazione, in un ultimo, disperato sussulto. Ywain salì sul ponte, e venne accanto a Carse.

«Siamo vicini a Sark, ormai, Signore Rhiannon. Se riusciamo a conservare il vantaggio, ancora per poco…»

I Khond si avvicinavano, in un impeto furibondo, disperato, uno sforzo di tutti i rematori per raggiungere e speronare la nera galera di Sark prima che fosse troppo tardi, prima che i rinforzi della guardia costiera di Sark potessero raggiungerla, e rendere vana la lunga caccia. Ma ormai, per i Khond, era troppo tardi.

Le navi costiere di Sark passarono accanto alla galera, veloci come pesci. Proseguirono, attaccando le imbarcazioni di Khondor, e l’aria torrida si riempì di grida, vibrò profondamente mentre le corde degli archi scagliavano i loro dardi, e si udì il terribile rumore di remi che si spezzavano, mentre un’intera murata cadeva sotto un violento colpo d’ariete.

Cominciò un’aspra, impetuosa battaglia, che proseguì per tutto il pomeriggio. Disperatamente, i Khond resistevano, tenevano saldamente la loro posizione, e non volevano farsi respingere dal nemico. Le navi Sark si unirono, intorno alla galera, formando una mobile parete difensiva. E di quando in quando i Khond attaccavano, con gli scafi veloci che avanzavano fulminei, come lance, tentando di sfondare le difese in qualche punto apparentemente più debole; ma erano sempre respinti dalle forze di Sark. Le navi costiere portavano a bordo delle grandi baliste, e Carse assisté, impotente, allo spettacolo di navi Khond colpite da grandi massi lanciati nell’aria, che affondarono con grandi falle nella chiglia.

Cominciò a spirare una lieve brezza. Le vele della galera la raccolsero, e si gonfiarono, e la nera nave da guerra avanzò più veloce. In quel momento, cominciarono a saettare per l’aria le frecce incendiarie, punte infuocate che cercavano le grandi vele gonfie, per arderle e distruggerle. Due delle navi di scorta si ritirarono, con le vele e il sartiame in fiamme, ma anche i Khond subirono gravi perdite. Ne erano rimaste soltanto tre, delle sette navi di Khondor che avevano composto la vedetta, e quelle tre continuavano a combattere coraggiosamente, con l’audacia di chi ha compreso come la sua situazione sia ormai priva di speranza. Ormai la galera aveva acquistato un buon vantaggio, e stava ancora accelerando.

Giunsero finalmente in vista della costa Sark, una bassa linea nera che dominava le acque. E poi, con grande sollievo di Carse, dalle rade nascoste nella terraferma uscirono delle altre navi, che vennero verso di loro, attirate certamente dal combattimento. A quella vista, i tre velieri di Khondor invertirono finalmente la rotta, e fuggirono via.

Fu tutto facile, dopo questi eventi. Ywain era ritornata in patria, là dove era l’orgogliosa Signora alla quale tutti obbedivano. Dalle altre navi vennero fatti salire a bordo della galera dei rematori freschi, e un’imbarcazione snella e veloce li precedette, per portare alla terraferma la notizia dell’attacco dei Re del Mare, e della venuta di Ywain.

Ma il fumo che saliva dalle lunghe navi di Khondor, a poppa della galera, macchiando l’uniforme splendore delle acque e del cielo, era uno spettacolo doloroso agli occhi di Carse. Egli guardò all’orizzonte la gran massa di vele della flotta dei Re del Mare, e sentì l’immenso peso della battaglia che stava per scatenarsi, la forza terribile di uno scontro il cui esito era scontato in partenza. In quei momenti, gli parve che non vi fossero più speranze.

Finalmente, essi giunsero nel grande porto di Sark. Era quasi sera. Un ampio estuario offriva riparo e ancoraggio a un grandissimo numero di navi, e su entrambe le rive del canale interno la città si stendeva, ricca, arrogante e potente come la sua principessa.

Era una città la cui massiccia arroganza era degna degli uomini che l’avevano costruita. Carse vide grandi, splendenti templi, e la torva, indescrivibile magnificenza del palazzo, che dominava la città e la rada dall’alto della più alta collina. Gli edifici erano quasi torvi e minacciosi, costruiti com’erano in grandi blocchi massicci e solidi e le loro forme si stagliavano contro il cielo, orgogliose, in un succedersi di colori e di sfumature che ben si adattavano all’architettura dominante, fatta anch’essa di solidità e potenza.

L’intera rada, dalle acque ai moli del porto, era già pervasa da un’attività febbrile. L’annuncio dell’approssimarsi dei Re del Mare aveva fatto scattare il dispositivo di difesa, a terra, e le navi si preparavano a salpare per il mare aperto, gli uomini salivano a bordo, mentre le fortificazioni venivano rinforzate da altre centinaia di uomini… e sulle onde giungeva l’eco del fragore e del tumulto di una città che si stava preparando alla guerra.

Boghaz, accanto a Carse, borbottò:

«Siamo pazzi, a gettarci nella gola del drago come stiamo facendo. Se non riuscirai a sostenere fino in fondo la parte di Rhiannon, se commetterai anche il minimo errore…»

Carse disse, con sicurezza apparente:

«Non farò errori. In questi giorni, ho avuto modo di fare una certa pratica, nell’arte d’impersonare il Maledetto!»

Ma, interiormente, egli era scosso. Di fronte alla massiccia potenza di Sark, gli pareva che fosse una folle insolenza tentare di recitare in un luogo simile la parte di un dio.

C’era una gran folla festante, nel porto, una folla che salutò Ywain con selvagge manifestazioni di esultanza, quando la Signora di Sark sbarcò dalla nera galera. E tutti guardarono con visibile stupore la figura alta dell’uomo che le stava accanto, un uomo che aveva l’aspetto di un Khond, ed era armato di una grande spada.

Essi furono subito circondati da un drappello di soldati, che aprirono loro un varco tra la folla eccitata. Il clamore dei festeggiamenti li seguì, quando essi attraversarono le strade della città, tra due ali di popolo plaudente, dirigendosi verso la sagoma torva e massiccia dello splendido palazzo, su per la collina.

Infine, entrarono nelle fresca, quieta penombra dei corridoi del palazzo. Carse camminò attraverso immensi saloni riecheggianti, dai pavimenti intarsiati e dalle colonne massicce, che reggevano gigantesche volte d’oro puro e sfavillante. Egli notò che l’emblema del serpente era uno dei temi dominanti, nella decorazione dei locali.

In quei momenti, Carse provava il desiderio di avere con sé Boghaz. Era stato costretto, per amore delle apparenze, a lasciare indietro il grasso ladro Valkisiano, e ora, attraverso quell’immenso palazzo, dove i suoi passi echeggiavano cupi nel profondo silenzio, egli provava un terribile senso di solitudine, si sentiva solo come mai si era sentito, neppure dopo il suo arrivo in quello strano, tumultuoso mondo del remoto passato.

Quando giunsero davanti ai fantasmagorici portali d’argento della sala del trono, le guardie che li scortavano si fermarono. Un ciambellano, che indossava l’armatura sotto un ampio mantello di velluto, si fece avanti, per salutare Ywain.


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