«Che le benedizioni degli dèi siano con te, straniero,» mormorò Emer, e lo baciò dolcemente sulle labbra.
Poi uscì, e i festanti Re del Mare la seguirono. Anche Boghaz era scivolato fuori, furtivamente, e Carse e Ywain rimasero soli, nella grande, solenne sala vuota.
Allora andò da lei, e la guardò negli occhi, e vide che quegli occhi non avevano perso l’antico fuoco neppure ora.
«E tu dove andrai, ora?» le domandò.
Lei rispose, sommessamente:
«Se mi vuoi, verrò con te.»
Lui scosse il capo.
«No. Tu non potresti vivere nel mio mondo, Ywain. È un luogo crudele e amaro, vecchissimo, e vicino alla morte.»
«Non importa. Anche il mio mondo è morto.»
Le posò le mani sulle spalle, sentendone la forza, sotto la maglia di ferro dell’armatura.
«Tu non capisci. Io vengo da molto lontano, attraverso il fiume del tempo. Il mio mondo dista da qui milioni di anni.» Fece una pausa, perché non sapeva in quale modo avrebbe potuto spiegarle la verità.
«Guarda… guarda là fuori. Pensa a come sarà, quando il Mare Bianco sarà solo un deserto di polvere portata dal vento… quando il verde se ne sarà andato dalle colline, e le città bianche saranno ridotte in rovina, e il letto dei fiumi sarà asciutto, e le rive brulle e pietrose.»
Ywain capì, e sospirò profondamente.
«Alla fine, la vecchiaia e la morte giungono per tutti. E la morte giungerà molto presto, per me, se rimango qui. Ormai sono bandita, e il mio nome è odiato quanto quello di Rhiannon.»
Capì che lei non aveva paura della morte, ma che si serviva semplicemente di quell’argomento per convincerlo.
Eppure, quel che diceva era vero.
«Potresti essere felice,» le chiese, «Con il ricordo del tuo mondo che ti giungerà, ossessionante e strano, a ogni passo?»
«Non sono mai stata felice,» rispose lei. «E perciò non sentirò la mancanza di nulla.» Lo guardò, e il suo sguardo era sincero. «Sono pronta a correre il rischio. E tu?»
Allora, la stretta delle dita di Carse si fece più forte.
«Sì,» le disse, a bassa voce. «Sì, lo farò.»
La prese tra le braccia, e la baciò, e quando alla fine lei si ritrasse gli mormorò, con una dolcezza del tutto nuova, in lei:
«Il ’Signore Rhiannon’ ha detto il vero, quando mi ha fatto oggetto del suo sarcasmo a proposito del barbaro.» Tacque per un momento, e poi aggiunse, «Io penso che non avrà importanza il mondo in cui vivremo, finché saremo insieme.»
Alcuni giorni più tardi, la galera nera entrò nel porto di Jekkara, issando per l’ultima volta lo stendardo di Ywain di Sark.
Fu una strana accoglienza, quella che lei e Carse ricevettero là, dove l’intera città si era radunata per vedere lo straniero, che era anche il Maledetto, e la regina di Sark, che non era più regina. La folla si tenne a rispettosa distanza, e tutti acclamarono alla distruzione di Caer Dhu e alla morte del Serpente. Ma per Ywain non ci fu un solo grido di benvenuto.
Soltanto un uomo si fece avanti, sul molo, quando essi sbarcarono. Era Boghaz… uno splendido Boghaz in abiti di velluto, carico di enormi, preziosi gioielli, e con una splendida corona d’oro in testa.
Boghaz era scomparso da Sark, nello stesso giorno in cui era stata conclusa la pace, dicendo di avere affari privati da sbrigare; e, a quanto pareva, gli affari erano andati bene, qualunque fosse stata la loro natura.
Egli s’inchinò profondamente a Carse e a Ywain, facendo sfoggio di magniloquente cortesia.
«Sono stato a Valkis,» spiegò. «Ora è di nuovo una città libera… e grazie all’eroismo senza pari da me dimostrato nella distruzione di Caer Dhu, mi hanno eletto re.»
Sorrise, e sul suo volto di luna piena c’era un’espressione di felicità radiosa, e poi aggiunse, con un sogghigno confidenziale:
«È sempre stato il mio sogno, quello di rubare un tesoro reale!»
«Ma adesso,» gli ricordò Carse, «Quel tesoro è tuo.»
Boghaz trasalì.
«Per gli dèi, è vero!» Drizzò le spalle, e sul suo volto si dipinse un’espressione di ferrea determinazione. «Ah, ci penserò io, affinché Valkis sia ripulita da ogni genia di ladri! Ci saranno pene severissime per ogni delitto contro la proprietà… specialmente, contro la proprietà del Re!»
«E, fortunatamente,» aggiunse Carse, con un sorriso, «Tu hai una certa familiarità con tutti i trucchi dei ladri, vero?»
«Questo è vero,» disse, in tono cattedratico. «Ho sempre detto che il sapere è una cosa preziosa. Ora puoi vedere come i miei studi sugli elementi che vivono fuori della legge mi aiuteranno a garantire la sicurezza del mio popolo!»
Li accompagnò attraverso tutta Jekkara, fino a quando non raggiunsero l’aperta campagna, e là li salutò, con visibile commozione. Sfilò dal dito un anello, che mise nella mano di Carse. Delle grosse lacrime scorrevano sulle guance grasse del Valkisiano.
«Porta questo anello, vecchio amico, per ricordare sempre Boghaz, che ha guidato saggiamente i tuoi passi in un mondo straniero.»
Si voltò, e s’allontanò, con un passo malfermo, e Carse lo seguì con lo sguardo, fino a quando la grassa figura di Boghaz non scomparve nelle strade della città ove si erano incontrati per la prima volta.
Soli, Carse e Ywain percorsero la lunga strada tra le colline di Jekkara, fino al luogo in cui si trovava la Tomba. Insieme, indugiarono allora sulla piattaforma rocciosa, a guardare l’ondulata distesa delle verdi colline boscose e il lontano biancheggiare lucente del mare, e le torri della città, bianche nella luce del sole.
«Sei ancora certa di voler lasciare tutto questo?» domandò Carse.
«Qui non c’è più posto per me,» rispose lei, con voce triste. «Desidero liberarmi di questo mondo, come questo mondo desidera liberarsi di me.»
Lei si voltò, ed entrò, senza esitare, nel corridoio oscuro. Ywain, l’orgogliosa Ywain, che neppure gli dèi potevano piegare. Carse andò con lei, impugnando una torcia accesa.
Attraverso il corridoio riecheggiante, e al di là della porta sulla quale era incisa la maledizione di Rhiannon, nella camera interna, dove il chiarore fumoso della torcia si fermò contro le tenebre… le tenebre assolute, impenetrabili, di quello strano varco nel continuum spazio-temporale dell’universo.
All’ultimo momento, il volto di Ywain mostrò paura, e lei afferrò la mano del terrestre. Le scintille danzanti si muovevano e riverberavano davanti a loro, nella profonda oscurità del tempo. La voce di Rhiannon parlò a Carse, ed egli fece un passo avanti, entrando nelle tenebre, stringendo forte la mano di Ywain.
Questa volta, dapprima, non ci fu lo spaventoso tuffo nelle tenebre, l’orribile, tremendo precipitare in un abisso senza confini. La sapienza di Rhiannon li guidava e dava loro forza. La torcia si spense. Carse la lasciò cadere. Il suo cuore batteva più forte, e lui era cieco e sordo, in quel vortice di forza.
E Rhiannon parlò di nuovo:
«Guarda, ora, con la mia mente, ciò che i tuoi occhi umani non hanno potuto vedere la prima volta!»
L’oscurità pulsante parve schiarirsi, in una maniera strana, che nulla aveva a che fare con la luce o con la vista. E Carse vide Rhiannon.
Il suo corpo era disteso in una bara di nero cristallo, dalle mille sfaccettature interne che sfavillavano riflettendo la strana energia che lo teneva prigioniero per l’eternità, raggelato nel cuore di una gemma preziosa.
Attraverso quella nebulosa sostanza, Carse poté distinguere, fievolmente, una forma nuda, di una bellezza e di una forza che trascendevano la dimensione umana, così vitale pervasa di vita che pareva terribile tenerla prigionierara là, in quello spazio angusto. E anche il volto era bello, di una bellezza maestosa, un volto cupo e imperioso e forte, pur se ora aveva gli occhi chiusi, come nel sonno della morte.
Ma la morte non poteva esistere, in quel luogo. Era al di là del tempo, e senza tempo non poteva esistere decomposizione, e Rhiannon avrebbe avuto tutta l’eternità davanti a sé, per giacere in quella bara, a ricordare il suo peccato.