Perché dunque non tentare? Perché non dimenticare i miei guai? Un bel sonno era una soluzione migliore del suicidio o della Legione Straniera, e mi avrebbe liberato allo stesso modo dai miei pensieri e dai contatti con le persone che mi avevano rovinato la vita. Dunque, perché no? Quello che ora mi interessava soprattutto era dormire tanto da essere sicuro di svegliarmi in un mondo in cui non ci fossero più Belle Darkin e Miles Gentry, ma specialmente Belle Darkin. Se Belle fosse stata morta e sepolta avrei potuto dimenticarla, dimenticare quello che mi aveva fatto, cancellarla dalla mia esistenza, invece che mangiarmi il cuore come facevo adesso sapendo che era viva, bellissima, e che abitava a pochi chilometri da lì.
Vediamo un po’, quanto avrei dovuto dormire? Belle aveva ventitré anni, o così dichiarava, ma ricordo che una volta, senza rendersene conto, aveva detto di aver visto Roosevelt presidente. Comunque, non ne aveva più di trenta. Se avessi dormito settant’anni, al mio risveglio lei sarebbe stata sicuramente sottoterra.
Ma poi mi ricordai dei grandi progressi fatti in quegli anni nella geriatria. Ormai si parlava di centovent’anni come di «durata normale» della vita. Dunque avrei dovuto dormire un secolo tondo, ma non ero certo che esistesse una compagnia disposta a offrirmi un contratto su quella base.
L’idea che mi venne subito dopo, diabolica, e ispirata dal calore dell’alcol, mi parve la migliore di tutte. Perché dormire finché lei non fosse morta? Non sarebbe stato molto meglio se avessi dormito quel tanto che mi consentisse di vederla vecchia, mentre io sarei stato ancora giovane? Una trentina d’anni bastavano, quindi.
Una zampa soffice come un fiocco di neve si posò sul mio braccio. — Mrrr! — chiamò Pete.
— Ancora birra? Stai esagerando! — lo sgridai, versandogliene ancora un po’ nel piattino. Lui mi ringraziò, aspettò educatamente che finissi di versarla, poi si mise a leccare di lena. Ma il suo intervento aveva fatto germogliare in me un altro pensiero. Che cosa fare di lui?
Non si può regalare un gatto con la stessa disinvoltura con cui si regala un cane. I gatti non si adattano ai cambiamenti. Talvolta si può cedere un gatto assieme alla casa in cui vive, perché il gatto ha bisogno di qualcosa di fisso e di stabile nella sua esistenza. Nel nostro caso, poiché non avevamo fatto che andare da un posto all’altro fin da quando l’avevo preso da sua madre, nove anni prima, ero io il punto fisso e immutabile nella vita di Pete. Ero riuscito perfino a tenerlo con me sotto le armi.
Avrei potuto pagare un veterinario perché lo uccidesse in modo indolore… Neanche pensarci! Oppure avrei potuto abbandonarlo… Succede proprio così, con i gatti: o si rispetta l’obbligo assunto prendendone uno e non lo si lascia mai, o lo si abbandona, e il poverino, distrutta la sua fede nella giustizia, diventerà selvatico.
Così aveva fatto Belle con me.
Andiamo, Danny, cerca di non pensarci! In quella, Pete mi distrasse una seconda volta con uno starnuto: s’era riempito il naso di schiuma. — Salute — gli risposi — ma cerca di bere più adagio.
Il cameriere, intento a ripulire oziosamente il banco, sentendomi parlare si voltò, e io mi affrettai a far rientrare Pete nella sua cuccia. Non avevo voglia di dare spiegazioni, e non ero sicuro che i regolamenti impartiti dalle autorità sanitarie permettessero di portare gatti a bere birra nei bar.
— Avete detto qualcosa? — chiese il cameriere. — Mi pareva di avervi sentito parlare.
— Sì, il conto — tagliai corto. — Ho bevuto abbastanza.
— Già — disse l’uomo filosoficamente. — Non si beve mai abbastanza per dimenticare quanto è triste la vita.
Appena fui uscito, diedi un colpetto sulla borsa e Pete si affrettò a tirare fuori la testa.
— Hai sentito quello che ha detto il cameriere, Pete? La vita è triste! Tanto più triste, poi, quando due amici non possono bere in santa pace scambiando due chiacchiere. Così ho deciso.
— Mao? — disse Pete.
— Sì, ho deciso, ed è inutile tergiversare!
— Mao! — assentì Pete con vigore.
— Dunque, siamo d’accordo. Basta attraversare la strada, e ci siamo.
La segretaria della Compagnia Mutua Assicurazioni era una bella ragazza, ma mi bastò pensare che al mio risveglio sarebbe stata grigia e rugosa come la Madre del famoso ritratto di Whistler, per non degnarla d’una seconda occhiata e chiederle subito che m’indirizzasse a chi di dovere.
— Sedetevi, prego — m’invitò la ragazza. — M’informo subito se uno dei nostri agenti è libero. — E prima che avessi potuto sedermi, aggiunse: — Il signor Powell vi aspetta. Da quella parte, prego.
L’ufficio del signor Powell mi fece subito pensare che le condizioni della Società dovevano essere assai floride. Lui mi porse da stringere una mano umidiccia; m’invitò a sedere, mi offrì una sigaretta e tentò, invano, di farmi deporre la borsa su un tavolino. — E ora, signore — chiese alla fine — che cosa posso fare per voi?
— Voglio il Lungo Sonno.
Powell inarcò le sopracciglia e mi guardò con accresciuto rispetto. Indubbiamente i clienti disposti a sottoscrivere una polizza di quel genere non s’incontravano tutti i giorni. — Saggia decisione — commentò con deferenza. — Vorrei poterlo fare anch’io, ma la famiglia, sapete… — Prese un foglio e continuò: — Di solito i clienti come voi non vogliono perdere tempo, quindi, ecco qua. Riempiamo questo modulo e poi, dopo una bella visita medica…
— Un momento — lo interruppi.
— Sì?
— Vorrei chiedervi una cosa. Avete gli impianti adatti per sottoporre a ibernazione un gatto?
Lui sussultò. — Volete scherzare — disse.
Io diedi un colpetto alla borsa, e Pete cacciò fuori la testa. — Vi presento il mio migliore amico. E adesso, per favore, rispondete alla mia domanda. In caso negativo mi rivolgerò alla Central Valley. Mi pare che abbia gli uffici qua sopra, o sbaglio?
Stavolta assunse un’espressione inorridita. — Signor… non ho capito bene il nome…
— Dan Davis.
— Signor Davis, quando un individuo ha oltrepassato la nostra soglia viene subito preso sotto la benevola protezione della Mutua. Non «posso» lasciarvi andare alla Central Valley.
— Come potrete impedirmelo? Con una mossa di judo?
— Eh? — disse lui, guardandosi intorno alla ricerca di aiuto. — Noi siamo gente per bene — balbettò.
— Perché, quelli della Central Valley sono mascalzoni?
— No, non volevo dire questo, signor Davis, ma…
— D’accordo. Ma, che cosa?
— …ma fatevi dare i prospetti di assicurazione da entrambe le Compagnie, poi sottoponeteli all’esame di un bravo avvocato perché li confronti…
— Signor Powell — lo interruppi — stiamo perdendo tempo inutilmente. Non avete ancora risposto alla mia domanda. La Mutua Assicurazioni accetta o non accetta il mio amico qui presente? In caso negativo ho perso fin troppo tempo in questi uffici.
— Dunque… volete pagare per preservare questa creatura mediante ipotermia?
— Voglio che io e lui si venga sottoposti al Lungo Sonno, e non chiamatelo «questa creatura». Si chiama Petronio.
— Scusate. Vi esporrò la domanda in altri termini. Siete disposto a pagare la somma necessaria perché sia voi sia Petronio veniate sottoposti a ibernazione nel nostro Centro?
— Sì, ma a una condizione: che ci mettiate insieme.
— È una proposta insolita, e…
— Certo, ma penseremo poi ai dettagli… altrimenti ne parlerò con quelli della Central Valley. Per il momento mi interessa solo sapere se accettate, in linea di massima, o no.
— Ecco — disse lui, tamburellando sul piano della scrivania con la punta delle dita — un momento. — Sollevò il ricevitore del telefono e disse: — Opal, passatemi il dottor Berquist, per favore. — Non potei sentire il resto della conversazione, perché lui applicò il silenziatore al microfono, ma poco dopo depose il ricevitore e si rivolse a me sorridendo come se gli fosse morto un vecchio zio molto ricco. — Buone notizie, signor Davis! M’ero dimenticato in un primo momento che in origine gli esperimenti vennero eseguiti sui gatti, e con ottimo esito. Anzi, al Centro Navale delle Ricerche di Annapolis hanno un gatto che ha vissuto più di vent’anni in ipotermia.