— Sentimi bene, Dan — mi interruppe Miles — ti concedo un anno e non un giorno di più!
— Miles, quando vorrai capirla che il direttore tecnico sono io? Quando sarà pronto e te lo consegnerò potrai farne quello che vorrai, ma non un secondo prima!
Miles rispose: — Per me continua a esserci troppo vermut.
Lavorai giorno e notte intorno a Sergio, fin quando somigliò meno a una macchina spiaccicata contro un albero e più a un aggeggio che una massaia non avrebbe avuto paura di vedersi per casa. Miles veniva di tanto in tanto in laboratorio a constatare i progressi. Io lavoravo per lo più di notte, quando potevo essere solo e tranquillo, dopo aver accompagnato Belle a casa. Dormivo, poi, quasi tutto il giorno, arrivavo allo stabilimento nel tardo pomeriggio, firmavo tutte le carte che Belle mi metteva davanti, controllavo i lavori della giornata, e portavo Belle a cena, prima di rimettermi al lavoro.
Una sera, mentre stavamo finendo di cenare, Belle disse: — Torni allo stabilimento, caro?
— Certo, come sempre.
— Ah, bene, volevo esserne certa, perché verremo anch’io e Miles.
— Come mai?
— Miles ha detto che vuol fare una riunione degli azionisti.
— E perché mai?
— Non ti ruberemo troppo tempo. In realtà, caro, da un po’ di tempo in qua ti sei occupato molto poco degli affari della ditta. Miles vuole mettere in chiaro alcuni punti oscuri e parlare della situazione finanziaria.
— Io mi sono sempre occupato della produzione, che altro avrei dovuto fare?
— Niente, caro. Miles dice che sarà cosa di pochi minuti.
— Ma insomma di che cosa si tratta?
— Non ti arrabbiare, caro, finisci il caffè. Miles non me l’ha detto.
Miles ci stava già aspettando, mi diede una solenne stretta di mano come se non ci vedessimo da mesi. — Si può sapere cosa vuoi? — gli dissi.
— L’ordine del giorno, per favore — disse lui a Belle, e avrebbe dovuto bastare questo a farmi capire che Belle aveva mentito dicendomi di ignorare il motivo della riunione. Lei infatti andò dritta e sicura alla cassaforte, girò la manopola, e l’apri.
— A proposito, cara — dissi — ieri sera ho tentato di aprirla e non ci sono riuscito. Hai cambiato la combinazione?
Intenta com’era a scegliere fra un mucchio di carte, lei rispose senza voltarsi: — Come, non te l’avevo detto? Il poliziotto di ronda mi ha raccomandato di farlo perché ci sono stati parecchi tentativi di furto nei paraggi.
— Capisco, ma farai meglio a dirmi la nuova combinazione, se non vuoi che ti telefoni nel cuore della notte, qualche volta.
— Certo — rispose Belle chiudendo la cassaforte e venendo a deporre sul tavolo un mucchio di fogli.
Miles si schiarì la voce e disse: — Cominciamo.
Sorpreso dal suo tono formale e solenne, lo lasciai andare avanti senza ribattere.
— Desidero rivedere il sistema di gestione dell’azienda, presentare un programma per il futuro, e sottoporre all’assemblea una proposta di finanziamento.
— Una proposta di… Ma sei matto? Gli affari vanno a gonfie vele e aumentano ogni mese. Cosa c’è sotto, Miles? Non sei soddisfatto del tuo assegno? Possiamo votarti un aumento.
— Col nuovo programma di lavorazione occorrerà l’apporto di altro capitale.
— Quale nuovo programma?
— Ti prego, Dan. Mi sono preso la briga di mettere nero su bianco nei minimi particolari. Lascia che Belle ci legga il programma.
— E va bene.
Per farla breve (Miles adorava lo stile pomposo e le parole difficili), il suo programma si può riassumere in tre punti fondamentali: punto a) togliermi Sergio e affidarne la messa a punto e la lavorazione in serie a un gruppo specializzato in modo da metterlo in commercio al più presto. Feci appena in tempo a protestare, che Miles, senza scomporsi, m’interruppe: — Aspetta! Nella mia veste di Presidente e Consigliere delegato, ho la facoltà di esporre le mie idee. Risparmiati i commenti per dopo, quando Belle avrà finito di leggere.
— E va bene, ma su questo punto la mia risposta sarà sempre no!
Punto b) avevamo per le mani qualcosa di grande come l’automobile agli inizi del secolo, e perciò era nel nostro interesse mettere la lavorazione su un piano nazionale in modo che la produzione fosse pari alla richiesta, evitando eventuali concorrenze fin dall’inizio.
Io cominciai a tamburellare sul tavolo con le dita. Mi vedevo nelle vesti di direttore tecnico di un’azienda colossale come quella prospettata dal mio socio: non mi avrebbero nemmeno permesso di avere un tavolo da disegno.
Comunque, non interruppi la lettura dell’ordine del giorno. Il punto c), che era un corollario del b), asseriva che una produzione su vasta scala non poteva certo essere fatta contando il centesimo: occorrevano milioni. Siccome la Mannix Enterprises aveva il capitale ed era attrezzata per lavorazioni tipo la nostra, Miles proponeva di affiliarci ad essa. Lui sarebbe diventato direttore di reparto, io capotecnico dei laboratori di ricerca… e ti saluto libertà. Tutt’e due saremmo stati alle dipendenze di altri, e i bei giorni sarebbero finiti.
— È tutto? — chiesi.
— Sì. Ora possiamo discuterne, poi passeremo alla votazione.
— Posso avere la parola?
— Parla pure.
Esposi un’idea che mi era venuta lì per lì: cedere la Domestica Perfetta e Vanda Vetrina a qualcun altro che le avrebbe prodotte e vendute dandoci una congrua percentuale, e buttarci a corpo morto su Servizievole Sergio.
Fu la volta di Miles di non lasciarmi finire: — Con il tuo progetto, caro mio, resteremo sempre dei pidocchi. Affiliamoci alla Mannix, invece…
— Affiliandoci alla Mannix dovremo chinare la schiena e leccare i piedi a qualcuno. Ti concedo i quattrini in più… ma non ti bastano quelli che potremo fare noi? Dopo tutto, più di una piscina e di un panfilo per volta non ti servono.
— Non è questo che voglio.
— E cosa allora?
— Dan — rispose Miles guardandomi — voglio che tu ti dedichi alle invenzioni, e col mio progetto potrai continuare a farlo senza pensieri e preoccupazioni materiali. Quanto a me, voglio dirigere una azienda conosciuta e importante. Ti assicuro che ho il talento per farlo. Non ho affatto intenzione — aggiunse dando un’occhiata a Belle — di finire i miei giorni nel deserto di Mojave, come direttore di un inventore solitario.
— Se è questo che vuoi — ribattei — sei libero di andartene quando ti pare, per quanto a me e a Belle possa dispiacere perderti. Troveremo certo qualcuno disposto ad accettare il tuo pacchetto azionario. Per carità, va’ pure, se qui ti senti legato e sminuito! — Le parole di Miles mi avevano colpito profondamente. Non avrei mai creduto che non fosse contento della sua condizione, tuttavia, se la pensava così, non avevo il diritto di tenerlo legato a me.
— Non voglio andarmene — disse lui. — Voglio che la nostra azienda si ingrandisca. Hai sentito la mia proposta, adesso mettiamola ai voti.
— Come vuoi — dissi perplesso. — Credo superfluo aggiungere che il mio voto è «no». Belle, fammi il favore di metterlo a verbale. Così — aggiunsi — per il momento le cose restano al punto di prima, parleremo un’altra volta della mia controproposta. Adesso mi fareste un favore andandovene, perché ho da lavorare.
Ma Miles non si mosse. — Voglio che le cose siano fatte in regola — disse, cocciuto. — Belle, appello nominale, per favore.
— Bene. Miles Gentry, pacchetto azionario numero… — e scrisse il numero delle azioni di Miles — vota… come hai detto?
— Sì.
Belle scrisse «sì» sul taccuino.
— Daniel B. Davis, pacchetto azionario numero… — e qui il numero delle mie azioni, che ascoltai distrattamente — come voti, Dan?
— Ho detto no no e no! — sbottai, seccato di tutte quelle inutili formalità. — E con questo, spero che finalmente sia finita. Mi spiace, Miles…
Ma Belle non aveva finito. — Belle S. Darkin — continuò — vota per le azioni numero… — e ripeté un’altra fila di numeri: — Sì.