— No — lo rassicurò Shevek, — forse abbiamo una bisavola in comune, duecento anni fa, su Urras. — Cominciò a rimettersi i suoi vecchi vestiti, e mentre infilava la testa nella camicia vide che il dottore cacciava gli «indumenti per dormire» blu e gialli nel contenitore della «spazzatura». Shevek s’interruppe, con ancora il colletto all’altezza del naso. Infilò completamente la testa, si inginocchiò e aprì il contenitore. Era vuoto.

— Gli indumenti vengono bruciati?

— Oh, si trattava di un pigiama di poco conto, di quelli per servizio. Metti e butta via, come si suol dire; costa meno che farlo pulire.

— Costa meno — ripeté Shevek, in tono meditativo. Pronunciò quelle parole nel modo in cui un paleontologo poteva osservare un fossile: il fossile che rivela la datazione di un intero strato geologico.

— Temo che il suo bagaglio sia andato perduto in quell’ultimo tratto di corsa, per raggiungere la nave. Spero che non vi fosse qualcosa di realmente importante.

— Non ho portato nulla — disse Shevek. Anche se il suo abito era stato candeggiato fino quasi a diventare bianco e si era ristretto un poco, gli andava ancora bene, e il contatto ruvido e familiare della tela di holum era assai piacevole. Tornò a sentirsi se stesso. Si sedette sul letto, davanti al dottore, e disse: — Vede, so che voi non vi limitate a prendere le cose, come noi. Nel vostro mondo, su Urras, una persona deve comprare le cose. Io sono venuto nel vostro mondo, non ho denaro, non posso comprare, e dunque dovrei portare con me ciò che mi occorrerà. Ma quanto posso portare? Vestiti, sì, potrei portare due vestiti. Ma il cibo? Come posso portare una quantità sufficiente di cibo? Non ne posso portare, non ne posso comprare. Se volete che viva, dovete darmelo. Io sono anarresiano, e costringo gli urrasiani a comportarsi come gli anarresiani; dare, invece di vendere. Se volete. E, naturalmente, non è necessario che mi teniate in vita! Io sono il Mendicante, capisce?

— Oh, ma niente affatto, signore, no, no. Lei è un ospite che ci fa un altissimo onore. La prego, non giudichi tutti noi dall’equipaggio di questa nave: sono persone molto ignoranti, molto limitate… non ha idea dell’accoglienza che riceverà al suo arrivo su Urras. Dopotutto lei è uno scienziato di celebrità mondiale… anzi, galattica! Ed è il nostro primo visitatore di Anarres! Le garantisco, le cose saranno molto diverse quando arriveremo al Campo di Pei.

— Non dubito che saranno diverse — rispose Shevek.

La Rotta Lunare richiedeva normalmente quattro giorni e mezzo all’andata e altrettanti al ritorno, ma questa volta vennero aggiunti al volo di ritorno cinque giorni di acclimatazione a vantaggio del passeggero. Shevek e il dottor Kimoe li trascorsero in vaccinazioni e conversazioni. Il capitano del Pensiero li passò in orbita attorno a Urras, bestemmiando. Quando doveva parlare con Shevek, lo faceva in modo imbarazzato e irrispettoso. Il dottore, che era sempre pronto a spiegare qualsiasi cosa, aveva già pronta una propria analisi: — È abituato a considerare tutti gli stranieri come inferiori, come persone non pienamente umane.

— La creazione di pseudo specie, così la definiva Odo. Già. Pensavo che forse, su Urras, la gente avesse cessato di pensare a quel modo, dato che avete molte lingue e molte nazioni, e perfino visitatori provenienti da altri sistemi solari.

— Be’, assai pochi di questi, dato che il viaggio interstellare è così costoso e lento. Ma forse non sarà sempre così — aggiunse il dottor Kimoe, con l’intenzione, evidentemente, di fare un complimento a Shevek o di farlo parlare. Shevek ignorò tale intenzione.

— Il Secondo Ufficiale - disse, — pare avere timore di me.

— Oh, per quello là si tratta di fanatismo religioso. È un epifanista di stretta osservanza. Recita i Primi ogni sera. Una mente completamente priva di elasticità.

— Dunque egli mi vede… in che modo?

— Come un pericolosissimo ateo.

— Ateo! E perché mai?

— Be’, perché lei è un Odoniano di Anarres… su Anarres non ci sono religioni.

— Non ci sono religioni? E che siamo, su Anarres, pietre?

— Voglio dire religioni regolari… chiese, sette… — Kimoe era facile a confondersi. Aveva la sicurezza sbrigativa tipica dei medici, ma Shevek gliela sconvolgeva continuamente. Ogni sua spiegazione terminava, dopo due o tre domande di Shevek, in confusioni. Ciascuna risposta dava per assodate talune relazioni che l’altro, invece, non riusciva neppure a scorgere. Ad esempio, la curiosa faccenda della superiorità e dell’inferiorità. Shevek sapeva che il concetto di superiorità, di altezza relativa, era importante per gli urrasiani; essi spesso usavano la parola «superiore» come sinonimo di «migliore» nei loro scritti, in punti in cui un anarresiano avrebbe detto «più centrale». Ma che aveva a vedere, il fatto di essere più alto, con il fatto di essere straniero? Era un enigma tra centinaia d’altri.

— Comprendo — disse ora, mentre un altro enigma si chiariva. — Voi non ammettete religioni al di fuori delle chiese, così come non ammettete moralità al di fuori delle leggi. Lei sa, non avevo capito neppure quello, nonostante tutte le mie letture di libri urrasiani.

— Be’, oggigiorno qualsiasi persona illuminata ammette…

— Il vocabolario rende tutto difficile — disse Shevek, portando avanti la propria scoperta. — In pravico, la parola religione è scarsa. No, come dite voi? … rara. Non usata frequentemente. Naturalmente si tratta di una delle Categorie: il Quarto Modello. Poche persone imparano a praticare tutti i Modelli. Ma i Modelli sono costituiti di naturali capacità della mente, e potreste voi credere seriamente che noi non abbiamo capacità per la religione? Che noi siamo capaci di conoscere la fisica ma siamo tagliati fuori dalla relazione più profonda che l’uomo abbia col cosmo?

— Oh, no, niente affatto…

— Allora, sì, saremmo davvero una pseudo specie!

— Una persona istruita riuscirebbe certamente a comprenderlo, ma questi ufficiali sono ignoranti.

— Soltanto ai fanatici, allora, si permette di uscire nel cosmo?

Tutte le loro conversazioni erano simili a questa: spossanti per il dottore, e poco soddisfacenti per Shevek, ma profondamente interessanti per entrambi. Erano l’unico modo per Shevek di esplorare il nuovo mondo che lo attendeva. La nave stessa, e la mente di Kimoe, erano il suo microcosmo. Non c’erano libri a bordo del Pensiero, gli ufficiali evitavano Shevek e gli uomini dell’equipaggio venivano tenuti rigorosamente lontani da lui. E per ciò che riguardava la mente del dottore, per quanto fosse intelligente e certamente bene intenzionata, era un guazzabuglio di artefatti intellettuali ancor più sconcertanti di tutti quegli aggeggi, accessori e servizi vari di cui l’astronave era piena. Questi ultimi parevano assai divertenti a Shevek; ogni cosa era data in tale abbondanza, era così elegante ed estrosa; ma Shevek non trovò altrettanto agevole l’arredamento interno della mente di Kimoe. Le idee di Kimoe non parevano mai capaci di procedere lungo un cammino rettilineo; ogni volta dovevano aggirare questo, evitare quello, e poi finivano a sbattere in pieno contro qualche muro. C’erano delle muraglie attorno a ciascuno dei suoi pensieri, ed egli pareva assolutamente inconsapevole della loro esistenza, anche se eternamente continuava a nascondersi dietro di esse. Solo una volta Shevek ne vide cadere una, in tutte le loro giornate di conversazione tra i mondi.

Gli aveva chiesto perché non c’erano donne sulla nave, e Kimoe aveva risposto che il funzionamento di una nave spaziale non era lavoro da donne. I corsi di storia seguiti, la conoscenza degli scritti di Odo, fornivano a Shevek un contesto entro cui collocare questa risposta tautologica, ed egli non aggiunse altro. Ma il dottore a sua volta gli rivolse una domanda a proposito di Anarres: — È vero, dottor Shevek, che le donne, nella vostra società, sono trattate esattamente come gli uomini?


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