Colin aveva alzato le spalle. Avevo pensato che si fosse già rammaricato di avermi reclutata, ma mi ero quindi resa conto che lui sperava che le mie buffonate avrebbero distolto l’attenzione dei veri agenti dell’ECGS che si stavano indubbiamente recando a Washington. Il Foro Federale per la Scienza e la Tecnologia, conosciuto altrimenti come Tribunale Scientifico, stava per esaminare la richiesta di brevetto n. 1892-A. Ciò che rendeva tale richiesta di brevetto diversa da quelle che andavano dal numero 1 al 1891 era che questa veniva inoltrata dalla Impresa di Huevos Verdes. Per la prima volta da dieci anni, i Super-Insonni stavano chiedendo l’approvazione governativa per mettere sul mercato una invenzione di modifica genetica patentata negli Stati Uniti. Non avevano una possibilità su un milione, ovviamente, ma era tuttavia interessante. Perché adesso? Che cosa stavano progettando? E si sarebbe presentato personalmente qualcuno dei ventisette all’udienza del Tribunale Scientifico?

E se qualcuno lo avesse fatto, sarei stata in grado di tenerlo o tenerla sotto sorveglianza?

Guardai fuori dal finestrino del treno i campi curati dai robot. Grano o forse soia, non ero sicura di che aspetto avesse nessuno dei due, che cresceva. Dieci minuti dopo Desdemona tornò. Il suo viso fece capolino fra le mie gambe allungate: era strisciata lungo il pavimento, sotto i sedili, attraverso la sporcizia, il cibo caduto e i rifiuti. Desdemona sollevò il piccolo busto fra le mie gambe, tenendosi in equilibrio con una mano appiccicosa sul mio sedile. L’altra mano schizzò in avanti e si chiuse sul mio braccialetto.

Io lo slacciai e glielo diedi nuovamente. La parte anteriore della sua tuta azzurra era sudicia. — Non c’è nessun robot-pulitore su questo treno?

Lei afferrò stretto il braccialetto e sogghignò. — È morto, quello.

Mi misi a ridere. Un istante dopo il treno a gravità si ruppe.

Io venni sbattuta a terra, dove caddi su mani e ginocchia, aspettando di morire. Sotto di me i macchinari stridettero. Il treno si fermò a sobbalzi ma non deragliò.

— Maledizione! — gridò il padre di Desdemona. — Non un’altra volta!

— Non possiamo prenderci un gelato, noi? — piagnucolò un bambino. — Adesso siamo fermi!

— La terza volta questa settimana! Fottuto treno di Muli!

— Non ci date mai un gelato!

Apparentemente i treni non deragliavano. Apparentemente non sarei morta. Apparentemente quei macchinari stridenti erano routine. Seguii tutti gli altri fuori dal treno.

In un altro mondo.

Un vento febbrile soffiava attraverso i chilometri di prateria: caldo, sussurrante, intossicante. Mi vennero le vertigini per la dimensione del cielo. Un infinito cielo azzurro brillante sopra, infiniti campi d’oro brillante sotto. Il tutto accarezzato da quel vento caldo quanto il sangue, impregnato di luce solare, gravido di fragranza. Io, amante della città, resistetti alla folle idea di scalciar via le scarpe e infilare le dita dei piedi nella terra scura.

Seguii invece i Vivi mugugnanti lungo i binari verso la parte anteriore del treno. Si raggrupparono attorno alla olo-proiezione di un tecnico, anche se mi ero accorta che il suo discorso inscatolato veniva diffuso in ogni carrozza. L’ologramma stava "in piedi" sull’erba e sembrava imponente e autoritario. Il proprietario della concessione era mio amico: credeva che i maschi di un metro e novantacinque dalla pelle scura fossero la proiezione ideale per favorire l’ordine.

"Non c’è alcun bisogno di allarmarsi Questo è un guasto temporaneo. Siete pregati di tornare alla sicurezza e alle comodità della vostra carrozza e fra qualche istante vi verranno serviti cibo e bevande omaggio. Un tecnico riparatore è già in viaggio dalla concessionaria ferroviaria. Non c’è alcun bisogno di allarmarsi."

Desdemona sferrò un calcio all’ologramma. Il suo piede vi passò attraverso e lei ammiccò, un inutile e succoso sorriso di trionfo. L’olo abbassò lo sguardo su di lei. "Non farlo più, bambina… mi hai sentito?" Gli occhi di Desdemona si spalancarono e lei volò dietro le gambe di sua madre.

— Non ti spaventare, tu, è soltanto interattivo — schioccò mamma Viva. — Lasciami andare le gambe!

Io strizzai l’occhio a Desdemona che mi fissò sbalordita e poi sorrise, agitando il nostro braccialetto.

"…alla sicurezza e alle comodità della vostra carrozza e fra qualche istante vi verranno forniti cibo e…"

Altre persone si avvicinarono alla motrice, tutte, a parte due, si lamentavano a voce alta. La prima era una donna anziana: alta, dal volto insignificante e spigolosa come un pezzo di gioco a incastro. Non indossava una tuta, ma una lunga tunica lavorata a maglia di delicate e sfumate tonalità di verde, troppo diseguale per essere fatta a macchina. I suoi orecchini erano semplici pietre verdi levigate. Non avevo mai visto prima di allora un Vivo con buon gusto.

L’altra anomalia era un giovanotto basso dai capelli rossi e serici, pelle chiara e una testa un po’ troppo grossa rispetto al corpo.

Sentii pizzicare la nuca.

All’interno delle carrozze, robot-servitori emersero dagli scompartimenti-magazzino e offrirono vassoi di snack di soia sintetizzati di fresco, svariate bevande e droghe leggere. Continuavano a ripetere: "Con gli omaggi del Senatore di Stato Cecilia Elizabeth Dawes. Siamo felici di avervi a bordo". Questo diversivo occupò quasi una mezz’ora. Poi tutti tornarono all’esterno e ripresero a lamentarsi.

— Che razza di servizio si ha al giorno d’oggi…

— …la prossima volta giuro che voto per qualcun altro, io… "chiunque" altro…

"Guasto temporaneo. Siete pregati di ritornare alla sicurezza e alle comodità della…"

Camminai sull’erba incolta al margine del campo più vicino. L’Insonne-travestito-in-modo-inadeguato restò a fissare la folla, osservandola con un atteggiamento pseudo-casuale come il mio. Al momento non mi aveva ancora notato. Il campo era circondato da una bassa recinzione a energia, presumibilmente per trattenere all’interno gli agro-robot. Essi trottavano lentamente fra le file di grano dorato, svolgendo il loro compito. Io balzai al di là della recinzione e ne presi in mano uno. Ronzava dolcemente, una sfera scura dotata di tentacoli flessibili. Sul fondo appariva un’etichetta CANCO ROBOTS/LOS ANGELES. La CanCo si era trovata sul "Wall Street Journal On-line" della settimana precedente: era nei guai. I suoi agro-robot avevano improvvisamente cominciato a rompersi in tutto il paese. La concessionaria stava per affondare.

Il vento caldo sussurrava seducente attraverso il grano dalla dolce fragranza.

Mi sedetti a terra, a gambe incrociate, appoggiando la schiena alla recinzione a energia. Attorno a me gli adulti si misero a giocare a dadi o a carte. I bambini scorrazzavano tutti attorno, gridando. Una giovane coppia mi passò accanto e scomparve fra il grano, sesso nello sguardo. La donna più anziana si sedette per proprio conto a leggere un libro, un vero libro. Non riuscii a immaginare dove potesse esserselo procurato. L’Insonne dalla grossa testa, se questo era ciò che lui-lei era, si stese a terra, chiuse gli occhi e fece finta di dormire. Io sogghignai. Non mi è mai piaciuta l’auto-ironia. Nelle altre persone.

Dopo due ore i robot-servitori portarono nuovamente fuori cibo e bevande. "Con gli omaggi del Senatore di Stato Cecilia Elizabeth Dawes. Siamo felici di avervi a bordo." Quanta soia sintetica trasportava un treno a gravità di Vivi? Non ne avevo idea.

Il sole proiettava lunghe ombre. Salterellai verso la donna che stava leggendo. — Bel libro?

Sollevò lo sguardo su di me, esaminandomi. Se Colin aveva mandato me al Tribunale Scientifico di Washington poteva decisamente avere mandato anche degli agenti legittimi. E se Testa Grossa era un Insonne, poteva avere un "accompagnatore" personale. Tuttavia, qualcosa nel volto della donna che leggeva mi convinse che non era lei. Non era modificata geneticamente, ma non era quello il punto. Si possono trovare famiglie di Muli che rifiutano perfino le modificazioni genetiche permesse e continuano a esistere in corporazioni molto solide ma ai margini della società. Lei non era nemmeno quello. Era qualcos’altro.


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