Miranda Sharifi si risedette.

La commissione sembrò sbalordita, e a ragione. Cosa ancora più interessante, anche Leisha Camden apparve sbalordita. Evidentemente non era questo che si era aspettata di sentir dire dalla sua protetta. Sussurrò freneticamente nell’orecchio di Miranda.

— Non ho mai sentito tante stronzate così poco professionali! — esplose Martin Davis Exford, premio Nobel in fisica molecolare, in piedi dietro alla tavola riservata ai commissari. La sua voce possente superò quella di tutti gli altri. Vene color marroncino gli pulsavano sotto la superficie del collo.

— Sono profondamente offeso, signorina Sharifi, per il suo comportamento nei riguardi di questo Foro. Siamo qui per determinare fatti scientifici, non per indulgere in attacchi contro l’uomo!

Un giornalista che indossava un abito di gran moda a strisce gialle, strillò dalla fila anteriore del banco della stampa: — Signorina Sharifi, sta forse cercando di perdere questo caso?

Lentamente, voltai la testa nella sua direzione.

— Ehi, Miranda, guarda da questa parte! — gridò il reporter di un canale di Vivi, con la robocamera che gli fluttuava accanto. — Un bel sorriso!

— Ordine, per cortesia! Ordine! — esclamò la moderatrice Yongers.

— Miranda, sorridi!

Il pandemonio crebbe. Un uomo balzò in avanti dalla sezione riservata al pubblico e caricò in avanti, lungo il corridoio inclinato, in direzione del fondo del Foro.

Ebbi una chiara visuale della sua faccia. Era distorta dalla maschera dell’odio. L’uomo si catapultò verso Miranda, estraendo qualcosa dalla giacca. Diciassette robocamere e tre robot di sicurezza sfrecciarono verso di lui.

Egli colpì lo scudo invisibile a energia-Y davanti alle tavole dei partecipanti e vi rovinò contro con un udibile schianto del cranio o di qualche altro osso. Un robot addetto alla sicurezza lo trascinò via.

— …riportare ordine in questo procedimento; subito…

Miranda Sharifi non si mosse mai.

Alla fine la moderatrice Yongers, non avendo alcuna altra scelta reale, sospese la seduta per il pranzo.

Io mi feci strada a spintoni verso la parte anteriore della caotica aula del Foro, cercando di adocchiare Miranda Sharifi, cosa ovviamente impossibile. Fra di noi si ergeva lo scudo a energia-Y e alcune guardie del corpo dal fisico spettacolare fecero uscire lei e Leisha Camden da una porta sul retro. Le avvistai nuovamente sul tetto, dopo che le guardie ebbero messo KO quattro persone per arrivarvi. Salirono su un aeromobile. Svariate altre le seguirono per braccarle da vicino, ma io mi convinsi che a nessuno di loro sarebbe servito a nulla. Non avrebbero scoperto più di quanto non avessi fatto io.

Che cosa avevo scoperto?

Il giornalista a strisce gialle aveva ragione. La performance di Miranda Sharifi aveva soltanto assicurato che il Caso 1892-A era morto e sepolto. Non soltanto lei aveva messo in discussione la competenza tecnica e intellettuale di otto scienziati, ma li aveva anche insultati. Avevo effettuato una breve ricerca su tre di quegli scienziati, i premi Nobel, e sapevo che non erano affatto mercenari, ma persone della massima integrità. Doveva saperlo anche Miranda. E allora, perché?

Forse a dispetto di qualsiasi ricerca avesse portato avanti, era realmente convinta che tutti i Dormienti fossero corrotti. Sua nonna, una donna brillante, lo aveva creduto. Non so perché, ma non pensavo che fosse il caso di Miranda.

Forse lei credeva che i cinque scienziati non premiati, mediocrità con ottime connessioni politiche, avrebbero inevitabilmente superato nel voto gli imparziali Nobel. Ma se così era, perché alienarsi tre potenziali alleati? E perché accettare l’insediamento delle cinque mediocrità fin dal principio? Tutti i commissari erano stati accettati da entrambe le parti.

No. Miranda Sharifi "voleva" perdere questa causa. Voleva che venisse espressa una decisione contro il Depuratore Cellulare.

Forse si era alienata i commissari per… perché? Per rendere più difficile l’ottenimento dell’approvazione ufficiale del brevetto. Forse stimava la vittoria soltanto se era conquistata con difficoltà. Forse rendere tutto il più difficile possibile faceva parte di qualche codice d’onore Insonne, derivato dal fatto che per loro era tutto sempre molto facile. Come cazzo facevo a saperlo?

Tutta questa razionalizzazione si tradusse in autodisgusto. A dispetto del caldo, era una magnifica giornata a Washington, uno di quei pomeriggi dal cielo limpido e azzurro e dalla luce dorata che sembrano essere portati dal vento da qualche città più privilegiata. Camminai nel centro commerciale, attirando l’attenzione: il Mulo pazzo che andava vestito come un Vivo ritornato alle origini. Spacciatori di droga, innamorati e ragazzini che stavano per salire sulla ferrovia a gravità mi lasciarono in pace, il che mi andò benissimo. Ero in uno di quei brevi e taglienti momenti di autointerrogazione che ti lasciano in seguito sia esausta sia imbarazzata. Che ci facevo io a gironzolare con quegli stupidi vestiti in plastica, cercando di estrapolare qualche difficile significato personale dal seguire persone che mi erano più che evidentemente superiori?

Perché gli Insonni mi erano superiori e non solo in quanto a intelligenza. In quanto a disciplina, pura visuale d’insieme. In quanto all’invidiabile certezza che accompagna sempre lo scopo, anche se non sapevo di che scopo si trattasse, mentre tutto quello che avevo io era un vago e indefinito senso di allarme su dove fosse diretto il mio paese. Un allarme innescato da un cagnolino rosa senziente che era precipitato oltre la balaustra di un terrazzo. Se ci ripensavo, adesso, mi sembrava sciocco.

Non riuscivo nemmeno a stabilire dove pensavo dovesse dirigersi il mio paese. Sapevo solamente impedire, non spingere, e non ero nemmeno certa di ciò che stavo impedendo. C’era sicuramente sotto molto di più del Caso 1892-A.

Non sapevo che cosa stessero cercando di fare gli Insonni. Nessuno lo sapeva. E allora che cosa mi rendeva così maledettamente sicura che dovessi impedire loro di farlo?

D’altra parte, nulla di quello che avevo fatto io fino a quel momento, o che sembrava probabile potessi fare in un prossimo futuro, aveva avuto il benché minimo effetto sui piani di Miranda Sharifi. Non avevo fatto rapporto su di lei all’ECGS, non l’avevo tenuta sotto costante sorveglianza, non avevo nemmeno raggiunto una coerente conclusione su di lei negli intimi e imperscrutabili recessi della mia mente. Io ero completamente irrilevante. Non avevo quindi nulla da rimpiangere, nulla di cui pentirmi di avere o non avere fatto, nulla da cambiare.

Non so perché, ma questo non riuscì a rallegrarmi.

I successivi quattro giorni furono una delusione. Molto tempo venne riservato alla struttura terziaria e quaternaria delle proteine. Ci fu un acceso e incomprensibile dibattito su come le equazioni di trasferimento di Worthington venivano applicate alla codifica ridondante dell’RNA, durante il quale mi addormentai. Non fui la sola. Sempre meno persone si presentavano ogni giorno. Di quelle che lo facevano, solamente gli scienziati apparivano rapiti.

In qualche modo non mi sembrava giusto. Miranda Sharifi ci aveva detto che avevamo davanti la più grande scoperta scientifica degli ultimi duecento anni e alla maggior parte di noi sembrava soltanto alchimia. IL POPOLO DEVE CONTROLLARE SCIENZA E TECNOLOGIA. Già, giusto. Ma come possono degli ignoranti prendere decisioni su magie che non riescono a comprendere?

Alla fine, respinsero la richiesta.

Due dei premi Nobel, Barbara Poluikis e Martin Exford, scrissero opinioni dissenzienti. Favorirono il permesso di effettuare beta-test su volontari umani e non esclusero la possibilità di futuri brevetti. Volevano la conoscenza scientifica. Lo si poteva vedere anche attraverso le parole formali della loro breve opinione congiunta, che sbavavano per essa. Vidi Miranda Sharifi osservarli attentamente.


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