Victoria Turner ha tirato fuori una specie di sciarpa dalla tasca e si è inginocchiata accanto a Lizzie. Non sembrava affatto avere paura, lei. Uno dei pensieri che avevo avuto quella notte, che Dio mi perdoni, era stato: la malattia è contagiosa? Potrebbe prenderla anche Annie e morire? Annie…
— Tossisci per me, tesoro — ha detto Victoria Turner. — Forza, tossisci nella sciarpa.
Nel giro di qualche minuto Lizzie lo ha fatto ma non perché glielo avevano chiesto. Grossi grumi viscidi sono venuti fuori dai polmoni torturati, grigio verdastri. Victoria Turner li ha presi, nella sciarpa e li ha esaminati attentamente. Io ho dovuto guardare da un’altra parte. Quelli erano i polmoni di Lizzie che se ne venivano via a pezzi, i polmoni di Lizzie che stavano marcendo.
— Eccellente — ha detto Victoria Turner — verde. È di origine batterica. Adesso lo sappiamo. Sei fortunata, Lizzie.
Fortunata! Ho visto Annie incurvare di nuovo le unghie e ho capito anche perché: quel Mulo si stava "divertendo". Era una specie di eccitazione. Come una storia all’Olo-visione.
— L’origine batterica è positiva — ha detto Victoria Turner guardando me — perché la medicazione può essere molto meno specifica. Bisogna adeguare gli antivirali, quanto meno grossolanamente. Ma gli antibiotici a largo spettro sono facili da produrre.
Annie ha detto in modo duro: — Che cosa ha Lizzie?
— Non ne ho la più pallida idea. Ma questo se ne occuperà quasi certamente. — Da un’altra tasca ha tirato fuori un pezzo di plastica piatto, l’ha aperto e ha appiccicato un cerotto azzurro e rotondo sul collo di Lizzie. — Dovreste però costringerla a ingerire più acqua. Non bisogna rischiare la disidratazione.
Annie fissava, lei, il cerotto azzurro sul collo di Lizzie. Sembrava uno di quelli che metteva l’unità medica, ma come facevamo noi a sapere di preciso che cosa c’era dentro? In realtà non sapevamo proprio niente.
Lizzie ha sospirato e si è tranquillizzata. Nessuno ha detto niente. Dopo qualche minuto Lizzie si è addormentata.
— È la cosa migliore per lei — ha detto in modo sicuro Victoria Turner. Mi sono accorto un’altra volta che la cosa le piaceva. — Nemmeno Miranda Sharifi in persona potrebbe pareggiare i benefici del sonno.
Io mi ricordavo di avere sentito quel nome, ma non mi veniva in mente dove.
Annie sembrava una donna diversa, lei. Ha guardato Lizzie, che dormiva pacificamente, e il cerotto e si è come rimpicciolita e calmata, come una vela che crolla. Ha fissato il pavimento, lei. — Grazie, dottoressa. Non avevo capito.
La dottoressa Turner è parsa sorpresa, lei, e poi ha sorrìso. Come se c’era qualcosa di divertente. — Prego. Forse, in cambio, potete fare qualcosa per me.
Annie l’ha guardata con circospezione: i Muli non chiedono mai favori ai Vivi. I Muli pagano le tasse per noi e noi gli diamo i voti. Non ci diciamo però più del necessario e non ci chiediamo favori a vicenda. Non è così che vanno le cose.
— Sto cercando una persona — ha detto la dottoressa Turner. — Avrei dovuto incontrarla qui ma apparentemente abbiamo confuso i dati. Una donna, una ragazza a dire il vero, alta più o meno così, capelli scuri, una testa un po’ grossa.
Ho pensato subito alla ragazza dei boschi e ho cercato velocemente di apparire come uno che non sta pensando a niente. Quella ragazza veniva dall’Eden, ne ero certo, io e l’Eden non aveva niente a che fare con i Muli, È per i "Vivi". La dottoressa Turner mi stava osservando attentamente, lei. Annie ha scosso la testa, fredda come il ghiaccio, anche se io sapevo che probabilmente si ricordava quell’altra ragazzina, quella con la testa grossa che lei aveva detto di avere visto alla riunione in paese quando Jack Sawicki aveva chiamato il supervisore distrettuale per i procioni con la rabbia.
Annie ha detto, cortese ma non troppo: — Come mai non hai trovato la tua amica? Lei non lo sa dove sei?
— Mi sono addormentata — ha detto la dottoressa Turner, il che non spiegava niente. Lo ha detto anche in modo un po’ buffo. — Mi sono addormentata sul treno a gravità. Penso però che potrebbe essere qui in giro da qualche parte.
— Non ho mai visto nessuno fatto così — ha detto con fermezza Annie.
— E tu, Billy? — ha chiesto la dottoressa Turner. Probabilmente conosceva il mio nome anche prima che Annie lo diceva. Si trovava a East Oleanta da una settimana, mangiava al caffè, parlava con tutti quelli che volevano parlare con lei, che non erano tanti.
— Non ho mai visto nessuno del genere, io — ho detto. Mi ha fissato duramente. Non mi ha creduto.
— Allora permettetemi di chiedervi un’altra cosa. Il nome "Eden" vi dice qualcosa?
Una folata di vento avrebbe potuto farmi ribaltare.
Annie ha detto, però, fredda come il gennaio: — Si trova nella Bibbia. Era dove vivevano Adamo ed Eva.
— Giusto — ha detto la dottoressa Turner. — Prima della Cacciata. — Si è alzata in piedi e si è stiracchiata. Il corpo sotto la tuta era troppo ossuto, quanto meno per me. Una donna doveva avere qualcosa di morbido sopra le ossa.
— Tornerò a visitare Lizzie domani — ha detto la dottoressa Turner e io ho visto che Annie non voleva che lei ritornava, e poi invece sì. Era una dottoressa. Lizzie adesso dormiva tranquillamente. Perfino dalla porta mi sembrava un po’ più fresca.
Quando la dottoressa se n’è andata, Annie e io ci siamo guardati a vicenda. Poi il volto di Annie si è trasformato semplicemente e ha cominciato a piangere. Prima ancora di pensarci l’ho abbracciata. Annie mi ha abbracciato a sua volta e al tocco dei suoi seni morbidi contro il petto, sono diventato un po’ matto. Non ho pensato. Ho semplicemente alzato la sua faccia verso la mia e l’ho baciata.
E Annie Francy ha ricambiato il mio bacio.
E non si trattava di quelle stronzate stile figlia grata. Piangeva, indicava Lizzie e mi baciava con le morbide labbra da bacca spingendo il seno contro di me. Annie Francy. lo l’ho baciata ancora, la mente non mi funzionava nemmeno — le parole mi sono venute solo in seguito — e poi era come se ci eravamo appena visti invece di conoscerci da anni, invece di avere io sessantotto anni e Annie trentacinque, invece di vedere tutte le cose che si rompevano a East Oleanta come stavano facendo. Annie Francy mi ha baciato e io ero come un giovanotto, io, e lo ero. Le ho passato le mani sul corpo e l’ho portata in camera da letto, lasciando Lizzie a dormire in pace come un angelo, poi ho chiuso la porta. Annie stava ridendo e piangendo, nel modo che mi ero dimenticato che sanno fare le donne, e ha steso il grosso e magnifico corpo sul letto con me, come se anche io avevo trentacinque anni.
Abbiamo dormito fino alla mattina. Io mi sono svegliato prima di Annie. La luce era grigio pallida, debole. Per lungo tempo me ne sono stato seduto sul bordo del letto a guardare Annie. Sapevo che era una storia di una volta sola. Me lo sentivo anche prima che lei si addormentava in quel breve spazio di tempo quando ci siamo stretti forte, dopo. Me lo sentivo, io, dalla sue braccia, dalla posizione del suo collo e dal suo respiro. Quello che avevo bisogno io erano le parole per dirle che andava bene così. Che era stato più di quanto non mi ero mai aspettato anche se meno di quello che avevo sognato. Quello non glielo avrei detto. Si sogna sempre di più.
Annie però non si svegliava e così io sono andato a controllare Lizzie. Era seduta e aveva un’espressione stordita. — Billy, ho fame.
— È un buon segno, Lizzie. Cosa vuoi mangiare?
— Qualcosa di caldo. Ho freddo. Qualcosa di caldo dal caffè.
Aveva una voce piagnucolosa e puzzava terribilmente ma a me non mi importava. Ero così contento che aveva freddo quando soltanto ieri bruciava dalla febbre. Quella dottoressa Mulo era davvero in gamba, come un’unità medica.
— Non andare a svegliare tua madre. Resta seduta qui finché non ti porto da mangiare. Dov’è il tuo gettone-pasto, Lizzie?