— Addio, dottoressa — ha detto Annie.

La dottoressa Turner l’ha ignorata. Era silenziosa, lei, ma tesa dentro, come una che sta prendendo una specie di importante decisione. — Billy, ascolta bene quello che sto per dirti. Ammassa tutto quello che puoi dalla catena del cibo in questo appartamento. Se riapre il deposito, recupera coperte, tute e… carta igienica, sapone e tutto quello che vi occorre. E secchi per l’acqua, moltissimi secchi. Fallo. — Lo ha detto come se nessun altro oltre lei avesse mai potuto pensare a tutto quello. Come se "io" non ci avessi potuto pensare.

Annie ha detto: — Se la gente si mette ad ammassare non ci sarà abbastanza per tutti gli altri.

La dottoressa Turner ha fissato Annie con espressione vacua. — Lo so, Annie.

— Non è giusto.

La dottoressa ha detto con un filo di voce: — Moltissime cose non sono giuste.

— E così vuole dirci di fare le cose ancora meno giuste?

La dottoressa Turner non ha risposto. Ho avuto la strana sensazione, io, che non aveva una risposta. Un Mulo senza una risposta.

Lanciando un’ultima occhiata a Lizzie, la dottoressa Turner se n’è andata. Annie ha detto: — Non la voglio più vedere qui attorno! Deve semplicemente lasciare Lizzie in pace!

Avrei potuto dire ad Annie che non sarebbe successo. Non dallo sguardo negli occhi malati e stanchi di Lizzie mentre la dottoressa Mulo le raccontava del codice del computer. Era quello che Lizzie aveva sempre cercato, per tutta la vita. Guardando nel software scolastico che la dottoressa Turner aveva disprezzato e nella biblioteca di East Oleanta quando ancora ne avevamo una e riducendo in pezzi il robot per pelare le mele nella cucina del Caffè Congressista Janet Carol Land. Questo. Qualcuno che le poteva raccontare quello che una piccola e sveglia mente con ritorno atavico voleva sapere. E Annie non sarebbe riuscita a fermarla. Annie non lo sapeva, lei, ma io sì. Lizzie aveva già quasi dodici anni e non c’era mai stato nessuno capace di fermarla veramente dal fare qualsiasi cosa da quando aveva otto anni.

Io però non ho detto niente ad Annie, io. Non allora. Annie guardava Lizzie che dormiva mostrando tutto il cuore negli occhi e io non riuscivo a dire proprio niente, io, perché ero troppo occupato a guardarle tutte e due.

Quel pomeriggio, però, sono andato a cercare Jack Sawicki, io, e gli ho chiesto la parola chiave del terminale. Me l’ha data, senza farmi troppe domande. Ci conosciamo da un sacco di tempo io e Jack e inoltre lui ne ha le tasche piene. È effettivamente arrivata una donna, un tecnico, per riparare l’unità medica. E ci doveva anche essere una grossa festa da ballo di tutte le logge quella sera al caffè. Tre logge insieme per dare la festa. C’era il ballo, giochi d’azzardo, una specie di gara di bellezza per seni nudi e la maggior parte dei giovani del paese ci sarebbe andata, il che significava mettere alla prova tutti i robot di polizia. Specialmente visto che la ferrovia a gravità stava funzionando di nuovo e poteva essersi sparsa la voce della festa da ballo anche in altri paesi. Jack non mi ha nemmeno chiesto, lui, perché volevo la parola chiave.

Io sono andato a piedi fino all’albergo. La dottoressa Turner non era in giro. Si era fatto freddo per essere agosto: forse se n’era andata a fare un’altra passeggiata nei boschi, in cerca dell’Eden. Non lo avrebbe trovato. Io avevo cercato e non avevo visto proprio niente vicino al posto dove Doug Kane era svenuto di fianco al procione con la rabbia. Nessun posto da dove poteva essere venuta la ragazzina dalla testa grossa.

Ho detto all’olo-terminale dell’albergo: — Modalità notiziari. Parola chiave Thomas Alva Edison. — Jack non vuole che tutto il paese sa che l’olo-terminale dell’albergo si può inserire nei canali dei notiziari: ci sarebbero lì una serie di Tom, Dick e Harry che vorrebbero guardare un diverso canale rispetto a quelli dell’olo-visore del caffè o delle logge.

"Modalità notiziari" ha detto allegramente l’olo-terminale. È sempre allegro. "Quale canale, per favore?"

— Qualche canale da Muli.

"Quale canale per favore?"

Ho tentato con diversi numeri, io, finché non ho trovato un notiziario di Muli. Poi mi sono seduto, io, e ho guardato per un’ora cercando di ricordare le parole che mi aveva spiegato la dottoressa Turner. Legami molecolari. Disgregatori. Lega. Duragem. Soltanto che il notiziario non usava quelle parole, eccetto "duragem". Utilizzava invece parole come "epicentro proposto", "equazione del tasso di replica", "equazioni Stoddard sulla curva di fallimento del campo" e "sforzi di sostituzione manuale in caduta al di sotto del tasso di incidenti". Io ho guardato comunque. Un’ora dopo mi sono alzato e ho detto: — Modalità informazioni.

Sono tornato a casa e ho preso i gettoni-pasto di Annie e di Lizzie. Quando al caffè non c’è più stato nessuno vicino alla catena del cibo ho preso tutto quello che ì gettoni mi potevano dare, ho infilato la roba in un secchio pulito con coperchio e l’ho portata a casa. Lizzie era ancora addormentata, stringendo la bambola. Sono andato al deposito che era stato di nuovo aperto dopo che era arrivato un nuovo carico con la ferrovia a gravità e mi sono preso altri due secchi, tre coperte e tre paia di tute con tutti i nostri gettoni. Ho preso anche una nuova serratura per la porta, vasi da fiori e una valigia. Il tecnico mi ha guardato in modo buffo, lui, ma non ha detto niente. Ho riempito tutti i secchi con acqua pulita, uno alla volta, e li ho trascinati su per le scale fino all’appartamento di Annie. Alla fine mi faceva male la schiena e boccheggiavo.

Ma non mi sono fermato, io. Ho riposato per dieci minuti e poi ho chiesto in prestito la scopa di Annie. L’ho portata all’albergo. C’era gente che stava portando bandierine di stoffa sintetica al caffè per decorarlo per il ballo. Ridevano e scherzavano: una ragazzina metteva in mostra il seno. Si stava preparando per la gara della serata. Qualche straniero ha preso alloggio all’albergo usando i gettoni dello Stato di New York. Chiacchieravano sul ballo. La dottoressa era ancora via, lei.

Ho preso la scopa di Annie, io, e ho scopato via tutte le foglie morte dall’atrio dell’albergo, tutte le foglie lasciate dal robot pulitore che non sarebbe più stato riparato ormai perché non era più così importante rispetto agli altri guasti, tutte le foglie che erano morte l’anno precedente, prima che iniziavano tutti i guasti e arrivavano per la prima volta i procioni con la rabbia a East Oleanta.

9

Drew Arlen — Florida

Quando lasciai Seattle diretto a Huevos Verdes, fu su un aereo della flotta aziendale di Kevin Baker. Il motivo di Kevin per non seguire il resto degli Insonni al Rifugio, a differenza di quello di Leisha, non era stato idealistico. Egli rappresentava il collegamento finanziario del Rifugio con il resto del pianeta. Immaginai che un aereo di Insonni fosse in tutto il mondo il mezzo con meno possibilità di schiantarsi a causa di un danno dovuto al disgregatore di duragem. L’aereo doveva essere stato controllato e ricontrollato freneticamente: gli Insonni erano abilissimi nella sicurezza. "Perché ne abbiamo avuta così poca" mi aveva detto con voce grave Kevin quando gli avevo telefonato pregandolo di potere utilizzare aereo e pilota. In quel momento non ero particolarmente interessato ai problemi sociali degli Insonni. Kevin non mi aveva mai apprezzato e io non gli avevo mai chiesto dei favori in precedenza. Lo feci allora. Avrei costretto Huevos Verdes a darmi un chiarimento, avrei scoperto importanti risposte. Forse Kevin ne era al corrente. Non si poteva mai essere certi di quanto loro sapessero.

L’onnipresente grata, chiusa saldamente, mi ondeggiava nella mente.

— Soltanto una cosa, Drew — disse Kevin e io pensai di scorgere le tonalità e le forme dell’apologia passargli sul volto al videotelefono. Come tutti gli Insonni della sua generazione ha l’aspetto di un bel trentacinquenne. — Leisha insiste nel voler venire con te.


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